QUESTO BLOG SOSTIENE IL
COMITATO PER IL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI COSTITUZIONALI AI MILITARI
Perchè una Democrazia non può dirsi compiuta se non è stata capace di estendere tutte le sue regole e garanzie, fino in fondo a tutti i cittadini, anche quelli in divisa.

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mercoledì 29 ottobre 2008

Sindacati, un passo indietro di oltre trent’anni.

Immaginiamo che da domani la FIAT stabilisca che tutte le vertenze sindacali inerenti la propria struttura, possano avere come sua controparte solo un’unica organizzazione rappresentante il proprio personale, eletta tra i propri dipendenti. La cui composizione debba rispettare sia la consistenza numerica di tutte le categorie del personale in aziendale: operai, quadri intermedi e dirigenti, ma anche una partecipazione minima di ciascuna delle tre categorie predette in seno ad ogni singola unità di rappresentanza (che da ora in poi definiremo consiglio) per ogni centro di produzione o fabbrica presente nel territorio di due persone all’interno di ciascun consiglio e un membro suppletivo ogni duecento dipendenti di ciascuna categoria di quella struttura produttiva. Ipotizziamo, poi, che i consigli eletti a livello periferico provvedano ad eleggere un consiglio centrale che sia deputato a trattare i rinnovi contrattuali di tutti i dipendenti FIAT, sia che si tratti di impiegati in ufficio, che di chimici, che di tappezzieri che di chimici e quant’altro. Supponiamo che la composizione del consiglio centrale debba rispettare i medesimi canoni di quelli periferici (Per ogni categoria una presenza minima di due persone all’interno di ciascun consiglio con un membro in più per ogni delegato periferico avente diritto di voto) con la conseguenza che esso risulti composto orientativamente da un 20% di rappresentanti dei dirigenti, un 35% dei quadri intermedi ed un 45% degli operai, nonostante le proporzioni di consistenza delle tre categorie negli organici FIAT non siano le medesime, inoltre che la presidenza ciascun consiglio venga attribuita d’ufficio al dirigente di livello più elevato che svolga funzione di portavoce in ogni circostanza. Infine ipotizziamo che gli oneri di suddetta struttura siano a carico dell’azienda, la quale può dare o meno il proprio preventivo assenso e copertura finanziaria ad ogni singola iniziativa dei consigli. Giustificando eventuali dinieghi, ad esempio, in ragione difficoltà economiche sussistenti o semplicemente ritenendo, tali richieste, inopportune, immotivate o lesive dell’immagine dell’unità aziendale.
Alla luce di quanto descritto fin qui, molti avrebbero da obbiettare per il fatto che un sistema del genere non offre adeguate garanzie di autonomia e capacità di rappresentare il personale. Quanti, invece, abbiano avuto modo di leggere lo statuto dei lavoratori o, abbiano sostenuto anche solo pochi esami di diritto hanno, inoltre, immediatamente ricondotto tale fattispecie a quanto esplicitamente vietato dalla legge 300 del 1970, nota come Statuto dei Lavoratori, la quale prescrive: “art. 17. (SINDACATI DI COMODO).E' fatto divieto ai datori di lavoro e alle associazioni di datori di lavoro di costituire o sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori”. Per i tecnici del settore questa tipologia è nota anche come Sindacato Giallo.
Sebbene gli U.S.A. liquidarono la questione già nel 1935 e da noi si dovette attendere il 1970, ad oggi siamo tutti ragionevolmente sicuri che i sindacati di comodo siano un’astrattezza difficilmente riscontrabile e contestabile nella realtà quotidiana, nonostante alcuni contestino alle attuali sigle di “operare secondo linee sindacali semplicemente moderate, grazie a meccanismi di sostegno, anche non finanziari, attivati da soggetti che perseguono interessi contrapposti a quelli dei lavoratori”, seppure, tale comportamento, non è formalmente riconducibile ad un sindacato giallo.
