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lunedì 5 maggio 2008

Notizie o “pizzinni”?

In questo bailamme di notizie date e non date, che appaiono e poi spariscono, penso che, una volta di più, il sistema mediatico non faccia nulla per smentire le accuse che gli vengono mosse.

La scorsa mattina (02/04/2008), noto un interessante articolo di Maurizio Ricci apparso sul sito della Repubblica circa uno studio della Banca dei Regolamenti Internazionali (Bank for Internacional Settlements),. Impaginato in una posizione sostanzialmente anonima, riprende uno studio non proprio nuovo, così come sottolinea anche un successivo articolo di Tommaso De Berlanga su il Manifesto.

Ora se si vuole parlare di lotta di classe penso che la seconda testata citata non desti alcuna meraviglia. Altrettanto non potrei dire del secondo quotidiano, per numero di copie vendute in Italia come La Repubblica che così riporta: "La lotta di classe? C'è stata e l'hanno stravinta i capitalisti. In Italia e negli altri Paesi industrializzati, gli ultimi 25 anni hanno visto la quota dei profitti sulla ricchezza nazionale salire a razzo, amputando quella dei salari, e arrivare a livelli impensabili ("insoliti", preferiscono dire gli economisti). Secondo un recente studio pubblicato dalla Bri, la Banca dei regolamenti internazionali" e conclude scivendo: "Dunque, è la dura legge dell'economia a giustificare il sacrificio dei lavoratori, davanti alla necessità di consentire al capitale di inseguire un progresso tecnologico mozzafiato? Neanche per idea. La crescita dei profitti, sottolinea lo studio della Bri, "non è stato un passaggio necessario per finanziare investimenti extra". Anzi "gli investimenti sono stati, negli ultimi anni, relativamente scarsi, rispetto ai profitti, in parecchi paesi". In altre parole "l'aumento della quota dei profitti non è stata la ricompensa per un deprezzamento accelerato del capitale, ma una pura redistribuzione di rendite economiche". La lotta di classe, appunto."

Devo dire che la sorpresa, mista ad una certa irritazione, per le conclusioni a cui giunge l’articolo di Ricci è notevole. Infatti siamo così martellati da una informazione monocorde, che non fa altro che ripeterci l’importanza della flessibilità dei salari, della crisi congiunturale internazionale, del pericolo della recessione ormai imminente e della necessità di apprestarci a scelte dolorose, tagli e quant’altro, che quasi dimentichiamo di osservare che i simpatici amici del jet-set non sembrano affatto passarsela poi così male a causa di tutto ciò.

In tal senso non ci serviva certo la B.R.I. e Ricci per sapere che i ricchi sono sempre più ricchi ed i poveri sono sempre più poveri. Il problema semmai è che tutto il sistema mediatico ci condiziona costantemente inducendoci, in qualche modo a credere che non solo esiste un presunto ceto medio ma che la maggior parte di noi si possa a pieno titolo esserne parte integrante.

Ora quello che mi da pensare è sapere perché venga evidenziato un tema, giornalisticamente anche datato, ma ancor di più il perché esso sparisca dalla home page del sito in capo a poche ore. Infatti alla sera dello stesso giorno la notizia era stata già bella che archiviata. Non essendo del parere che fossero sopraggiunti altri temi più pressanti, dato che molti altri articoli forse di rilevanza minore avevano mantenuto inalterata la loro posizione editoriale.

Allora oscura appare la scelta di dare un po’ di spazio a questo studio, tanto più che, sebbene una notizia del genere dovrebbe far sobbalzare molti ed avere ampio eco anche sulle televisioni, nessun seguito viene dato alla notizia con approfondimenti ed interviste. Anche perché non si ravvede proprio per qual motivo gli editori della stragrande maggioranza delle testate, tutti appartenenti al quanti hanno tratto grandi benefici dalle politiche economiche a cui si riferisce la B.R.I., debbano pensare di darsi la zappa sui piedi concedendo spazio ad un tema che li mette sotto accusa.

Più che un’articolo assume le sembianze di un “pizzinno”, un “colpo a salve”, un avvertimento. Come per dire che se si vuole ci sarà la chiamata alle armi.

A chi poteva essere rivolto un tale messaggio?

Trovare l’eventuale risposta ad un simile quesito se pur interessante, di fatto appare pernicioso. Più pressante sarebbe la presa di coscienza che deriverebbe dalla consapevolezza che quella che una volta era definita lotta di classe non era patrimonio esclusivo del Comunismo, bensì la constatazione ineluttabile che la divisione delle risorse in maniera iniqua produce ricchezza per alcuni e povertà per altri. Alimentando spirali di odio e rivalsa che non fanno altro che accentuare un tale processo. Ma il sistema mediatico attuale, sempre più simile a quello Orwelliano, non pare adatto a svolgere quell’azione di denuncia franca e sincera di un tale stato di cose.



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