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COMITATO PER IL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI COSTITUZIONALI AI MILITARI
Perchè una Democrazia non può dirsi compiuta se non è stata capace di estendere tutte le sue regole e garanzie, fino in fondo a tutti i cittadini, anche quelli in divisa.

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lunedì 26 maggio 2008

Se non puoi combattere un nemico, allora cerca di fartelo amico.

Questo è un adagio che ha riscosso sempre grande successo nell’arco della nostra storia. Lo stesso imperatore Costantino deve aver considerato questo aspetto allorché, resosi conto delle sempre crescenti difficoltà nel contrastare la diffusione del cristianesimo, decise di istituzionalizzarlo inglobandolo nel sistema statale dell’ Impero Romano. Un modo per esorcizzarlo e temperare gli eccessi e gli estremismi, allora diffusi e variegati, che avevano proliferato in innumerevoli sette e correnti teologiche e spirituali nei primi quattrocento anni dell’era cristiana.

Dietro un’apparente successo si può celare una sconfitta sostanziale. Perché l’adattamento alle regole del potere possono minare le fondamenta di qualunque ideologia o movimento. Schematizzandolo ed irreggimentandolo secondo criteri più consoni e favorevoli a ciò che prima tendeva a contrastare.

Non sfugge a questa regola la nostra storia contemporanea. Adattandosi a tante circostanze anche meno altisonanti di quella citata prima.

Il Festival di Cannes ha assegnato il Gran Prix a Gomorra di Matteo Garrone. Pellicola tratta dall’omonimo “best seller” di Roberto Saviano.

Si potrebbe dire che, per parlare di un libro ed un film, non c’è bisogno di scomodare un Imperatore e la nascita della Chiesa Cattolica così come la conosciamo oggi. Sebbene, però, è anche vero che i percorsi umani e i fatti sono costellati di una serie di segnali non necessariamente macroscopici, bensì minuti e apparentemente poveri di significato.

Quello che, fino a ieri era un caso più sociale che letterario, potrebbe essere opportunamente archiviato insieme a numerosi suoi degni predecessori, dopo il prestigioso riconoscimento cinematografico dall’effetto catartico, espiatorio ed esorcistico.La stessa Natalia Aspesi, su La Repubblica, legge un parallelismo tra “il caso Mattei” di Gianfranco Rosi, all’epoca premiato con la Palma d’Oro e Gomorra. Seppur limitandolo all’aspetto trofeistico e senza scendere nell’impatto sociale di denuncia che i due film desideravano evidenziare.

Due spaccati della storia italiana, il primo dedicato a quello che può essere definito il primo grande mistero insoluto della Repubblica Italiana, il secondo uno spaccato della nostra storia recente e drammatica contemporaneità, che rischia anch’esso di volgere a breve nell’oblio delle cronache e dell’irrisolto.

Saviano con il suo libro aveva sollevato quello che comunemente potrebbe essere definito il più classico dei polveroni. Descrivendo una realtà concreta e circostanziata di fatti legati alla Camorra. Ricco di nomi, date e cronache, strettamente connessi alla quotidianità miserevole della gente della strada. Dalla sua descrizione emerge, si uno spaccato di Napoli e dintorni, ma anche la consapevolezza e la denuncia che alla fine chi paga a caro prezzo, anche della vita, sono sempre gli stessi disgraziati. Vittime e carnefici al tempo stesso al solo scopo di produrre ricchezze cha altri, altrove, si godranno nell’impunità. Con lucidità e coraggio un rosario di Persone viene sgranato, tanto da costringere il giovane scrittore alla coabitazione con un scorta permanente, per proteggerlo da coloro che lui ha accusato. Gli Schiavone, i Casalesi, le griffe di moda , la politica collusa, i rifiuti tossici. Un’elenco sterminato.

Tutto ciò dal film scompare, rimangono solo le disgrazie di Pasquale e Gennarino. La prigione di coloro che si sentono liberi nelle vele di Scampia. L’asfalto impregnato dal sangue di una mattanza senza fine.

Ecco che la catarsi è completa, spariscono i mandanti, il grande pubblico può accedere alla versione edulcorata nell’illusione, degna della “Selezione Reader's Digest”, di aver letto senza fatica, in poco più di due ore di proiezione, un libro drammatico e sconvolgente. La massificazione ha le sue regole, così come il compromesso del potere che fagocita ciò che era scomodo per vomitarlo in edizione riveduta e corretta con tanto di beneplacito della grande distribuzione. Nuovi eroi da emulare, dopo il Riina televisivo osannato dai giovani del quartiere Z.E.N. di Palermo. Con buona pace del regista Garrone, che dichiara con candore “… non credo che il premio possa aumentare i rischi per lui (Saviano), abbiamo raccontato la camorra dall’interno, attraverso gli aspetti umani delle persone coinvolte, non ci sono nomi, è diverso dal libro che denuncia nomi e cognomi”. Dunque diverso è il pubblico delle sale cinematografiche e necessariamente diverso deve essere ciò che possono sapere molti, rispetto a ciò che sanno pochi. Tutto questo ricorda esempi recenti di querele per diffamazione che soprassiedono qualora il presunto reato avvenga a mezzo libri, ma scattano violentemente quando travalicano la soglia del grande pubblico televisivo.

Autorevole, come potrebbe essere diversamente, si aggiunge l’imprimatur della signora Afef Jnifen, nota autorità in materia di comunicazioni, per via della sua relazione coniugale con Tronchetti Provera, la quale dichiara: "Non c'è un film che faccia vedere una cosa positiva italiana", proseguendo ,"vorrei che i nostri panni sporchi si lavassero in casa".

Il quadro è, così, completo. Trattasi di beghe di condominio.

A questo punto non c’è nessuno che ritenga sia il caso di trasferire i processi per camorra a Forum su Rete 4? Tra l’altro il cognome della conduttrice dovrebbe essere una garanzia.

Ora anche Gomorra avrà il suo spazio tra i misteri italiani, in buona compagnia e a breve il Governo potrà vantare un successo nelle politiche di risparmio con il taglio della scorta a Roberto Saviano, causa esorcizzazione dello stesso.

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giovedì 15 maggio 2008

La trave e la pagliuzza.

Finalmente qualcuno ne canta quattro a quel Travaglio. D’Avanzo, su La Repubblica, se ne è fatto un punto d’onore. Finalmente un giornalista coraggioso che scava a fondo per scoprire il marcio che si cela sotto il velo dell’apparenza. Grazie ad una fonte, a tutt’oggi anonima, ma presumibilmente qualcuno ben introdotto nelle disavventure giudiziarie del caso Cuffaro, lo scaltro giornalista-investigatore, ci dice che il re è nudo!

Ma in tutto ciò sfugge un dettaglio e allora vado a cercare in tutti i data base dei siti istituzionali del nostro paese e scopro che quel cattivaccio di Travaglio non riveste cariche pubbliche e neanche politiche. Nessuno lo ha eletto, tantomeno nessuno gli ha assegnato un’incarico di amministratore, neanche di condominio. Allora mi vedo costretto a rileggere la “denuncia” del giornalista di Repubblica.

Leggo bene e scopro che in ciò che viene contestato a Travaglio non ha, comunque, alcuna rilevanza penale. Come del resto veniva precisato anche in riferimento alle attività imprenditoriali di Schifani.

Allora qual è la discriminante tra Travaglio e Schifani? Dov’è che non è equilibrata l’equazione di D’Avanzo?

La risposta è che Travaglio un semplice cittadino mentre Schifani è la seconda carica dello stato. Al primo è richiesto ciò che è esigibile a ciascuno di noi. Un comportamento esente da comportamenti che violino la legge e basta. Al secondo, oltre ad aspettarsi i medesimi standard dei comuni cittadini, si chiede la più totale integerrimità e trasparenza, presente e passata. Perché mentre il giornalista piemontese non è titolato a rappresentarci tutti in avvenimenti pubblici in Italia ed all’estero, il secondo si. E, come lui tutte le cariche dello stato a partire dal Presidente della Repubblica all’ultimo dei Consiglieri comunali.

Ecco dove la logica e il buon senso non regge. Ecco dove il giudizio si ribalta rispetto alle considerazioni delle prime righe.

I politici non possono essere giudicabili per nessuno dei loro atti e, sopratutto dai cittadini che li eleggono. Ancora una volta i peones dell’informazione corrono in soccorso della Casta. Ormai piena dell’ecumenismo berlusconiano e della nuova via per una “economia spirituale” di Tremonti. La casta, dietro un’evangelico “chi è senza peccato scagli la prima pietra” cerca di attribuirsi un’infallibilità anche superiore a quella dello stesso Papa. Perché, se il dogma ammette che questo è infallibile solo per ciò che fa e dice, dal momento in cui viene eletto, per i politici vige la regola della retrodatazione degli effetti. A questo punto immaginiamo fin dal concepimento.

Non sono voluto entrare nel merito di ciò che Travaglio ha fatto nel 2003. Non ero lì ad assistere, per cui se un magistrato ha stabilito che dalle intercettazioni non è emerso alcun comportamento penalmente rilevante a me basta. Il resto sono affari suoi.

Non mi basta in ugual misura sapere che Fassino chiama Consorte, che Cuffaro aiuta certe persone, che Schifani intrattiene certi rapporti d’affari. Se dovessi andare avanti dovrei trascrivere qui un’intera enciclopedia, pur toppo.

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Prove concrete di dialogo…

Dopo il “se po’ fa’” del Cavaliere, davanti all’aula di Montecitorio. Ieri a Napoli abbiamo potuto vedere che la giunta di Centrosinistra cominciava ad attuare gli intendimenti di un governo, che all’atto pratico non si è ancora insediato.

Via tutti i Rom dal capoluogo Partenopeo!