Da ieri possiamo dire che questo rischia concretamente di non essere più vero. Infatti, alla camera è stato approvato un emendamento al collegato alla finanziaria che riconosce al Consiglio Centrale di Rappresentanza Militare (Co.Ce.R.), articolato esattamente secondo i dettami ipotizzati prima per il FIAT, potere negoziale analogo a quello riconosciuto ai sindacati delle forze dell’ordine: “Il Consiglio centrale di rappresentanza militare (COCER) partecipa, in rappresentanza del personale militare, alle attività negoziali svolte, in attuazione delle finalità di cui al comma 1, e concernenti il rapporto d'impiego, lo stato giuridico e il trattamento economico e previdenziale del medesimo personale”.
Sarà che tale determinazione è contenuta in un articolo (39 bis del ddl 1441) che sancisce la specificità del personale dei comparti sicurezza e difesa, oltrechè dei vigili del fuoco, senza precisare in cosa si concretizzi sostanzialmente tutto ciò, eppure la cosa interessante è che questo mirabile risultato sostenuto e votato dal centrodestra, con l’astensione di PD e IDV, è stato salutato come una conquista dai parlamentari che l’hanno votato come Gasparri (PdL): “Una svolta di importanza storica quella sancita oggi alla Camera. E' stata approvata la specificita' delle forze dell'ordine e armate ed e' stato riconosciuto il ruolo negoziale dei Cocer in sede di rinnovo dei contratti. Sono impegni che avevamo preso con il personale in divisa e che oggi si realizzano”.
Sarà che durante il “ventennio” i sindacati furono sciolti in corporazioni, ma evidentemente la specificità di chi veste una divisa, viene intesa, da parte di questa maggioranza, semplicemente come una esclusione da quanto previsto e vietato dalla legge in tema di sindacati di comodo.
Il bello è che il problema dell’ingerenza della gerarchia non solo è emerso durante la discussione in aula, ma è anche stato ritenuto imprescindibile e da salvaguardare come si evince dall’intervento dell’ On. TASSONE (UDC): “non ritengo che gli organismi di rappresentanza militare possano svincolarsi dal rapporto gerarchico. Se li svincoliamo da tale rapporto ed allineiamo la rappresentanza militare al sindacato, dando la possibilità di negoziare anche l'impiego, viene meno il principio fondamentale della specificità dello status militare”. Insomma nessuno invochi l’involontarietà, in quanto il dolo di voler mantenere un sistema di rappresentanza sotto lo stretto controllo del vertice dirigenziale è assolutamente premeditato. Infatti se prima i contratti per Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri e Guardia di Finanza li firmavano gli Stati Maggiori, da domani l’onere della firma ricadrà ufficialmente su un Co.Ce.R. da questi ultimi, indirettamente, controllato anche grazie al sistema gerarchico attraverso il quel si determinano, avanzamenti, retribuzioni, incarichi, trasferimenti e quant’altro dei delegati che compongono il Consiglio. Insomma per fare un’analogia il “burattinaio rimane dietro le quinte a manovrare mentre il rischio di ricevere i pomodori in faccia, da parte della platea, rimane totalmente a carico delle marionette”, per essere comodo è proprio comodo un sindacato come questo.
Non bastasse tra gli intendimenti del Governo, c’è la tecnica, mai tramontata, di “dare” (o fingere di farlo) con una mano e togliere, abilmente, con l’altra. Dato che, parallelamente al collegato alla finanziaria, è in procinto di essere discusso in aula anche la stessa legge finanziaria, catalogata con un numero dai risvolti inquietanti, 1713, la quale, al comma 35 dell’articolo 2 recita: “Dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria le somme previste possono essere erogate anche mediante atti unilaterali, salvo conguaglio all'atto della stipulazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro”. Insomma da una parte sembrano intenzionati a concedere un diritto alla concertazione, seppur spurio, a chi ad oggi non lo ha, dall’altra provvedono a far sì che, in ogni caso, il Governo possa decidere autonomamente, di sottrarsi a questo confronto con le parti sociali, note per la loro ostinata e incomprensibile tendenza a non dargli sempre ragione, decidendo a proprio piacimento come distribuire le risorse contrattuali ai dipendenti, relegando la concertazione ad una semplice presa d’atto notarile di quanto stabilito dall’Esecutivo.


