Sembra che stavolta non sia il caso di dire che la storia si ripeta. Dopo la sconfitta pesante di tutto il centro sinistra alle ultime elezioni, scopriamo che le assonanze con quanto accadde successivamente all’esito delle elezioni politiche del 2001 si limita al solo concetto della vittoria della coalizione guidata da Berlusconi e la sconfitta rispettivamente dell’allora candidato premier di Ds e Margherita, Rutelli e dell’odierno leader del PD (alias DS e Margherita) Veltroni. Osservando che anche allora l’Ulivo corse diviso da quella che era la sinistra estrema.
La deduzione che si fece allora della sconfitta fu che, la scelta di una linea strategica centrista che intercettasse il voto moderato, fosse stata la causa primaria della sconfitta. Infatti non solo non si catturarono consensi tra l’elettorato più moderato, ma si persero parte di quelli più a sinistra, che non si riconoscevano in una politica poco attenta alle esigenze delle fasce più deboli della società.
Proprio l’analisi di questa crisi portò alla nascita di quel movimento di idee noto come “Girotondini” legato all’impegno politico diretto di esponenti del mondo della cultura, primo tra tutti, se non altro per la sua notorietà fu il regista Nanni Moretti che legò indissolubilmente il movimento allo slogan “..dì qualcosa di sinistra”. Sintesi chiara ed esplicita della necessità di rifondare tutta la sinistra italiana attraverso la ricerca di una politica meno di compromesso verso i poteri forti dell’economia e dell’establishment e più marcatamente a sostegno di quel complesso di valori fondanti quali l’equità e la solidarietà sociale, la certezza del diritto e la difesa delle prerogative di pluralismo e democrazia della costituzione italiana.
L’impegno di molti sortì l’effetto spingendo tutto il centro sinistra in un esame di coscienza catartico che sfoggiò in una maggiore attenzione e coinvolgimento della base nei processi decisionali del vertice. Esempio ne fu l’introduzione di, seppur empirici, meccanismi come le primarie per la selezione dei candidati alle tornate amministrative che via via si susseguivano.
Di pari passo il riscontro delle urne invertiva significativamente il risultato delle politiche precedenti, con un susseguirsi di successi elettorali alle diverse elezioni regionali, provinciali e comunali tra il 2001 ed il 2006. Dunque l’opzione di trascurare le vie di maggior compromesso e perseguire delle strategie chiare e, come direbbe Moretti, “…di sinistra” si rivelava pagante. Portando tutto il centrosinistra (Unione) alla vigilia delle elezioni politiche del
Anche stavolta la cosiddetta società civile produceva autonomamente un movimento spontaneo di rivendicazione. Il quale, appoggiandosi alla dirompente capacità mediatica di Beppe Grillo, reclamava un modo diverso e nuovo di far politica. Ricalcando i sentimenti di fondo di coloro che portarono i girotondini a scendere in piazza, ossia la ricerca si uno spazio di democrazia diretta per tutti i cittadini da contrapporre a quella che a detta di molti oggi assume tutte le caratteristiche di una plutocrazia. Mentre per i primi vi fu accoglimento ed autocritica da parte dei partiti e della politica di centrosinistra, stavolta per quanti si riconoscevano nelle battaglie di Grillo (marchiati con un che di dispregiativo con la diminutio del suo nome: “grillini”) vi era solo il dileggio la chiusura e la scomunica come espressione di antipolitica.
La crisi e la conseguente caduta del Governo di centrosinistra era questione di tempo. Meno di due anni e si ritornava alle urne. Stavolta i numeri dicevano che il favorito era il centrodestra guidato per l’ennesima volta da Berlusconi. Di fronte a lui non vi era più una coalizione compatta ma diversi soggetti primo tra tutti il neonato Partito Democratico, alias, ancora una volta la fusione della sinistra moderata dei DS e della Margherita. Ancora una volta ci si trovava di fronte ad una precisa scelta strategica e politica mirante a cercare voti tra l’elettorato moderato più che tra l’elettorato garantito. Ancora una volta si abbandonavano i figli legittimi che avevano costruito la casa comune alla ricerca di presunti figliastri.
L’esito elettorale è ancora fresco e sotto gli occhi di tutti, perfettamente in linea con il passato, il PD tracolla sotto i colpi del centrodestra, venendo punito da una singolare legge del contrappasso, per cui molti suoi elettori, o potenziali tali, migravano tra le braccia di una Lega semplicemente perché questa decideva di essere maggiormente presente in tanti spazi popolari colpevolmente lasciati scoperti da ciò che una volta erano Ds e Margherita. I quali, si badi bene, in tutte queste evoluzioni, più di acronomi e sintassi che di sostanza, hanno continuato a non discostarsi dalla pura e semplice somma dei loro voti. Ossia quel 32/33 % di consensi vantati nel 2001 confermati nel 2006 e ribaditi nel 2008. Tali valori ebbero maggior rilievo solo nel periodo tra il 2003 ed il 2005, allorché la spinta dei Girotondi fece assumere posizioni politiche più marcate e meno di compromesso.
Ma oggi le conclusioni post elettorali sono ben diverse da quelle della sconfitta della coalizione allora guidata da Rutelli. Adesso il PD, nonostante i numeri dicano altro, rivendica un successo, che dire di Pirro pare poco. La sinistra estrema decide di rinchiudersi in se stessa e nei suoi simboli (falce e martello) invece che nelle fabbriche, nei cantieri e nelle borgate dove fino a ieri regnava incontrastata. Ma tant’e che la scelta di un quartier generale per le elezioni in Via Veneto all’Hard Rock Cafè, qualcosa dovrà pur dire. Non contenti quale miglior cosa se, anziché fare autocritica come nel 2001, si trova un ottimo capro espiatorio esterno, cui addossare tutte le colpe delle proprie scelte fallimentari. La chiamata astensionista di Grillo è un’ottimo alibi a cui appellarsi, sostenuti da quella parte di media che è simbiotico al PD e alla Sinistra estrema, abbiamo assistito alla demonizzazione di coloro che si sono semplicemente limitati ad esercitare le prerogative riconosciute a qualunque cittadino dalla Costituzione. Sottoscrivendo petizioni o promuovendo referendum oppure, semplicemente utilizzando l’unico spazio mediatico ancora non del tutto soggetto al ferreo controllo delle grandi lobby delle comunicazioni,
Dunque da oggi per la politica così come oggi la conosciamo il “Public Enemy n°
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