E si! Perché, come quando Jonny Stecchino, alias Benigni, ci ricordava che il traffico “diffama la Sicilia e in patticolare Palemmo agli occhi del mondo...”. Tutti noi sappiamo che il primo pensiero che ci sovviene, allorché pensiamo ai problemi di primaria importanza che attanagliano Napoli, è il problema dei campi nomadi. Non la Camorra, non i rifiuti… bensì i Rom.

Delle due, allora, una. O la stampa e le Tv dormivano oppure mentivano. Infatti non si spiega perché fino ad oggi ci abbiano raccontato solo degli scontri per le discariche o delle faide della malavita organizzata. Mai evidenziando il problema dei Nomadi, come quello più urgente e grave.

In una città dove si chiudono le scuole perché la strada di accesso è ostruita dalla spazzatura. Dove i giovani , fin da bambini, vengono arruolati dai clan per attività delittuose. Dove infiltrazione della Camorra negli ambienti della politica è pesante e continua. Noi l’unica cosa che decidiamo di ripulire sono i campi Rom (che per inciso sono esecrabili se non altro per le condizioni sanitarie, sociali ed educative in cui crescono i bambini).

Immagino che la prossima comunità che verrà colpita dalla “pulizia etnica” sarà quella cinese. Così avremmo completato, una volta di più, un opera pia in favore della Camorra. Ormai stufa della vergognosa concorrenza sleale che queste due comunità continuano a farle. La strada del pieno sostegno al “Made in Italy” è appena stata imboccata. Forse andrà avanti al grido di “autarchia anche per la delinquenza!”. Presto potremmo esportare i nostri “Picciotti D.O.C.G.”. Per i politici, invece, dovremmo attendere il benestare dell’ Unione Europea, subito dopo che verrà approvata la legge che abroga il casellario giudiziale per tutti loro, con la contestuale cancellazione di tutte le pendenze passate, presenti e future.

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mercoledì 14 maggio 2008

Mars Attacks?

Negli ultimi due giorni noto che, “casualmente”, vengono pubblicate due notizie che ci informano prima che la chiesa, per bocca del direttore della Specola, Josè Gabriel Funes, dichiara che l’esistenza di vita extraterrestre non mette in discussione la fede nella creazione, nell'incarnazione e nella redenzione”. Poi che, il governo del Regno Unito, aprendo i suoi archivi, ci dice che il 10% dei casi di avvistamento denunciati non ha spiegazioni plausibili e “terrene”. Precisando, non si sa sulla scorta di quale elemento visto che dichiara di non sapere cosa ha prodotto il fenomeno, che questi non costituiscono una minaccia.

In pratica entrambe le autorità, si badi bene una spirituale ed una secolare, sembra vogliano dirci:

Non esistono gli omini verdi. Ma qualora ciò non dovesse essere, uno non meravigliatevi, due, comunque noi l’avevamo già previsto, tre sono amici nostri”. Il che non è affatto male per chi dichiara di non avere elementi concreti in materia.

Mi si accende una lampadina in testa se noto la concomitanza temporale della notizia. Che ovviamente è assolutamente casuale. Ma memore dell’esperienza di Mars Attacks vorrei porgere una semplice domanda.

Santità, Vostra Maestà. Non è che avete qualcosa da dirci e non sapete come fare?

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martedì 13 maggio 2008

Travaglio e Materazzi

Difficile inserirsi nel dibattito sul caso Travaglio – Schifani, senza correre il rischio di ripetersi. Ma leggendo l’articolo di D’Avanzo su Repubblica.it, mi sovvengono diverse riflessioni.

Innanzi tutto il proliferare ampio e diffuso di un esercizio dialettico e dottrinale per argomentare sul perché Travaglio abbia torto e tutti gli altri ragione, Schifani incluso. Pretendendo, al contempo, che questo non possa essere la riprova che tutto il sistema mediatico sia esattamente controllato ed indirizzato, come viene accusato di essere da molti.

Basti pensare l’invocato diritto di replica del quale pare, sembra, essere stato privato il Presidente del Senato, per cui, alla fine, a fronte di uno spazio concesso al giornalista di Annozero pari a circa 15 minuti, si sono riscontrate reazioni di zelanti “avvocati difensori” (excusatio non petita accusatio manifesta) per oltre 48 ore (e non si sono ancora esaurite). Tali da configurarsi come eccesso di legittima difesa. Domenica sera ho pensato che, di una siffatta difesa d’ufficio avrebbe avuto più bisogno il buon difensore dell’Inter, Materazzi. Reo di aver sbagliato il rigore scudetto e per il quale è stato allestito un processo mediatico – accusatorio, tale da mettere a rischio concreto l’incolumità del giocatore e della sua famiglia. Ma, evidentemente, il diritto di replica ed autodifesa è “conditio sine qua non” solo per alcuni specifici esponenti della nostra società. Però non gridiamo all’antipolitica se alcuni preferiscono meglio definirli col nome di casta.

Molti hanno osservato come appaia sospetto il fatto che il problema si sia posto solo allorché, quanto riferito da Travaglio, abbia travalicato la carta scritta dei libri o le pagine html del web, giungendo alla quotidianità del pubblico televisivo. Producendo una reazione violenta e isterica simile a chi, trovandosi in un reparto rianimazione di ospedale, si preoccupi di garantire che pazienti in convalescenza non vengano disturbati nella loro quiete. Come spettatori televisivi, è dunque così, che siamo considerati? Pazienti in stato semivegetativo a cui è opportuno celare la diagnosi di malati terminali?

Sarebbe una ben triste constatazione questa. Perché lo stesso D’Avanzo argomenta con grande stile e dottrina, invocando il più classico dei: “noi lo sapevamo già e lo avevamo denunciato…” ma conclude con una teoria che è tutta da verificare. Secondo la quale loro (stampa e tv) sono gli unici deputati ad analizzare e valutare i fatti, per cui se loro stabiliscono che una notizia non “ha da essere” questa può essere celata alla pubblica opinione a buon diritto. Aggiungendo che esiste una sorta di prescrizione, o meglio, miopia mediatica, per cui, se, a loro insindacabile giudizio, è trascorso un lasso di tempo adeguato, la questione passa in giudicato e a nessun titolo può essere rivangata.

Il giornalista di Repubblica ci ricorda che “il passato è passato” ma non chiarisce se si può escludere che non vi sia una nesso tra la nostra classe politica e le condizioni in cui versa il nostro Sistema Italia. E come si può non ritenere necessario che la lotta alla criminalità organizzata, necessiti di misure draconiane che facciano terra bruciata intorno ad essa e, se pur non penalmente perseguibili, considerare politicamente inadatti ad una carica pubblica quanti abbiano avuto a che fare, a vario titolo, con condannati per reati di mafia. Come accade in molte democrazie del mondo.

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Un libro che fa paura.

Credo che si possano trovare mille argomentazioni per descrivere perché si è voluto leggere un determinato libro. Più arduo dire altrettanto se si vogliono descrivere le ragioni per cui non si vuole leggerlo. Tanto più se si tratta di un libro famosissimo, entrato a far parte dell’immaginario popolare per le più svariate ragioni e travisazioni. Se poi rientra tra uno dei generi di letture preferito la faccenda rasenta l’inspiegabilità.

Ma per far chiarezza bisogna specificare parlo di un genere letterario spesso screditato e bollato con il marchio di letteratura di serie “B”; la Fantascienza. In realtà dietro questa definizione si racchiude tutto un mondo di sub-generi ed autori, validi e meno validi. Su Wikipedia è descritta come: l'impatto che una scienza e/o una tecnologia (attuale o immaginaria) avrà sulla società o sull'individuo” ed aggiunge: “un certo grado di plausibilità scientifica rimane un requisito essenziale”. Insomma un modo di prefigurarsi il futuro proiettando le propensioni del mondo attuale.

Partendo da questa definizione direi che la quasi sparizione di una larga e diffusa produzione contemporanea di questo genere dagli scaffali delle librerie è sintomatico delle speranze che la nostra società ripone nel futuro. Come una improvvisa scomparsa dell’orizzonte dalla nostra prospettiva. Progressivamente, nel corso degli ultimi venti anni, la nostra attenzione si è via via spostata sull’odierno, come se il nostro sguardo si fosse progressivamente abbassato fino a fissare continuamente i nostri piedi. E, si sa, in questa postura non si può che stare fermi, altrimenti il rischio di andare a sbattere è rilevante. Forse questo stato d’animo che ci permea spiega ciò a cui facevo riferimento all’inizio. Infatti la ragione per cui si può pensare di non leggere un libro di fantascienza, scritto molti anni orsono, è la paura. La paura che la plausibilità di allora sia diventata, oggi, realtà e quotidianità.

E credo, di non esagerare se chiarisco che il libro a cui mi riferisco è 1984 di Gerorge Orwell.

Questa opera letteraria che risale alla metà del secolo scorso, certamente nota ai più per via di uno degli elementi che maggiormente la caratterizzano, il “Grande Fratello”. Questo aspetto del romanzo ha così colpito l’immaginario collettivo da aver acquisito una vita ed una autonomia propria. Spesso a sproposito, perché coloro che col tempo, progressivamente, si appropriavano di questa definizione non sempre ( per non dire raramente ) avevano letto il libro. Io tra questi.

Ma come spesso accade il fato, il destino, l’ineluttabilità di certe cose che ci capitano, forse attendevano che fossero maturi i tempi. Come una bomba ad orologeria che attenda di esplodere finché il momento non sia quello giusto.

La mia impressione è che leggere questo libro tanti anni fa poteva essere svilente per esso stesso. Lo avrebbe veramente degradato a semplice romanzo di fantascienza, a puro esercizio dialettico di immaginazione.