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lunedì 27 ottobre 2008

Il rispetto per i morti, i diritti dei vivi.

Certo, è importante saper rispettare il dolore e commemorare chi non è più tra noi: Stefano Bazzo, Michele Cargnoni, Marco Partipilo, Giovanni Sabatelli, Carmine Briganti, Giuseppe Biscotti, Massimiliano Tommasi e Teodoro Baccaro. Uomini dell'84esimo centro Sar (Search and Rescue).
Morti perché l’elicottero HH3F su cui volavano è precipitato lo scorso 23 ottobre nei pressi di Dijon, Francia. Ma è altresì indiscutibile che proprio per riempire di significato anche una vicenda drammatica come la morte che se ne devono cercare le ragioni. Non solo quelle tecniche e circostanziali, atte a comprendere perché quell’elicottero e non altri sia caduto, ma quelle più generali che fanno sì che per un compito così importante come quello del salvataggio di vite umane si utilizzino mezzi aerei vecchi di trent’anni.
Il Ministro della difesa La Russa si appella all’imponderabilità dell’evento, dichiarando: "Ho chiesto informazioni precise e dettagliate e parlano a favore di un'assoluta imprevedibilità dell'evento". Precisando poi: "Mi assicurano che i mezzi erano assolutamente secondo la norma, ma questo non vuol dire che non bisogna intensificare ogni possibile misura di sicurezza".
Orbene, nulla da eccepire sulla posizione formale espressa dal titolare del dicastero della Difesa.
Diverse indagini sono già in corso e l’impegno è di “intensificare le misure di sicurezza”.
Queste dichiarazioni hanno però la pecca di scontrarsi con quanto dichiarato dal Capo di Stato Maggiore della Difesa Generale Camporini, durante un’audizione presso la Commissione Difesa del Senato, lo scorso 23 Luglio il quale rilevava che “il decreto-legge n. 112 del 2008 determinerebbe in brevissimo tempo un decadimento delle attuali capacità operative e dell’efficienza delle Forze armate in tutte le sue componenti (…) Verrebbe pregiudicata l’efficacia operativa dello strumento militare (…) forzata diminuzione delle attività addestrative principali per l’Esercito, le ore di moto per la Marina e le ore di volo per l’Aeronautica, diminuendo i margini di sicurezza nell’impiego (…) riduzione di 2,8 miliardi rispetto al progetto di bilancio 2009 e di 1,1 miliardi rispetto a quello del 2008. Per tutta la Difesa si tratterebbe di 3 miliardi di euro in meno rispetto al progetto di bilancio e di 800 milioni di euro in meno rispetto al 2008, con prospettive per il 2010 e 2011 anche molto peggiori in assenza di interventi correttivi (…) rilevato la sussistenza di ulteriori timori in relazione alla condizione del personale, (…) esiste una fondata preoccupazione per una prospettiva futura non favorevole rispetto all’approntamento e al mantenimento delle capacità operative, se non interverranno segnali positivi di inversione tendenziale nel settore (…) sul piano finanziario è ormai improcrastinabile prevedere risorse all’ammodernamento, rinnovamento e adeguamento tecnologico, generalmente a valenza pluriennale e svolti principalmente in cooperazione internazionale, dei mezzi e materiali”.
Insomma l’allarme veniva lanciato ormai da tempo, i tagli economici operati dal governo esponevano a seri rischi “diminuendo i margini di sicurezza nell’impiego”. Ciò nonostante, la posizione dell’esecutivo non mutava e nella discussione della finanziaria, alla presenza di La Russa e del sottosegretario Corsetto, il relatore Onorevole Speciale (ex Comandante generale della Guardia di Finanza), relazionava, senza che i primi due nulla eccepissero, che: “il decreto-legge n. 112 del 2008, ha definito lo scenario finanziario per il prossimo triennio, prevedendo (…) sensibili riduzioni di spesa a partire dall'anno 2009. Per effetto dell'applicazione di tali disposizioni lo stato di previsione della spesa del Ministero della difesa evidenzia un progressivo decremento degli stanziamenti di bilancio per il nuovo triennio che passano da circa 20,3 miliardi di euro per il 2009 a circa 18,9 miliardi di euro per il 2011. Significative riduzioni degli stanziamenti relativi a ciascun macrosettore di spesa, (…) In definitiva le previsioni complessive di spesa per la funzione Difesa ammontano per l'anno 2009 a 14.339,5 milioni di euro, con un decremento del 7 per cento rispetto al 2008. Per quanto attiene al PIL, il rapporto percentuale scende allo 0,87 per cento con un modesto decremento rispetto al 2008, quando era pari allo 0,966 per cento, e con un differenziale dello 0,55 per cento rispetto alla media dell'1,42 per cento che caratterizza i Paesi Europei. A fronte di un previsto modello a 190.000 unità di personale delle tre Forze armate e di una consistenza complessiva nel 2008 di circa 182.000 unità, si arriverà nel 2012 a una consistenza complessiva di appena 141.000 unità, con un'età media di oltre 30 anni. Tutto ciò comporta, fin da subito, sempre secondo la nota preliminare, pericolosi effetti degenerativi, sia sul piano organizzativo-sociale che sulla stessa capacità della Nazione di onorare gli impegni internazionali assunti. Per quanto riguarda il settore dell'esercizio, i relativi volumi finanziari risultano assolutamente insufficienti per assicurare, sia pure al minimo livello di adeguatezza, le attività di addestramento e formazione, le attività di manutenzione e le scorte di materiali necessarie per far fronte agli impegni nazionali oltre a quelli della NATO dell'UE e dell'ONU. In particolare, le proiezioni su base triennale 2009-2011, evidenziano il rischio di un progressivo decadimento operativo dello strumento militare con una riduzione prossima all'azzeramento delle esercitazioni, evidenziandosi una perdita di operatività che addirittura raggiungerebbe livelli prossimi allo zero nel 2012.”
Insomma nonostante gli slogan di facciata cha hanno caratterizzato la propaganda elettorale del centro destra, al grido di più sicurezza, la Difesa vede, così come tutto il resto del comparto pubblico, gravissimi tagli di spesa. Anzi i numeri da loro stessi rappresentanti ammettono che a fronte di uno stanziamento che con il Governo Prodi era ritornato prossimo al 1% del PIL, ora viene nuovamente ridotto allo 0,87%.
Evidentemente questi segnali non vengono, a tutt’oggi, ritenuti insufficienti a capire che le conseguenze di questa politica non produce effetti deleteri su atti formali e carte bollate ma sulla salute e la vita di persone. Che tra coloro che negli ultimi tempi sono stati trattati e definiti “fannulloni” vi sono, di fatto, anche coloro che mettendoci del proprio sopperiscono ai tagli ed alle carenze del sistema. Vi sono tutte le vittime, presenti e future di questa politica di annunci.
D'altro canto anche Veltroni , dinnanzi al popolo del PD, riunito al circo massimo due giorni dopo la tragedia, ha trovato parole solo per il sacrosanto riconoscimento dell’impegno delle forze dell’ordine, dimenticando l’impegno degli appartenenti alle forze armate (come se fosse la stessa cosa), anche solo per tributare un caritatevole commiato agli otto militari dell’Aeronautica, non meno morti bianche di tante altre, che destano in altri casi, le giuste riprovazioni e vistose levate di scudi del suo partito.
Insomma essere una categoria, quella dei militari, abituata a lavorare in silenzio paga il prezzo dell’oblio dei diritti a destra come a sinistra