Leggerlo oggi è come lo svelarsi del terzo segreto di Fatima (quello vero), come la decriptazione definitiva delle terzine di Nostradamus, come sapere la verità sulla morte di J.F.Kennedy, come avere la registrazione di Bush e Cheney che organizzano l’11 settembre. Insomma avere la chiarezza e l’angoscia di capire che o Eric Arthur Blair, alias George Orwell, ha realmente visto il futuro ma ne ha male interpretato la sostanza, o ha prefigurato la sua ineluttabilità alla luce delle esperienze di quello che lui stava vivendo allora.

Solo così possiamo spiegare le assolute analogie presenti nel romanzo come quelle tra il “traditore Goldenstein” e O. Bin Laden, che entrambe appaiono periodicamente sugli schermi per lanciare minacce e, così, giustificare l’esistenza stessa del sistema che dichiarano di avversare. Oppure la metodologica e certosina riscrittura, quando non occultamento, del passato lontano e recente. Anche lo sviluppo di stampa e TV in questi anni è perfettamente in linea con il sistema mediatico descritto in 1984, unica cosa che sembra essere sfuggita è l’attuale poliedricità e incontrollabilità della rete Internet. Sarà la nostra ancora di salvezza o l’ultimo baluardo che crollerà?

O anche, la figura rassicurante e tranquillizzante del Grande Fratello ( in inglese Big Brother che vuol dire fratello maggiore ), tra l’altro molto somigliante a quell’ Hitler canuto e benevolo dipinto da Robert Harris in Fatherland, che viene subito in mente quanto sentiamo il neo ministro Tremonti decidere di parlare di Illuminati in TV (senza che alcuno in studio o fuori pensi bene di chiedere chiarimenti o, altrimenti, invitare Berlusconi a procedere alla immediata rimozione dall’incarico per palese insanità mentale) e di un “Nuovo Ordine Mondiale” (N.W.O.)che tolga il potere ai banchieri tecnocrati per concederlo nelle mani di qualcuno che garantisca un governo più attento ad aspetti spirituali. In fondo, anche Orwell immagina un mondo governato da un’entità astratta “che non sbaglia mai” in cui si deve credere in maniera fideistica.

Forse il vero problema è che i banchieri sono reali e contestabili in quanto tali, molto meglio un “Big Brother” dietro cui nascondere demiurghi terreni. Rendendo così inappellabili le decisioni che governeranno il mondo futuro.

Lo scrittore Robert Heinlein diceva: “ Orwell è un maestro che tramite le favole ammonisce a non credere alle favole, che stimola a mantenere sempre alta la coscienza e lo spirito critico, a dubitare delle rivoluzioni, a dubitare del nostro stesso pensiero, perché potrebbe essere condizionato dal linguaggio costruito apposta per incarcerare la nostra mente“.

Ma, forse questo è un altro romanzo di fantascienza, che, come sappiamo, è sempre “letteratura di serie B”.


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lunedì 12 maggio 2008

Complici consapevoli o burattini?

In pochi giorni abbiamo assistito ad una sequela di rivelazioni da far rabbrividire. Cose da film horror del tipo “invasione degli ultracorpi”, Di quelle situazioni che solo a pensarci ti fanno provare una fitta claustrofoba tale da decidere che la tua sola speranza è riposta nell’ignoranza più totale ed assoluta.

Artefice principale è stato il neo ministro Tremonti, il quale prima a Porta a Porta e poi ad Annozero, ha parlato di qualcosa che i più ritengono sia una setta frutto dell’immaginazione di Dan Brown (c.f.r. Angeli e Demoni), ossia gli Illuminati.

Questa sedicente organizzazione a carattere massonico, il cui scopo sostanziale è quello di dominare il mondo (sembra il cattivo di 007 e fa un po’ ridere ma la sostanza è questa) , si riteneva estinta da tempo, invece grazie al titolare del dicastero dell’economia, scopriamo che ancora essa tesse le sue tele più forte che mai, anzi, che è responsabile della crisi economica in cui versa il mondo occidentale. Infatti da Vespa dichiara, parlando della globalizzazione, :“ ...io non ho mai pensato che fosse possibile bloccarla, ho sempre pensato che sia stata una pazzia, fatta da pazzi autentici, gli Illuminati, fanatici, lanciarla di colpo...”, prosegue dicendo che: “... negli anni '90 chi governava, una setta di pazzi Illuminati e fanatici ha deciso che il mondo doveva andare (n.d.r. riferito a quella direzione), era la "terza via di Clinton". A ratificare quanto detto, poi, provvedeva nientedimeno che l’ex ministro degli esteri Massimo D’Alema il quale in riferimento ad candidato democratico Barak Obama commenta: “appartiene alla stessa setta di Illuminati che lui ha descritto come la rovina dell'umanità, la setta Clinton”, cui risponde Tremonti: “No, Clinton è rimasto di quell'idea”. Da Santoro, a conferma che non si era trattato di un lapsus involontario, Tremonti rimarcava ancora il concetto:"A partire da.. dalla fine degli anni '90 e poi in questo secolo, un gruppo di.. diciamo di Illuminati, banchieri diventati statisti, politici diventati pensatori economici, falsi profeti, hanno predicato i benefici del mito del 21° secolo..." e poi: "...solo dei pazzi Illuminati, se vuole le dico anche i nomi italiani, ma è meglio di no, hanno pensato, governando gli anni '90 e poi dopo, che il mondo potesse essere forzato...", concludendo: "Tutti questi Illuminati che governano l'economia, hanno gestito la crisi che c'è e che ci sarà e che continua e si aggrava e contagia, l'hanno gestita con gli strumenti vecchi e cioè dire, con la riduzione dei tassi d'interesse, con l'iniezione di liquidità. Non reagisce l'organismo, anzi, si sta ancora peggio. E' cambiato il mondo, deve cambiare il governo del mondo.

In conclusione nelle due principali tribune del dibattito politico televisivo italiano (di destra e sinistra) è stata pronunciata, per ben sei volte la parola Illuminati. E non da dei pazzi fanatici, ma da due autorevoli esponenti del governo uscente ed entrante (nessuno potrebbe mai sostenere impunemente che trattasi di incapaci di intendere e volere), titolari di economia ed esteri, ossia persone che per dovere d’ufficio possono e devono sapere certe cose.

Al di la dei contenuti drammatici di certe affermazioni e dell’autorevolezza di chi li esterna, la cosa che dà da pensare è che, i due anfitrioni delle trasmissioni, Vespa e Santoro, non solo si siano ben guardati dall’approfondire certi aspetti, ma frettolosamente abbiano auspicato la chiusura di certi temi.

Insomma ci si aspetterebbe che, un mediocre giornalista (non se ne pretende uno buono), quando scopre che un’organizzazione massonica segreta governi il mondo, chieda chiarimenti e stravolga la scaletta del programma per dare spazio a questa sconvolgente notizia. Si immaginerebbe che tutti i media concentrassero le loro attenzioni su una rivelazione che non sarebbe inferiore, per importanza, alla notizia che gli extraterrestri si sono manifestati sulla terra.

Invece il silenzio ha regnato sovrano.

Anzi a ben vedere scopriamo che anche Tremonti non può essere considerato avulso dal sistema che ha denunciato. Dato che se gli illuminati sono i responsabili della Globalizzazione. Che la globalizzazione è un’obbiettivo di un grande gruppo di pressione e potere come il Bilderberg e che Tremonti ne è stato membro. Allora, a buon titolo si può desumere che le sue esternazioni altro non siano che la dimostrazione che sia in atto una faida interna tra due correnti facenti capo agli illuminati.

L’ansia aumenta se poi leggiamo che il quarto governo è sostanzialmente un quadrunvirato, con i tre principali leader della coalizione: Berlusconi, Maroni (o Fini), Bossi, più Tremonti. La domanda che ci si pone è che se i primi tre sono espressione di una rappresentanza democratica del nostro paese, il quarto chi rappresenta?

Ma di tutto ciò i media non danno conto, si limitano a far da cassa di risonanza alle dichiarazioni, sempre dello stesso Tremonti che, dall’Annunziata, lancia un messaggio degno della miglior sinistra massimalista: “qualche sacrificio devono iniziare a fare banche e petrolieri - ha spiegato - le banche dovranno pagare qualcosa in più di tasse….”. Guarda caso l’attacco è rivolto ancora una volta verso la componente bancaria degli Illuminati. Dunque, citando le sue affermazioni “E' cambiato il mondo, deve cambiare il governo del mondo”, ossia rimuovere un gruppo di potere più pragmatico laico per sostituirlo con un altro.

Non è dato sapere se l’altro sarà la semplice e pura volontà democratica dei cittadini.

Ma se vogliamo dare retta ad Al Gore che nel corso di un’intervista ha dichiarato: “io credo profondamente che la salute della democrazia sia in pericolo”. Proprio riferendosi alla compromissione di tutto il sistema mediatico con il potere, non c’è da star sereni.

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domenica 11 maggio 2008

La paura di leggere.

Credo che si possano trovare mille argomentazioni per descrivere perché si è voluto leggere un determinato libro. Più arduo dire altrettanto se si vogliono descrivere le ragioni per cui non si vuole leggerlo. Tanto più se si tratta di un libro famosissimo, entrato a far parte dell’immaginario popolare per le più svariate ragioni e travisazioni. Se poi rientra tra uno dei generi di letture preferito la faccenda rasenta l’inspiegabilità.

Ma per far chiarezza bisogna specificare parlo di un genere letterario spesso screditato e bollato con il marchio di letteratura di serie “B”; la Fantascienza. In realtà dietro questa definizione si racchiude tutto un mondo di sub-generi ed autori, validi e meno validi. Su Wikipedia è descritta come: l'impatto che una scienza e/o una tecnologia (attuale o immaginaria) avrà sulla società o sull'individuo” ed aggiunge: “un certo grado di plausibilità scientifica rimane un requisito essenziale”. Insomma un modo di prefigurarsi il futuro proiettando le propensioni del mondo attuale.

Partendo da questa definizione direi che la quasi sparizione di una larga e diffusa produzione contemporanea di questo genere dagli scaffali delle librerie è sintomatico delle speranze che la nostra società ripone nel futuro. Come una improvvisa scomparsa dell’orizzonte dalla nostra prospettiva. Progressivamente, nel corso degli ultimi venti anni, la nostra attenzione si è via via spostata sull’odierno, come se il nostro sguardo si fosse progressivamente abbassato fino a fissare continuamente i nostri piedi. E, si sa, in questa postura non si può che stare fermi, altrimenti il rischio di andare a sbattere è rilevante. Forse questo stato d’animo che ci permea spiega ciò a cui facevo riferimento all’inizio. Infatti la ragione per cui si può pensare di non leggere un libro di fantascienza, scritto molti anni orsono, è la paura. La paura che la plausibilità di allora sia diventata, oggi, realtà e quotidianità.

E credo, di non esagerare se chiarisco che il libro a cui mi riferisco è 1984 di Gerorge Orwell.

Questa opera letteraria che risale alla metà del secolo scorso, certamente nota ai più per via di uno degli elementi che maggiormente la caratterizzano, il “Grande Fratello”. Questo aspetto del romanzo ha così colpito l’immaginario collettivo da aver acquisito una vita ed una autonomia propria. Spesso a sproposito, perché coloro che col tempo, progressivamente, si appropriavano di questa definizione non sempre ( per non dire raramente ) avevano letto il libro. Io tra questi.

Ma come spesso accade il fato, il destino, l’ineluttabilità di certe cose che ci capitano, forse attendevano che fossero maturi i tempi. Come una bomba ad orologeria che attenda di esplodere finché il momento non sia quello giusto.

La mia impressione è che leggere questo libro tanti anni fa poteva essere svilente per esso stesso. Lo avrebbe veramente degradato a semplice romanzo di fantascienza, a puro esercizio dialettico di immaginazione.

Leggerlo oggi è come lo svelarsi del terzo segreto di Fatima (quello vero), come la decriptazione definitiva delle terzine di Nostradamus, come sapere la verità sulla morte di J.F.Kennedy, come avere la registrazione di Bush e Cheney che organizzano l’11 settembre. Insomma avere la chiarezza e l’angoscia di capire che o Eric Arthur Blair, alias George Orwell, ha realmente visto il futuro ma ne ha male interpretato la sostanza, o ha prefigurato la sua ineluttabilità alla luce delle esperienze di quello che lui stava vivendo allora.

Solo così possiamo spiegare le assolute analogie presenti nel romanzo come quelle tra il “traditore Goldenstein” e O. Bin Laden, che entrambe appaiono periodicamente sugli schermi per lanciare minacce e, così, giustificare l’esistenza stessa del sistema che dichiarano di avversare. Oppure la metodologica e certosina riscrittura, quando non occultamento, del passato lontano e recente. Anche lo sviluppo di stampa e TV in questi anni è perfettamente in linea con il sistema mediatico descritto in 1984, unica cosa che sembra essere sfuggita è l’attuale poliedricità e incontrollabilità della rete Internet. Sarà la nostra ancora di salvezza o l’ultimo baluardo che crollerà?

O anche, la figura rassicurante e tranquillizzante del Grande Fratello ( in inglese Big Brother che vuol dire fratello maggiore ), tra l’altro molto somigliante a quell’ Hitler canuto e benevolo dipinto da Robert Harris in Fatherland, che viene subito in mente quanto sentiamo il neo ministro Tremonti decidere di parlare di Illuminati in TV (senza che alcuno in studio o fuori pensi bene di chiedere chiarimenti o, altrimenti, invitare Berlusconi a procedere alla immediata rimozione dall’incarico per palese insanità mentale) e di un “Nuovo Ordine Mondiale” (N.W.O.)che tolga il potere ai banchieri tecnocrati per concederlo nelle mani di qualcuno che garantisca un governo più attento ad aspetti spirituali. In fondo, anche Orwell immagina un mondo governato da un’entità astratta “che non sbaglia mai” in cui si deve credere in maniera fideistica.

Forse il vero problema è che i banchieri sono reali e contestabili in quanto tali, molto meglio un “Big Brother” dietro cui nascondere demiurghi terreni. Rendendo così inappellabili le decisioni che governeranno il mondo futuro.

Lo scrittore Robert Heinlein diceva: “ Orwell è un maestro che tramite le favole ammonisce a non credere alle favole, che stimola a mantenere sempre alta la coscienza e lo spirito critico, a dubitare delle rivoluzioni, a dubitare del nostro stesso pensiero, perché potrebbe essere condizionato dal linguaggio costruito apposta per incarcerare la nostra mente“.

Ma, forse questo è un altro romanzo di fantascienza, che, come sappiamo, è sempre “letteratura di serie B”.

Se vi è piaciuto questo post potete votarlo a partire dal 12/05/2008 a questo link:

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venerdì 9 maggio 2008

Quote rosa, quasi cipria.

No so quanti ricordano quando, a fine legislatura (14^) del precedente governo Berlusconi, ci fu quella scena pietosa in cui il disegno di legge sulle “disposizioni in materia di pari opportunità tra uomini e donne nell' accesso alle cariche elettive”, fortemente voluto dall’allora Ministro per le pari opportunità, Stefania Prestigiacomo, venne approvato con un’ampia maggioranza al Senato, quasi senza incontrare ostacoli, ben sapendo, tutti, che l’imminente scioglimento delle camere avrebbe impedito che la Camera avesse il tempo di fare altrettanto. Non si sa se la sarcasticita della situazione fosse dettata più da fatto che, volutamente si era procrastinato l’esame del testo così da renderlo un mirabile esempio di incompiuta, oppure dall’applauso finale del Senato e di quanti accoglievano con un grande sollievo, pur avendo votato a favore, il fatto che era stato sventato il rischio che, l’introduzione delle quote rosa, avrebbero potuto precludere a molti la possibilità di ricandidarsi alle elezioni successive.

Questo solo per ricordare cosa accade se si preferisce selezionare le donne in politica con metodi più consoni alla selezione per “Le folies berges” piuttosto che andare alla ricerca di una sana competenza specifica.

In quest’ottica il quadro che emerge dalla lista dei componenti del nuovo Consiglio dei Ministri, è quello di chi, in generale, non sembra avere grande considerazione per le donne, salvo che queste non siano poche, giovani e carine.

Ecco, quindi, che il nuovo esecutivo conta quattro donne degne della prima serata TV, di cui una tale nel senso stretto del termine. Dalla più “vecchia” Prestigiacomo all’ambiente, passando per la Gelmini all’Istruzione, proseguendo per la Carfagna alle pari opportunità e finendo con la “bimba prodigio” Meloni alle politiche giovanili. Età massima 41 anni, minima 31. Due titolari di un ministero con portafoglio e due prive.

Fattore comune oltre al sesso, la sostanziale inesperienza nei settori in cui sono state chiamate ad operare. Eccezion fatta per la Meloni, se crediamo che essere giovane e fuoricorso all’università, sia idoneo titolo di merito per essere titolare di un incarico amministrativo in materia di politiche giovanili. Certo il Ministro potrà essere un fulgido esempio per i giovani dimostrando che grazie alle benemerenze di partito si può evitare precariato e tutte le difficoltà cui la gioventù odierna è avezza e vantare una dichiarazione dei redditi intorno ai 90.000 euro.

Certo mettere delle neofite alla guida di settori chiave e strategici come l’ambiente e l’istruzione, appare azzardata. Infatti entrambi rappresentano il sostanziale futuro del nostro paese. Dal primo dipende strettamente dove vivranno i nostri figli e la salubrità che esso potrà garantire. Tenendo ben presente che già nell’immediato c’è la patata bollente rifiuti in Campania da gestire nonché tutta una politica ambientale da costruire da zero. E se andiamo a vedere i trascorsi della Prestigiacomo pur con tutti i benefici del dubbio, non riusciamo a scorgere alcuna sua iniziativa specifica in materia ambientale o dimostrazione di “know-how” in materia.

La seconda riguarda la capacità che potranno avere le future generazioni di adeguare la loro preparazione culturale e professionale nel panorama di forte competizione nel quale i giovani saranno chiamati ad operare. Ricordando che la base di partenza del nostro sistema scolastico è estremamente deficitario. Certo è che, se il programma della Gelmini è quello esplicitato nella proposta di legge n. 3423 , presentata alla Camera il 5 febbraio 2008, gli auspici che se ne traggono non sono i migliori. Infatti il sestema scolastico che si desume dalla sua iniziativa parlamentare è solo apparentemente meritocratico, ma apre grandi spazi al clientelismo tramite assunzioni extra-concorsuali e tende a spingere tutto il sistema verso un presunto efficientismo che potrebbe indurre a gli istituti scolastici a “regalare” titoli e voti per guadagnare una migliore “ranking” ai fini del finanziamento e sopravvivenza dello stesso. A detrimento della qualità del sistema educativo e della preparazione oggettiva degli studenti. Minando, al tempo stesso, gli equilibri interni dei dipendenti del sistema scolastico pubblico, tramite un’eccessiva pressione indotta da un esasperato efficientismo, produttività ed apprezzamento, la cui quantificazione dovrebbe essere demandata a non si sa bene chi (forse i presidi?) e con quale garanzia di terzietà e trasparenza.