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venerdì 24 ottobre 2008

La polpetta avvelenata del Picconatore.

A molti è apparso come un “déjà vu”, il ritorno del Kossiga nemico dei manifestanti, del picconatore irriverente. L’intervista rilasciata dal Presidente emerito della Repubblica al Quotidiano nazionale ed apparsa ieri nella quale propone una suo chiaro approccio al problema del dissenso emerso contro la riforma scolastica varata dall’ Esecutivo.
Qui di seguito alcuni stralci tra i più significativi e, per così dire, illuminanti: ''Non esagero, credo davvero che il terrorismo tornera' ad insanguinare le strade di questo Paese. E non vorrei che ci si dimenticasse che le Brigate Rosse non sono nate nelle fabbriche ma nelle università (..) Maroni dovrebbe fare quello che feci io quando ero ministro dell'Interno. In primo luogo lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino di dodici anni rimanesse ucciso o gravemente ferito... Lasciar fare gli universitari. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle universita', infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovra' sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. (…) Nel senso che le forze dell'ordine non dovrebbero avere pieta' e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in liberta', ma picchiarli e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano (…) Soprattutto i docenti. Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine si'.”
Certo dichiarazioni come queste non potevano non assumere una straordinaria rilevanza e sincronia con quelle rilasciate dal Presidente del Consiglio Berlusconi : "Voglio dare un avviso ai naviganti: non permetteremo che vengano occupate scuole e università perché l'occupazione dei posti pubblici non è un fatto di democrazia ma di violenza nei confronti di altri studenti, delle famiglie e dello Stato (…)Oggi convocherò il ministro dell'Interno e gli darò istruzioni dettagliate su come intervenire con le forze dell'ordine per evitare che queste cose succedano".
Tra le tante cose che si possono dire di Francesco Cossiga, difficilmente gli si può attribuire dabbenaggine o di essere uno sprovveduto. Infatti analizzando le parole che usa e la loro correlazione il dubbio legittimo che ci si può porre è se veramente intendeva dare un consiglio a Maroni o, piuttosto sparigliare le carte e scombinare presunti progetti di alcuni non meglio identificati. Infatti il “cui prodest” ci imporrebbe di stabilire se dicendo queste cose abbia portato acqua al mulino del Governo o, piuttosto non abbia contribuito a fargli franare la terra sotto i piedi?
Dalla posizione privilegiata in cui si trova, quella che lo raffigura come “nonno anziano” a cui, alle volte si tendono a perdonare anche le affermazioni più gravi, sa che le conseguenze sono di piccola entità per se stesso, ma di più ampia portata per tutti gli altri. Un po’ come il giocatore di scacchi, che, a differenza di tutti gli altri pezzi della scacchiera, per quanto sconfitto, è l’unico che non potrà mai essere mangiato.
Da questo punto di vista potremmo rileggere ciò che dice ad un Governo che, ricordando bene, ha le maggiori responsabilità in una vicenda ancora aperta e, per molti versi oscura, come quella del G8 di Genova e della scuola Diaz di Bolzaneto, dove sono emerse precise responsabilità della polizia nella fabbricazione di prove false. Che la dicono lunga sulla avezzità di questa politica di creare un “casus belli” atto a giustificare la repressione generalizzata di certi movimenti di opinione.
Alla luce di ciò autodenunciare le sue strategie degli anni settanta sembra più teso ad impedirne la replica nel contesto odierno. Anzi la precisazione che fenomeni terroristici si fossero generati nelle università, abbinato al fatto che esistessero agenti provocatori all’interno di queste strutture, sembra dare nuova linfa a quanti hanno sempre sostenuto la tesi del disegno del complotto di stato che, tramite i servizi segreti, alimentava il terrorismo al fine di giustificare l’instaurazione di un “regime di polizia” e il compattamento dell’opinione pubblica dietro una classe governante ormai stanca ed appannata che perdeva sempre più consensi. Non per nulla, figlia degli anni di piombo, è quella classe politica che ha generato, tra le tante cose, il decisionismo craxiano, tangentopoli e la mostruosa crescita del debito pubblico italiano, che per molti anni ha avuto mano libera per operare a suo piacimento. Concorrendo in maniera decisiva alla costituzione di quella che, ormai tutti, definiamo unanimemente “Casta”, ma che nessun politico sembra intenzionato a debellare.