Infine che dire del Ministro per le pari opportunità Mara Carfagna, certamente l’esperienza di soubrette le potrà giovare per comprendere meglio le dinamiche che portano il settore televisivo ad essere tra i pochi avulsi dal problema delle quote rosa. Forse intende operare una trasposizione del metodo “amici” o “x-factor” per garantire maggiori diritti ed opportunità nel mondo lavorativo e sociale alle donne.

Ma, infondo, per far questo non bisognerà attendere molto, infondo il Presidente del Consiglio è gia stato precursore, una volta di più, in questa nuova strategia tesa a concedere nuovi spazi al gentil sesso.

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Appello per una Manifestazione nazionale contro la mafia in occasione del Forum sociale antimafia 2008 a 30 anni dall’assassinio di Peppino Impastato.

Penso che un blog assomigli molto ad un diario personale, in cui scrive solo l'autore, ma di fronte a certi silenzi ed indifferenze, la coscienza si smuove e frasi come quella che troverete in fondo alla pagina possano giustificare la preoccupazione che questa disattenzione potrebbe non essere casuale.
Così come la morte di Moro fu un utile occasione da cogliere al volo, per eliminare una fastidiosa spina nel fianco. A trent'anni da allora questo rito dell'occultamento sembra perpetrarsi ancora.
Infondo sono sempre del parere che per alcuni sia meglio occuparsi di pericoli aleatori piuttosto che qui ciò che mina attualmente e concretamente tutto il nostro paese.
Anche per questo decido di dare spazio a questa lettera di Giovanni Impastato, tratta dal sito
www.peppinoimpastato.com

Appello per una Manifestazione nazionale contro la mafia in occasione del Forum sociale antimafia 2008 a 30 anni dall’assassinio di Peppino Impastato.


Sono passati ormai trent’anni dall’assassinio politico-mafioso di Peppino Impastato e 29 dalla manifestazione nazionale contro la mafia che abbiamo organizzato a Cinisi in occasione del primo anniversario della sua morte.

Non possiamo dire che da allora nulla sia cambiato; abbiamo raggiunto obiettivi importanti con il nostro impegno e con la lotta quotidiana che abbiamo condotto io, mia madre, i compagni di Peppino, Umberto Santino e Anna Puglisi fondatori del Centro siciliano di documentazione di Palermo, successivamente dedicato a Peppino, seguiti da una parte della sinistra e dei movimenti legati alla nostra storia e alla nostra lotta.

Abbiamo affrontato un lungo percorso di fatica e di sofferenza che ci ha portato anche a sperimentare l’amarezza e la rabbia quando abbiamo toccato con mano le collusioni tra la politica, le istituzioni e la mafia.

Il lavoro di memoria e le attività portati avanti in questi anni sono stati difficili, ma non certo inutili: hanno contribuito a sviluppare una coscienza antimafiosa nelle nuove generazioni che hanno recepito positivamente il nostro messaggio.

Il pensiero, le idee di Peppino e la sua esperienza di militante comunista che guardava tutte le sfaccettature della realtà lo conducevano a partire dal basso, riprendendo la linea delle lotte contadine, anticipando i tempi e accelerando un processo di crescita e di presa di coscienza rispetto al pericolo costituito dalla mafia, fino ad allora volutamente sottovalutato: la sua era una vera e propria lotta di classe contro un sistema criminale basato sullo sfruttamento e sulla sopraffazione.

Non è stato facile per lui, così come non è stato facile per noi: abbiamo raccolto la sua eredità e siamo andati avanti, cercando di continuare giorno dopo giorno per costruire un progetto di antimafia sociale che partisse dall’esperienza di Peppino, dalle sue lotte nel territorio contro la speculazione edilizia, contro la disoccupazione, a fianco dei contadini di Punta Raisi che venivano affamati dall’esproprio delle proprie terre.

Peppino era in prima fila a Palermo nelle lotte studentesche del 1968 e nei movimenti del 1977, sempre alla ricerca di metodi innovativi, sfruttando al meglio con la sua fantasia e la sua passione i poveri mezzi di comunicazione che aveva a disposizione.

Facendo tesoro delle sue scelte e del suo percorso nel 1979 abbiamo sfilato per le troppo silenziose strade di Cinisi nella prima manifestazione nazionale contro la mafia, organizzata da Radio Aut, dal Centro di documentazione di Palermo, assieme ai compagni di Democrazia Proletaria e a quella parte di movimento che era rimasta profondamente colpita dall’uccisione di Peppino. Eravamo in duemila: persone che venivano da ogni parte d’Italia, con un misto di rabbia, dolore, determinazione ed entusiasmo per i nuovi contenuti che portavamo in piazza.

La mafia non era più un fenomeno locale, circoscritto alla Sicilia, ma un fenomeno che aveva invaso pericolosamente tutto il territorio nazionale, coniugandosi con ogni forma di speculazione, di corruzione, di collusione con le istituzioni e con il potere politico ed economico, accumulando grandi masse di capitale con il traffico di droga che provocava migliaia di morti per overdose.

Siamo stati poi catapultati in una situazione pesante; ci siamo scontrati con una realtà drammatica: la mafia aveva alzato il tiro uccidendo chiunque tentasse di ostacolare il suo processo di espansione. Giudici, poliziotti, politici, militanti della sinistra, giornalisti, tutti ammazzati uno dopo l’altro in una mattanza che è durata molti anni, troppi, ed è culminata con la strategia dello stragismo.

Abbiamo vissuto tutto questo sulla nostra pelle mentre eravamo impegnati nella ricerca della verità e non solo riguardo l’omicidio di Peppino, denunciando e mettendo in evidenza gli ostacoli più turpi, quelli più dilanianti, quelli causati dalla collusione mafiosa con una parte delle istituzioni.

Le vicende giudiziarie riguardo il “caso Impastato” lo dimostrano: forze dell’ordine, magistrati, politici hanno tentato in tutti i modi di non farci arrivare alla giustizia, orchestrando un depistaggio vergognoso e tacciando Peppino di essere un terrorista-suicida. Non ci sono riusciti.

Parlare di legalità oggi significa anche riportare alla luce la versione veritiera di quanto è accaduto a Peppino e più in generale dal dopoguerra in poi, da quei grandi movimenti di liberazione che furono la Resistenza antifascista e il Movimento contadino. Le stragi di stato e le trame nere hanno insanguinato il nostro paese: Portella della Ginestra, le bombe nelle camere del lavoro, l’eliminazione di circa 40 sindacalisti e militanti della sinistra, il piano Solo, Piazza Fontana, il golpe Borghese, Piazzale della Loggia, l’Italicus, il sequestro Moro, il ruolo di Gladio, la stazione di Bologna, il Rapido 904 ed altri eventi sono tappe fondamentali nel nostro vissuto, nel vissuto di un paese costretto con la violenza a rispettare gli equilibri e gli accordi internazionali e bloccato nel suo processo di rinnovamento.

La repressione del sistema è scattata costantemente e in maniera scientifica ogni qualvolta si è cercato di apportare dei cambiamenti nel sistema sociale e ogni qualvolta il regime democristiano è stato messo in crisi. L’intolleranza rispetto ad una vittoria delle sinistre alle elezioni e alla loro avanzata ha scatenato la violenza del potere reazionario e dei gruppi fascisti contro ogni tutela democratica.

Non parliamo di vicende remote e lontane nel tempo: ancora oggi pesano le impunità delle azioni criminali fasciste dovute alle coperture e complicità istituzionali, ed è per questo che è necessario insegnare l’antifascismo nelle scuole come uno dei pilastri fondamentali della nostra Costituzione.

Negli ultimi anni la violenza di Stato ha attaccato i movimenti di lotta sociale, come è accaduto a Napoli e a Genova in occasione del G8, riapplicando lo stesso schema e le stesse strategie repressive che hanno coinvolto istituzioni, gruppi dell’estrema destra, servizi segreti e mafia.

Ecco perché bisogna gettare luce anche su alcuni lati oscuri dell’omicidio di Peppino: dai processi è venuta fuori solo una verità parziale, anche se fondamentale, una grande vittoria, ma non le motivazioni che hanno condotto al depistaggio. La Relazione della Commissione parlamentare antimafia sul “caso Impastato” ha ricostruito le dinamiche e le responsabilità del depistaggio, ma i responsabili sono rimasti impuniti.

Oggi, a distanza di tanti anni da quei fatti, viviamo una realtà che non si è affatto riassestata. Il sistema mafioso prolifera e i conflitti sociali non si sono mai assopiti: per far fronte alle degenerazioni della società, da cui scaturiscono le fortune politiche di personaggi come Berlusconi e di tanti altri, i movimenti continuano a mettere in pratica l’impegno dal basso ricoprendo un ruolo centrale nel mantenere viva l’autodeterminazione dei cittadini. È arrivato, però, il momento che acquisiscano una maggiore consapevolezza sulla centralità dell’impegno nella lotta alla mafia.

Bisogna rendesi conto che dopo il crollo del cosiddetto “socialismo reale” viviamo in una sistema di globalizzazione capitalistica, poco importa se la definizione più giusta sia imperialista o imperiale, che ricicla anche le forme più primitive di schiavitù, rilancia la guerra come forma di imposizione del dominio, rinfocola fanatismi e terrorismi, impone la dittatura del mercato e vuole cancellare le conquiste del movimento operaio, approfondisce squilibri territoriali e divari sociali, emarginando la stragrande maggioranza della popolazione mondiale, esalta la finanziarizzazione speculativa. In questo quadro le mafie si moltiplicano, con fatturati del cosiddetto “crimine transnazionale” che raggiungono più di mille miliardi di dollari, e con la formazione di veri e propri Stati-mafia.

Le analisi condotte in questi anni dal Centro Impastato di Palermo, da La borghesia mafiosa a Mafie e globalizzazione, si sono dimostrate le più aderenti alla realtà.

I movimenti noglobal degli ultimi anni rappresentano una forma di resistenza al neoliberismo e al pensiero unico ma non hanno sviluppato un’analisi adeguata del ruolo delle mafie nel contesto attuale.

Nel nostro Paese le mobilitazioni di questi ultimi mesi che hanno visto centinaia di migliaia di persone scendere in piazza per chiedere di rispettare il programma di governo, per pretendere giustizia e verità sui fatti di Genova, per difendere i diritti delle donne hanno mostrato che è presente nei cittadini la volontà di cambiare lo stato di cose. In questa prospettiva di mutamento la lotta alla mafia è uno dei terreni decisivi della lotta per il soddisfacimento dei bisogni e per la democrazia.

Ecco perché è importante che tutte le realtà impegnate nella lotta dal basso (No GLOBAL, No TAV, No PONTE, No TRIV, No al DAL MOLIN, e gli altri) garantiscano la loro presenza a Cinisi il 9 maggio 2008 in occasione del trentennale dell’omicidio di Peppino, per iniziare un nuovo percorso, per costruire e dare la spinta ad un movimento di lotta alla mafia che segua un programma rivoluzionario, non astratto e sloganistico, ma concreto e praticabile, e che si ponga l’obiettivo di battere definitivamente il fenomeno mafioso.

Non possiamo continuare ad aspettare, abbiamo perso troppo tempo.

Se non riusciamo a costruire un progetto e a trasmettere un messaggio di fiducia e di speranza alle nuove generazioni, bombardate da una strategia della diseducazione che indica come esempi da seguire personaggi di successo cinici e sfrontati, politici e rappresentanti delle istituzioni spesso sotto processo o condannati per mafia, come Dell’Utri e Cuffaro, difficilmente riusciremo a far crescere in loro una coscienza democratica e antimafiosa.

E non possiamo rimanere inerti al cospetto dei più di 1300 morti l’anno sul lavoro, un’autentica vergogna nazionale, delle migliaia di morti per l’amianto, delle vittime della malasanità, delle vittime dei soprusi e delle violenze nei paesi emarginati.

Non possiamo rimanere inerti rispetto alle devastazioni dell’ambiente e della natura che stanno letteralmente distruggendo il nostro pianeta.

Non si può sorvolare sulla necessità della laicità dello Stato come forma di garanzia per l’uguaglianza sociale e giuridica di tutti, al bando delle differenze sessuali, etniche e religiose.

Facciamo appello a tutte le associazioni che lottano per una legalità non retorica e formale, sparse sul territorio nazionale, affinché ci diano il loro contributo di idee e di azioni per lo svolgimento della manifestazione del prossimo 9 maggio.

Qualcosa comincia a muoversi: i movimenti anti-pizzo hanno ottenuto i primi risultati, promuovendo il consumo critico e l’associazionismo, i senzacasa di Palermo chiedono e ottengono le case confiscate ai mafiosi, le scuole si impegnano in prima linea, una parte del mondo religioso ha mostrato di volersi impegnare.

Facciamo appello all’informazione democratica e ai mezzi di comunicazione liberi affinché ci sostengano e sviluppino una conoscenza reale delle mafie e dell’antimafia, mentre troppo spesso assistiamo a trasmissioni e servizi che danno un’immagine suggestiva di feroci criminali e riducono l’antimafia alle iniziative più spettacolari.

Chiediamo il loro contributo agli artisti che si dichiareranno disponibili affinché con la musica, il cinema, il teatro e lo sport si cominci un’opera di sensibilizzazione e di educazione adeguate.

È importante che anche i Comuni che hanno intitolato una strada a Peppino partecipino al trentennale, così come gli iscritti alle sedi dei partiti della sinistra a lui dedicate.

Facciamo appello alle scuole, agli insegnanti e agli studenti, affinché siano al nostro fianco in questo difficile percorso.

Facciamo appello alle donne, ancora imbrigliate dai comportamenti maschilisti della nostra società, affinché partecipino numerose per rinnovare la rottura di mia madre Felicia rispetto all’immobilismo culturale, bigotto e reazionario, e per ripercorrere i passi delle tante donne, madri, figlie, sorelle, che hanno fatto dell’impegno antimafia la loro ragione di vita.

Anche i sindacati devono assumersi le proprie responsabilità, mettendo al centro i problemi del lavoro nero, precario, ultraflessibile, riprendendo le battaglie che furono di Peppino e dei suoi compagni. E chiediamo alle forze politiche che si dicono democratiche di operare un taglio netto con mafie e corruzione.

Si parla tanto di criminalità, di riciclaggio, di lavoro nero, di immigrazione clandestina, di sfruttamento minorile, di violenza sulle donne, di violenza razziale e di altre problematiche che non ci danno respiro: troppe volte ci si ferma alle parole o si adottano strategie più deleterie degli stessi problemi che dovrebbero risolvere, come i cosiddetti “provvedimenti per la sicurezza dei cittadini” che finiscono per annullare diritti umani fondamentali..

Esistono percorsi ben più sostenibili e compatibili con il benessere e il rispetto di tutti, che vengono però esclusi perché non fanno gli interessi dei soliti noti.

Aspettiamo ancora il perfezionamento della legge sulla confisca dei beni mafiosi, la legge 109 del ’96, proposta da Libera di Don Ciotti con una petizione popolare che ha raccolto un milione di firme sull’onda emotiva delle stragi di Capaci e via D’Amelio. L’intento era di avviare un nuovo percorso di sviluppo economico antimafioso, ma si è arenato negli scogli della burocrazia, del lasciar correre e degli interessi mafiosi.

Il 9 maggio a Cinisi, nell’ambito delle iniziative del Forum antimafia “Peppino e Felicia Impastato”, sarà un’occasione per riflettere su tutte queste tematiche, per far sentire la propria voce, per ribellarsi: siamo convinti che costruire un mondo senza mafia è possibile. Non solo, è necessario: un mondo senza questa “montagna di merda” che ci travolge. Il luogo scelto per la nuova Manifestazione Nazionale Contro la Mafia è Cinisi, non solo perché è lì che Peppino è nato ed ha svolto le sue attività, ma anche perché è da sempre una roccaforte dell’organizzazione mafiosa; lo fu ai tempi di Cesare Manzella prima e di Tano Badalamenti poi.

Ma tuttora il nostro paese è un pilastro del controllo mafioso: i clan locali sono rappresentati nella “commissione regionale” ed hanno un rapporto diretto con i capimafia; così è stato con Provenzano e con Lo Piccolo fino a poco fa.

È ora di attivarsi: dal 9 maggio in poi vogliamo cominciare a respirare aria pura, intrisa di libertà; vogliamo iniziare a vivere la gioia della bellezza.

Peppino, con il suo sacrificio, ci ha dato tanto. Non basta ricordarlo. Bisogna raccogliere quanto ci ha lasciato e continuare; dare nuova vita al suo pensiero e alla sua azione di uomo libero, ma soprattutto di siciliano libero.


Giovanni Impastato



“Il gruppo dirigente democristiano nello scacchiere politico locale, come su quello nazionale, si pone come un’associazione di tipo mafioso, non solo e non tanto per la convergenza di mafia e di clientele parassitarie che è riuscito a suscitare e ad aggregare attorno a sé, quanto per il modo stesso, banditesco e truffaldino, di concepire ed esercitare il potere”.






Peppino Impastato

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giovedì 8 maggio 2008

Della serie, predicare bene...

Silvio Berlusconi ha bruciato i tempi ed ha presentato immediatamente la lista dei ministri che comporranno il suo quarto governo. A detta dei più nessuna sorpresa significativa, i nomi hanno girato per diversi giorni ed ora hanno trovato conferma. Appare evidente che lo stesso Presidente del Consiglio voglia rimanere nella soglia di quanto aveva indicato in campagna elettorale, allorché disse che in parlamento servono solo una trentina di deputati, gli altri devono solo votare. Infatti il Consiglio dei Ministri che si accinge a presiedere appare fortemente verticistico, nel senso che saranno ben pochi i membri che potranno dettare la linea politica del Governo, quand’anche si tratti di materie inerenti specificatamente il loro dicastero.

Tale valutazione è dettata dalla constatazione che molti volti, oltre ad essere nuovi, presentano un carattere di sostanziale incompetenza rispetto agli incarichi ricevuti. Esponendosi quindi al rischio di risultare scarsamente autorevoli limitandosi ad una funzione di passacarte facilmente manovrabili sia dalle poche personalità forti dello stesso Consiglio dei Ministri, sia dai notabili del loro dicastero. Esemplificativo di questo aspetto appare la designazione di Mariastella Gelmini a Ministro della Pubblica Istruzione.

La neo Ministro (o Ministra come amava farsi definire la sua omologa nel precedente governo Berlusconi) ha un curriculum di tutto rispetto con una folgorante carriera politica che l’ha portata, in dieci anni, a bruciare le tappe all’interno di Forza Italia prima e del PdL poi. In questa vorticosa corsa iniziata a 22 anni già con la “discesa in campo del Cavaliere” esiste un filo conduttore che sembra portarla ineluttabilmente al soglio ministeriale.

Brilla come una perla il contrasto tra la sfiducia che ricevette, allorché eletta quale Presidente del Consiglio comunale di Desenzano, causa inoperosità anche dai membri del suo stesso partito (N.d.R. vedasi wikipedia ) e la sua determinazione a promuovere “l'attuazione del merito nella società, nell'economia e nella pubblica amministrazione” e adottare “provvedimenti e sanzioni disciplinari, compresi i licenziamenti dei dirigenti e degli altri dipendenti, a seguito di gravi comportamenti illeciti sul piano penale, civile e amministrativo, nonché per grave carenza di risultati o di rendimento”, così come ben si evince dalla proposta di legge presentata dalla Gelmini lo scorso febbraio.