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mercoledì 22 ottobre 2008

Dimmi con chi vai…

Un proverbio dice “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”. Prendendo in esame molte delle cose, più o meno recenti, che riguardano la storia politica ed economica italiana, possiamo dire che ci troviamo di fronte ad un esemplare caso di assoluta coerenza e attinenza a questo detto.
Anche se questo implica la consapevolezza che la realtà attuale e la sua presumibile proiezione nel futuro non lasci molti spazi alla speranza di prosperità ed abbondanza.
Recentemente Silvio Berlusconi ha ribadito tutta la sua stima per George W. Bush, per la sua politica passata e futura, arrivando, addirittura ad una vero e proprio endorsement a favore di McCain, quale possibile futuro inquilino, Repubblicano, alla Casa Bianca. Dunque una presa di posizione non di poco conto per il Presidente del Consiglio di un paese che rivendica una posizione tra i grandi della terra. La scelta di stare affianco a quel Bush dal suo stesso paese indicato come corresponsabile, per omesso controllo, dell’attuale crisi finanziaria e, da cui, molti suoi concittadini, oltrechè colleghi di partito, tendono ora a prendere le distanze. Primo tra tutti lo stesso candidato Repubblicano alla presidenza, McCain e buon ultimo il suo ex segretario di stato, Repubblicano da una vita, Colin Powel. Insomma una “amicizia” che rischia di trasformarsi nell’abbraccio mortale di chi annaspando nel mare in tempesta, sta per annegare.
Contemporaneamente apprendiamo che l’OCSE, nel suo rapporto Growing Unequal, ci dice che: “In Italia disuguaglianza e povertà sono cresciute rapidamente durante i primi anni novanta. Da livelli simili alla media OCSE si é passati a livelli vicini a quelli degli altri paesi dell’Europa del Sud. Da allora la disuguaglianza é rimasta ad un livello comparativamente elevato. Tra i 30 paesi OCSE oggi l’Italia ha il sesto più grande gap tra ricchi e poveri”. Nella fattispecie dopo Messico, Turchia, Portogallo, Polonia e Stati Uniti. Dunque nuovi “compagni di viaggio” si affiancano al cammino italiano in una poco gratificante graduatoria di demerito. In tal senso la relazione del Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, ci conferma la difficoltà di quella parte di società più debole: “Le ripercussioni della crisi vanno ben al di là del sistema bancario. Famiglie e imprese sono colpite sia direttamente, per la perdita di valore dei titoli Lehman che esse detengono, sia indirettamente, a causa delle prospettive di una restrizione del credito conseguente alle tensioni finanziarie del momento”. Da ciò si comprende come, il gap descritto nel rapporto, non nasca oggi ma sia figlio della fine dello “yuppismo” degli anni ottanta, incancrenendosi nel decennio successivo. Insomma il prodotto di quelle strategie finanziarie che puntavano, più che sulla ricchezza derivante dalla produzione di beni e servizi reali, sulla speculazione derivante dalle trasazioni borsistiche e dalle speculazioni del mercato. Anche se le recenti “piene condivisioni” tra Confindustria e Berlusconi parlano di: " varare delle misure importanti a sostegno delle imprese. Se lo Stato entrerà nelle banche, è chiaro che sarà solo una presenza temporanea, il Tesoro sottoscriverebbe azioni senza diritto di voto. Ridurremo la pressione appena i conti pubblici ce lo permetteranno". Per dirla in parole povere, totale antitesi con ciò che rileva il rapporto OCSE in quanto si prevedono sostegni a chi ha avuto modo di correre negli ultimi anni e mentre le misure per chi è rimasto più indietro dovranno ancora attendere.