Insomma se ci fosse stata una legge come quella che propone l’attuale Ministro della Pubblica Istruzione già nel 2000, si potrebbe ragionevolmente pensare che si sarebbe concretizzato un paradosso degno di ritorno al futuro. Tipo il figlio che impedisce ai futuri genitori di conoscersi. Infatti come dar torto chi avrebbe giustamente preteso il licenziamento di un presidente di consiglio comunale nullafacente? E come risulterebbe altrettanto incomprensibile ed ingiustificabile colui che decidesse gratificare con una sequenza impressionante di promozioni una persona che potrebbe a buon titolo essere additata come esempio di pubblica inefficienza.

Certo in un ottica simile si fatica a dar torto a quanti auspicano un parlamento pulito e chiedono che chi ha l’onore di governare il paese sia, esso stesso per primo, un’esempio. Purtroppo pare che, la regola che sembra aver guidato le scelte dei nuovi Ministri, sembra per molti casi quella della “persona sbagliata al posto giusto”. Ma questa è un’altra storia e se ne riparlerà più avanti.

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mercoledì 7 maggio 2008

Spazzatura e TV o TV spazzatura?

Le conseguenze di un pronunciamento sfavorevole della Corte di giustizia europea, sulla questione rifiuti italiana, ha avuto ampio eco sui media sia per i danni di immagine che alla quantificazione delle sanzioni economiche. Peccato che tale pronunciamento sia ad oggi aleatorio e tutto da venire. Ciò nonostante tutti sembrano preoccuparsi per un rischio possibile, ma non certo. La cui entità è ancora tutta da stabilire.

Probabilmente la situazione non è peggiore che in altri momenti del passato recente e non solo. Quello che incide, oltre alla strumentalizzazione politica del problema, sono le pulsioni per alcune scelte strategiche per il paese. Una tra tutte è la pretesa di risolvere il problema attraverso la costruzione di quelli che oggi sono noti come termovalorizzatori ma, fino a ieri col nome meno altisonante di inceneritori. Infatti la diatriba tra coloro che sostengono questa linea e quanti invece auspicano un maggiore impulso ad una più efficiente ed efficace raccolta differenziata ed una conseguente realizzazione di discariche eco-compatibili che di fatto dovrebbero accogliere solo sostanze biodegradabili a basso impatto ambientale. Quest’ultima soluzione, infatti, trova giustificazione nella rischio, concreto, a detta di molti che i residui della combustione indistinta dei rifiuti, non solo non raggiunga una adeguata efficienza del bilancio energetico ai fini della produzione di energia, ma esponga anche a considerevoli rischi di inquinamento dannoso per l’organismo umano, a causa dell’emissione di nano-polveri.

Certamente gli interessi economici che spingono verso la costruzione di termovalorizzatori non sono di poco conto. Forse da questo nasce la necessità di tenere alta la soglia di allarme ed urgenza.

Dimostrazione ne è il fatto che le sirene che suonano per la sentenza dell’Unione europea in tema di rifiuti non ancora sopraggiunta, non altrettanto suonano per un’altra sentenza della Corte di giustizia europea che condanna l’Italia per la questione della mancata concessione delle frequenze, occupate da Rete 4, ad Europa 7. Per la quale, in mancanza di una sua ottemperanza,a partire del 2006 dovranno essere corrisposti 300.000 euro al giorno (ad oggi sarebbero circa 50 milioni di euro). Senza contare che ieri (06/05/2008) ha avuto luogo anche l’udienza presso il Consiglio di stato che vedeva contrapposto il Governo al patron di Europa 7, Francesco Di Stefano. Precisando che, in caso di soccombenza del primo, le casse statali dovranno pagare dai 2 ai 3 miliardi di euro. In pratica l’occupazione abusiva (perché lo dicono ormai diverse sentenze dell’ U.E. e italiane) della terza rete Mediaset, potrebbe essere sovvenzionata grazie alle tasse dei contribuenti.

A fronte di tutto ciò ancora una volta il nostro sistema mediatico decide di sorvolare su un fatto dannoso, attuale e concreto come le incongruenze del nostro sistema radiotelevisivo, preferendo lanciare allarmi su presunti strali provenienti da Bruxelles. La quale, per inciso ed a detta di diversi giornalisti, sembra afflitta da una grave forma di schizofrenia per cui in certi casi sembra essere, a seconda delle convenienze di alcuni, luce e guida in eludibile per il nostro paese, ed altre volte, semplice elemento ostativo allo sviluppo del sistema Italia.

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lunedì 5 maggio 2008

UNA COSTITUZIONE A “MEZZO SERVIZIO”

Ogni tanto, su giornali e tv, ci capita di leggere o sentire notizie che riguardano il mondo militare italiano. Inteso come tutto il personale che veste una divisa. In tali contesti, spesso, ci si riferisce ad una sigla, alquanto criptica, nota come COCER. Altrettanto spesso questa sigla viene attribuita esclusivamente ai Carabinieri, abbinata ad una spiegazione che, per eccesso di sintesi, viene definita come il “sindacato dei militari”.

Le esigenze di sintesi di cronaca sono spesso comprensibili, ma, mai come in questo caso, fuorvianti. Infatti dire che il COCER è il sindacato dei militari è quanto di più improprio si possa affermare. Questo perché sarebbe come affermare che un gruppo di dipendenti, gestito direttamente da un imprenditore, all’interno della sua azienda, possano essere definiti un sindacato. Solo perché questi gli ha riconosciuto una funzione di rappresentatività dei sottoposti, conferendogli l’incarico di aiutarlo nella cura di alcune problematiche riguardanti la condizione morale/sociale del personale. Per la cronaca, la legge, vieta che vengano posti in essere attività sindacali sovvenzionate o controllate direttamente dai datori di lavoro.

Tornando alla questione di fondo, è bene spiegare ciò di cui stiamo parlando. Quello che sinteticamente viene definito COCER è l’organo centrale di una struttura più ampia e ramificata come la Rappresentanza Militare. Essa nasce alla fine degli anni settanta in seguito a, anche clamorose, rivendicazioni di piazza di tutto il personale della Polizia (allora ancora militarizzata), della Finanza, dell’Aeronautica, dell’Esercito e della Marina. Le richieste dell’epoca esano tese al riconoscimento di un sindacato vero e proprio. Comitati ed associazioni nate spontaneamente davano corso a molte iniziative comprese vere e proprie manifestazioni di piazza, con personale in divisa, che a rischio personale, sfidavano il sistema. Incorrendo spesso nella galera ed in conseguenze drammatiche per la loro carriera. Tutto quanto alla ricerca del riconoscimento di un diritto elementare come quello della libertà di associazione sindacale.

Il risultato di tale fermento fu una legge che diede vita al concetto di rappresentanza ma che sindacato proprio non era. Questo perché mentre un sindacato è dotato, innanzi tutto, di autonomia, democraticità e pluralismo. La Rappresentanza Militare pecca in democraticità ed è del tutto sprovvista di pluralismo ed autonomia.

Tutto ciò è dovuto alle caratteristiche della norma che la disciplina. Infatti esse è definita “istituto interno alla Amministrazione militare” da essa funzionalmente, gerarchicamente ed economicamente dipendente. Le sue competenze, genericamente, “riguardano la formulazione di pareri, di proposte e di richieste su tutte le materie che formano oggetto di norme legislative o regolamentari circa la condizione, il trattamento, la tutela - di natura giuridica, economica, previdenziale, sanitaria, culturale e morale - dei militari”(L. 382/78).

Da questo se ne deduce che la sua funzione è prettamente quella di suggerire e proporre, non certo di rivendicare, come proprio di una organizzazione sindacale. La Rappresentanza militare è articolata su tre livelli di competenza COBAR (Consiglio di Base di Rappresentanza), COIR (Consiglio Intermedio di Rappresentanza) e, appunto, COCER (Consiglio Centrale di Rappresentanza). Mentre i primi due sono specifici di ciascuna Forza Armata, il terzo è Interforze, anche se può esercitare le sue funzioni sia a livello di sezione (quindi di Forza Armata) che di Comparto Difesa (Esercito, Marina e Aeronautica insieme) e Sicurezza (Carabinieri e Finanza insieme). Il personale dei singoli reparti elegge i COBAR, questi eleggono i COIR che, al loro volta, eleggono il COCER. Per cui non è inusuale che per una serie di fattori venga eletto al massimo livello della Rappresentanza Militare qualcuno che ha preso un pugno di voti nella sua base, altrettanti a livello intermedio e uno o due a livello centrale. Tale circostanza riguarda soprattutto la categoria degli ufficiali e, quindi, anche colui che assolve le funzioni di presidente, essendo il più alto in grado nel consiglio. Non escluso lo stesso presidente del COCER.

Senza dubbio questo rappresenta il venir meno del più elementare concetto di rappresentatività democratica. Da ciò deriva che un interlocutore delegittimato, ha una scarsissima incisività nel rappresentare del personale nelle sedi istituzionali.

Tornando agli anni settanta ciò che accadde fu esemplificativo della soddisfazione di quanti, allora, protestavano. Infatti nell’1981 la Polizia venne smilitarizzata ed ad essa venne riconosciuto il diritto di associazione sindacale mentre a quanti continuavano a vestire le stellette tale diritto rimase negato. Per cui i decreti attuativi seguenti ratificarono quanto previsto dalla legge in materia di Rappresentanza Militare.