L’OCSE non è nuova ad evidenziare, anche impietosamente, le contraddizioni italiane. Presumibilmente inosservato è passato il rapporto: “Handbook on Human Rights and Fundamental Freedoms of Armed Forces Personnel” (il Manuale per i Diritti Umani e le Libertà Fondamentali del Personale delle Forze Armate). Frutto di un questionario (The ODIHR-DCAF Questionnaire on Human Rights of Armed Forces Personnel in OSCE Participating States, 2005) inviato a 56 paesi. Il cui concetto fondante è che, in un sistema internazionale, dove, forze armate e forze dell’ordine sono poco avezze ad una pratica democratica e di rispetto dei diritti al loro interno, difficilmente ci si può attendere che esse possano trasmettere proficuamente il rispetto per la democrazia e per i diritti negli scenari, nelle quali sono impegnate, a quelle popolazioni le cui istituzioni democratiche sono ancora deboli ed instabili. Insomma esattamente quanto accade in Italia, dove i nostri uomini e donne sono ampiamente impegnati ad “esportare democrazia” in scenari, come Iraq, Iran, Libano, Somalia sebbene dall’ordinamento militare la concezione democratica e dei diritti soggettivi del personale in divisa, figuri come grande assente. Ciò nonostante l’Italia decideva di non rispondere in alcun modo al questionario, scegliendo, ancora una volta la compagnia con cui stare, ossia dei paesi che non ritengono necessario analizzare tale problema, quali: Albania, Andorra (senza forze armate), Armenia, Cipro, Grecia, Ungheria, Islanda (senza forze armate), Kazakhstan, Kyrgyzstan, Macedonia, Moldavia, Monaco (solo con la guardia cerimoniale di rappresentanza), Olanda, Romania, San Marino (senza forze armate), Turkmenistan e Uzbekistan.
Più di recente una nuova scelta di “amicizia” è stata fatta dal nostro Governo in materia di politiche contro l’inquinamento a seguito della nostra sottoscrizione del protocollo di Kyoto. Nella fattispecie il dissenso espresso dall’Italia, per le scelte dell’Unione Europea, è stato argomentato sostenendo che se USA (ancora loro), India e Cina non aderivano al medesimo protocollo, fosse, di fatto, inutile lo facesse anche il resto del vecchio continente. Nell’interesse delle aziende italiane che così non sarebbero costrette a sostenere i costi degli adeguamenti imposti dalle nuove politiche ecologiste. Ancora una volta si palesa la tutela del profitto aziendale, trascurando i riflessi negativi sul resto della popolazione. Stavolta a sostegno di questa posizione, Berlusconi, proclamava d’essere capofila di un’ampia compagine di dissenzienti. Ben nove, ossia: Repubblica Ceca, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Bulgaria, Slovacchia. E’ comprensibile che le difficoltà di questi paesi derivi da una situazione economica che è frutto dei postumi derivanti da decenni di politiche economiche dei regimi che li governavano. Quello che appare meno chiaro è la ragione delle difficoltà di un paese come l’Italia nella quale la politica economica ha avuto modo di svilupparsi secondo meccanismi analoghi a quelli del resto delle nazioni europee che, invece, decidono di applicare le disposizioni in materia di abbattimento delle emissioni di gas serra..
I pochi esempi fin qui riportati potrebbero trovare ampi riscontri in tante altre realtà e raffronti internazionali. Detto questo, continuiamo a figurare (solo in apparenza) tra le “grandi potenze” del pianeta. Sediamo al G8, ne vogliamo organizzare, secondo quanto dice il Cavaliere, uno “Plus” allargato a sedici paesi come : “India, Cina, Egitto, sud Africa, Messico, Brasile e Australia'' perché ''Oggi i paesi del G8 fanno meno del 50% dell'economia mondiale, vogliamo arrivare all'80%''. Ma nessuno osa dirci che se quella quota di economia mondiale è scesa sotto il 50% è molto per colpa dell’ Italia e delle scelte operate dalla sua classe dirigente degli ultimi trent’anni.
Perché grazie a loro scopriamo che i nostri compagni di viaggio oggi sono, ormai, ben altri e ad essi somigliamo.