La differenziazione tra Polizia e Forze Armate veniva così giustificata dal semplice fatto che i primi erano diventati, di fatto, dei civili mentre per i secondi era necessario salvaguardare il rapporto gerarchico funzionale che costituiva l’ Amministrazione Militare. Come se la gerarchia non esistesse anche nell’ordinamento della Polizia di Stato.

Ma anche l'esperienza europea, già allora, portava a ritenere che non sussista alcuna incompatibilità ontologica tra la prestazione militare e l'ammissione della libertà di organizzazione sindacale. La sindacalizzazione militare è sorta e si è sviluppata agli inizi del secolo nei Paesi scandinavi dove sono nate anche le prime esperienze di democrazia industriale: in Norvegia il sindacato militare esiste dal 1880, in Olanda dal 1897. L'Associazione sindacale tra i militari è oggi consentita in una larga parte dei paesi europei, due dei quali (Austria e Svezia) ammettono anche lo sciopero.

Quindi si parla di paesi che nulla hanno da imparare dall’ Italia in materia di efficienza, funzionalità ed operatività in campo militare, quali: Belgio, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Macedonia, Finlandia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Lettonia, Polonia, Portogallo, Russia, Repubblica Slovacca, Slovenia, Spagna, Olanda, Ucraina.

Sta di fatto che a trent’anni di distanza la richiesta di veder riconosciuto il diritto costituzionale di libertà di associazione, risulta inevaso. Producendo il permanere dell’attuale strumento di Rappresentanza Militare con tutte le sue contraddizioni di strumento soggetto a fortissime limitazioni quali: l’inesistenza di una contrattazione, tanto meno quella decentrata (il contratto per il personale viene firmato dagli Stati Maggiori, la firma del COCER non è vincolante per il governo). In base alla L.382, ogni atto delle rappresentanze militari deve avere l'avallo del comando. Le delibere del COBAR e del COIR non possono essere rese pubbliche. Non esiste un accordo quadro nazionale. Le leggi (104, congedi parentali, contratti ecc..) hanno valore solo nel momento in cui il superiore le riconosce con apposita circolare di recepimento ed interpretazione. Ogni comandante compila a fine anno le note caratteristiche di ciascun suo sottoposto, con criteri assolutamente discrezionali e personali. Il giudizio conclusivo può limitare la carriera di chiunque e precludere la partecipazione a quasi tutti i corsi di specializzazione. Per impugnare le note caratteristiche e la valutazione complessiva ci si può solo rivolgere ad un Tribunale Amminstrativo (TAR). In generale, per ricorrere avverso a un qualunque sopruso dell'amministrazione (anche il più piccolo) ci si può solo rivolgere al TAR, con conseguenti spese e tempi non certo veloci. Non ci si può rivolgere al giudice del lavoro (come invece possono fare ad es. i poliziotti), ne è permesso che gli ispettori per la sicurezza sui luoghi di lavoro della DPL possano effettuare alcun controllo. In alcuni comparti militari, il responsabile della sicurezza dei lavoratori non viene scelto dagli addetti dai lavori, ma dal comandante. Qualsiasi addetto ai lavori che subisca un procedimento penale o civile connesso all'attività lavorativa e venga giudicato assolto, è comunque sottoposto a procedimento disciplinare che viene annotato sul proprio fascicolo personale. In caso di matrimonio con persona residente nella sede di lavoro, scatta il trasferimento immediato ad altra sede (Carabinieri). In caso di malattia prolungata ( più di 45 gg. in un anno), si rischia il posto di lavoro. Nessuna regolamentazione per i trasferimenti. Non è possibile rifiutare la destinazione d'ufficio. Non esiste diritto di assemblea, di sciopero o di qualsivoglia protesta, la stessa rappresentanza militare non può incontrare i propri elettori salvo cortese concessione dei superiori. Nessun diritto ad un'assicurazione che tuteli l'addetto ai lavori nello svolgimento dei propri compiti: ogni errore è solo ed esclusivamente a suo carico. Tra i diritti, bisogna invece aggiungere la L.100/87 che prevede una indennità non trascurabile per coloro che vengono trasferiti d'ufficio (ma vale sempre e solo per gli ufficiali....tutti gli altri vengono, spesso, "convinti" a fare domanda volontaria...) e la possibilità di trasferimento immediato del coniuge al seguito solo se dipendente statale, mentre tutti i coniugi che hanno lavori diversi sono probabilmente destinati a rimanere disoccupati. Anche iscriversi ai partiti politici espone a costanti e pressanti tentativi di dissuasione che i vertici militari fanno sui loro subordinati ( salvo poi essere candidati ed eletti in Parlamento nelle liste di qualche Partito che accoglie solo gli alti ufficiali).

Sembra, quindi, che coloro che sono chiamati a difendere la libertà, la democrazia, e le istituzioni, oltrechè la patria, siano i primi a non goderne i benefici. Fintanto che la politica e la società non comprendano l’urgenza di colmare il gap civico che separano i cittadini del mondo civile, pieni titolari dei diritti costituzionali, ed i “cittadini con le stellette” titolari “a mezzo sevizio” della costituzione, quando non, cittadini di “serie B”.


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Notizie o “pizzinni”?

In questo bailamme di notizie date e non date, che appaiono e poi spariscono, penso che, una volta di più, il sistema mediatico non faccia nulla per smentire le accuse che gli vengono mosse.

La scorsa mattina (02/04/2008), noto un interessante articolo di Maurizio Ricci apparso sul sito della Repubblica circa uno studio della Banca dei Regolamenti Internazionali (Bank for Internacional Settlements),. Impaginato in una posizione sostanzialmente anonima, riprende uno studio non proprio nuovo, così come sottolinea anche un successivo articolo di Tommaso De Berlanga su il Manifesto.

Ora se si vuole parlare di lotta di classe penso che la seconda testata citata non desti alcuna meraviglia. Altrettanto non potrei dire del secondo quotidiano, per numero di copie vendute in Italia come La Repubblica che così riporta: "La lotta di classe? C'è stata e l'hanno stravinta i capitalisti. In Italia e negli altri Paesi industrializzati, gli ultimi 25 anni hanno visto la quota dei profitti sulla ricchezza nazionale salire a razzo, amputando quella dei salari, e arrivare a livelli impensabili ("insoliti", preferiscono dire gli economisti). Secondo un recente studio pubblicato dalla Bri, la Banca dei regolamenti internazionali" e conclude scivendo: "Dunque, è la dura legge dell'economia a giustificare il sacrificio dei lavoratori, davanti alla necessità di consentire al capitale di inseguire un progresso tecnologico mozzafiato? Neanche per idea. La crescita dei profitti, sottolinea lo studio della Bri, "non è stato un passaggio necessario per finanziare investimenti extra". Anzi "gli investimenti sono stati, negli ultimi anni, relativamente scarsi, rispetto ai profitti, in parecchi paesi". In altre parole "l'aumento della quota dei profitti non è stata la ricompensa per un deprezzamento accelerato del capitale, ma una pura redistribuzione di rendite economiche". La lotta di classe, appunto."

Devo dire che la sorpresa, mista ad una certa irritazione, per le conclusioni a cui giunge l’articolo di Ricci è notevole. Infatti siamo così martellati da una informazione monocorde, che non fa altro che ripeterci l’importanza della flessibilità dei salari, della crisi congiunturale internazionale, del pericolo della recessione ormai imminente e della necessità di apprestarci a scelte dolorose, tagli e quant’altro, che quasi dimentichiamo di osservare che i simpatici amici del jet-set non sembrano affatto passarsela poi così male a causa di tutto ciò.

In tal senso non ci serviva certo la B.R.I. e Ricci per sapere che i ricchi sono sempre più ricchi ed i poveri sono sempre più poveri. Il problema semmai è che tutto il sistema mediatico ci condiziona costantemente inducendoci, in qualche modo a credere che non solo esiste un presunto ceto medio ma che la maggior parte di noi si possa a pieno titolo esserne parte integrante.

Ora quello che mi da pensare è sapere perché venga evidenziato un tema, giornalisticamente anche datato, ma ancor di più il perché esso sparisca dalla home page del sito in capo a poche ore. Infatti alla sera dello stesso giorno la notizia era stata già bella che archiviata. Non essendo del parere che fossero sopraggiunti altri temi più pressanti, dato che molti altri articoli forse di rilevanza minore avevano mantenuto inalterata la loro posizione editoriale.

Allora oscura appare la scelta di dare un po’ di spazio a questo studio, tanto più che, sebbene una notizia del genere dovrebbe far sobbalzare molti ed avere ampio eco anche sulle televisioni, nessun seguito viene dato alla notizia con approfondimenti ed interviste. Anche perché non si ravvede proprio per qual motivo gli editori della stragrande maggioranza delle testate, tutti appartenenti al quanti hanno tratto grandi benefici dalle politiche economiche a cui si riferisce la B.R.I., debbano pensare di darsi la zappa sui piedi concedendo spazio ad un tema che li mette sotto accusa.

Più che un’articolo assume le sembianze di un “pizzinno”, un “colpo a salve”, un avvertimento. Come per dire che se si vuole ci sarà la chiamata alle armi.

A chi poteva essere rivolto un tale messaggio?

Trovare l’eventuale risposta ad un simile quesito se pur interessante, di fatto appare pernicioso. Più pressante sarebbe la presa di coscienza che deriverebbe dalla consapevolezza che quella che una volta era definita lotta di classe non era patrimonio esclusivo del Comunismo, bensì la constatazione ineluttabile che la divisione delle risorse in maniera iniqua produce ricchezza per alcuni e povertà per altri. Alimentando spirali di odio e rivalsa che non fanno altro che accentuare un tale processo. Ma il sistema mediatico attuale, sempre più simile a quello Orwelliano, non pare adatto a svolgere quell’azione di denuncia franca e sincera di un tale stato di cose.



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