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venerdì 10 ottobre 2008

Nessuno disturbi il sonno della Consob…

Queste sono le dichiarazioni rilasciate da Silvio Berlusconi, nel corso di una conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri a Napoli. “È il momento di comprare Eni e Enel, perché le azioni con quei rendimenti dovranno ritornare al loro vero valore (…) se si hanno delle azioni non bisogna assolutamente venderle, se invece abbiamo dei soldi liquidi io consiglio di comprare quelle azioni che valevano 10 un anno fa e che adesso valgono 2-3-4 (…) le azioni di Eni e Enel, ora sono sottovalutate sono aziende che continuano a fare utili (…) Eni, quest'anno, avrà un utile straordinario(…) sarò accusato di fare il venditore, ma io credo di fare il mio dovere di presidente del Consiglio per evitare il panico e per dare serenità agli italiani”
Questo è ciò che illustra wikipedia sul termine aggiotaggio
L'aggiotaggio è un reato, disciplinato dal codice penale, che all'articolo 501, intitolato "Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio", recita:
«Chiunque, al fine di turbare il mercato interno dei valori o delle merci, pubblica o altrimenti divulga notizie false, esagerate o tendenziose o adopera altri artifici atti a cagionare un aumento o una diminuzione del prezzo delle merci, ovvero dei valori ammessi nelle liste di borsa o negoziabili nel pubblico mercato, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da uno a cinquanta milioni.
Se l'aumento o la diminuzione del prezzo delle merci o dei valori si verifica, le pene sono aumentate.
Le pene sono raddoppiate:
1. se il fatto è commesso dal cittadino per favorire interessi stranieri;
2. se dal fatto deriva un deprezzamento della valuta nazionale o dei titoli dello Stato, ovvero il rincaro di merci di comune o largo consumo.
Le pene stabilite nelle disposizioni precedenti si applicano anche se il fatto è commesso all'estero, in danno della valuta nazionale o di titoli pubblici italiani.
La condanna importa l'interdizione dai pubblici uffici».
Inoltre è regolato dall'art. 2637 del Codice Civile:
«Chiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari, è punito con la reclusione da uno a cinque anni».
Con operazioni di aggiotaggio è possibile trarre grandi profitti illeciti, provocando conseguentemente danni economici agli altri operatori sul mercato. Oltre che dal punto di vista giuridico e penale, questo reato è considerato anche particolarmente deplorevole dal punto di vista morale, in quanto il danno economico maggiore ricade molto spesso sui piccoli risparmiatori.
Visto il quadro generale dell’economia potrebbe non essere proprio questo il momento per certe dichiarazioni.
Ovviamente è difficile immaginare alcuna iniziativa da parte della Consob.


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Le travi e le pagliuzze del Cavaliere

Si dice che anche in carcere esista un’etica ed una giustizia non scritta tra i detenuti, soprattutto nei confronti di quanti si macchino di specifici reati abietti anche al più incallito dei criminali.

Questo per dire che nessuno rinuncia all’opportunità di ergersi a giudice altrui, anche quando molti elementi direbbero quanto sia il caso di soprassedere. Per tornare all’esempio delle galere, immaginiamo pluri-omicidi che giudicano con spregio pedofili e via dicendo.

Le recenti vicissitudini del Governo italiano ci dicono che la raccomandazione evangelica: perché guardi la pagliuzza negli occhi di tuo fratello quando hai una trave nel tuo? Ipocrita togli prima la tua trave!”, non sia precisamente di casa.

Infatti in questi giorni sentiamo Berlusconi dichiarare: "Il 22% del Pil italiano è sotto il tavolo. Se si pagassero le tasse su questo 22%, l'erario incasserebbe ogni anno 100 miliardi in più". Evidentemente dimenticando che in un recente passato sosteneva tesi sostanzialmente diverse come: le tasse sono giuste se al 33%, se vanno oltre il 50% allora è morale evaderle”.

precisando che si tratta di un fenomeno che “ha radici antiche, una forma patologica, endemica, ma non é più tollerabile, per questo vogliamo estirparla”. Indiscutibile la condivisibilità di queste nuove affermazioni sennonché sono state proferite da qualcuno che in passato ha beneficiato di:

assoluzioni con formula dubitativa (comma 2 art. 530 Cpp) per i fondi neri Medusa e le tangenti alla Finanza (“insufficienza probatoria”),

assoluzioni – All Iberian/2 e Sme-Ariosto/2 – perché “il fatto non è più previsto dalla legge come reato” (depenalizzazione del falso in bilancio).

amnistia per falso in bilancio sui terreni di Macherio;

prescrizioni, grazie alle attenuanti generiche, All Iberian/1 (finanziamento illecito a Craxi), caso Lentini, bilanci Fininvest 1988-’92 e 1500 miliardi di fondi neri nel consolidato Fininvest (falso in bilancio con prescrizione dimezzata dalla riforma Berlusconi).

Insomma un bel curriculum, degno del premio: “Miglior trave nell’occhio 2008-2009”. D’altro canto lui stesso dichiara la sua specifica competenza "Conosco bene il problema della corruzione" consentendo di aggiungere alla lista anche il processo avviato nei suoi confronti dal tribunale di Milano e sospeso in virtù del Lodo Alfano, proprio per corruzione.

Non contenti, proseguendo nelle cronache di queste ore leggiamo che un ministro del suo Governo, Giulio Tremonti dichiara: "Chi sbaglia nelle aziende deve pagare. E non è possibile che qui non si paghi mai: sia quando il dirigente non si dimostra all'altezza e sia, quando va sotto processo". Peccato che a dirlo sia un politico che condivide gli scranni di Camera e Senato insieme a molti condannati, che ben si sono guardati dal dimettersi, e che nella C.A.I., che ha rilevato la parte produttiva di Alitalia, grazie all’appoggio suo e di tutto il Governo, siedano molti manager con precedenti tutt’altro che esaltanti e che a pieno titolo potrebbero essere annoverati tra quelli da lui censurati. Tra cui Cesare Geronzi, presidente di Mediobanca, il quale ha un processo per il fallimento del gruppo Italcase Bagaglino (condannato in primo grado), per la Parmalat e per usura. Potrebbe sorgere il dubbio che possa essere proprio per lui il “vestito” che descriveva il ministro dell’economia.

Getta più di un’ombra il clamore destato dalla presenza di un articolo nel decreto “salva Alitalia” grazie al quale sarebbe garantita l’ inperseguibilità dei manager coinvolti in casi di bancarotta. Nonostante il repentino dietro-front di tutto il governo, ed in primis di Berlusconi “non ne sapevo niente” (forse era uscito a prendere un caffè durante il Consiglio dei Ministri, mentre gli altri Ministri dentro si davano alla pazza gioia) anche se, dopo aver riferito che il decreto non è esattamente come quello richiesto da Tremonti, ha puntualizzato: "E' proprio quello che volevo io". Eppure i senatori che l'hanno presentato spiegavano ai colleghi del gruppo Pdl di aver ricevuto il via libera di Palazzo Chigi.

C’è da chiedersi se possano essere solo mere congetture quelle che fanno da “très d’union” tra tutto ciò e Berlusconi che dichiara di aver ricomposto "l'amicizia con Cesare" (Geronzi n.d.r.) oppure in una cena poco prima che cadesse il governo Prodi, "tutti devono fare i conti con Geronzi" seguite dopo la vittoria del Pdl alle elezioni, "tutti devono fare i conti anche con me". Fino ad arrivare ad assumere il carattere delle alleanze tra le grandi nobiltà regnanti, che per suggellare patti combinavano matrimoni d’interesse, allorché registriamo l’ingresso nel C.d.A. di Mediobanca di Marina Berlusconi, figlia di Silvio, grazie alle quote Fininvest (1% del capitale e un altro 1,2% non vincolato all'accordo parasociale). Tanto da chiedersi il perché di cotanta gratificazione visto la partecipazione azionaria sufficientemente marginale. A meno che non le si voglia attribuire un “maggior peso politico indotto” in seno al C.d.A. grazie al ruolo paterno.

In questo quadro generale che si delinea, di scarsa credibilità per un economia speculativa e profittatrice e per una politica che non è stata in grado, o forse non ha voluto, svolgere quella funzione di controllo, risulta difficile essere sensibili al richiamo all’ordine del prete di turno che dice “fate quello che dico, non fate quello che faccio…”


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