QUESTO BLOG SOSTIENE IL
COMITATO PER IL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI COSTITUZIONALI AI MILITARI
Perchè una Democrazia non può dirsi compiuta se non è stata capace di estendere tutte le sue regole e garanzie, fino in fondo a tutti i cittadini, anche quelli in divisa.

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giovedì 26 giugno 2008

Stipendio tagliato per poliziotti e soldati feriti in servizio?

Nel vangelo è scritto “non solo chi dice signore signore entrerà nel regno dei cieli”. Senza voler essere inopportuni nello scomodare certe fonti. Questo viene in mente quando si pensa alle dichiarazioni di Fini di qualche anno fa , rivolte a polizia e militari “la sinistra vi tratta da servi, noi vi tratteremo da servitori”, oppure alla recente campagna elettorale in cui il centrodestra si è reiteratamente professato vero custode dei valori militari e impegnato a tradurre questa attenzione in atti concreti a tutela delle forze dell’ordine e delle forze armate. Ma poi si apprendono gli esiti dell’incontro tra Governo, organizzazioni sindacali di polizia e Co.Ce.R.
Il comunicato congiunto di tutti si sindacati del comparto difesa e del Co.Ce.R. Interforze, si mantiene in un alveo di astrattezza per mera pietas e nella speranza di non precludere il dialogo:
“completa disattenzione per il patto per la sicurezza sottoscritto col precedente Governo”, “siamo costretti a prendere atto che anche l’attuale Governo non ha invertito la tendenza rispetto al passato”, “ha proposto una manovra finanziaria assolutamente penalizzante per il Comparto Difesa e Sicurezza”, “respingiamo nettamente qualsiasi possibilità di taglio ai bilanci dei Ministeri relativi al Comparto Sicurezza e Difesa che provocherebbe un collasso funzionale dei diversi sistemi operativi”, “in netta controtendenza con l’obbiettivo dichiarato di collocare la sicurezza e difesa in cima alle priorità dell’azione di governo”. Dunque il concetto è chiaro il Governo presenta una finanziaria di tagli non dissimile da quella presentata ad altri settori del pubblico impiego.
Per tutta risposta il ministro Brunetta, presente all’incontro, assicurava che “i tagli ricadranno su strutture burocratiche e non sul personale”. Cui replicano i Sindacati, “respingiamo ogni tentativo contenuto nella manovra finanziaria di disconoscere l’impegno ed il sacrificio delle forze di polizia e delle forze armate … attraverso previsioni che vorrebbero togliere riconoscimenti specifici a operatori che svolgono funzioni strutturalmente rischiose rispetto alla incolumità personale”. La scelta strategica di non esplicitare le proposte messe sul tavolo dal Governo non aiuta a capire nel dettaglio la situazione. Sebbene si evince una palese incongruenza tra ciò che dice il Ministro della Finzione pubblica ed il comunicato.
Da ciò che è trapelato, l’oggetto del contendere sarebbero alcune misure proposte. L’introduzione di un’automatismo per cui, al raggiungimento del 40° anno contributivo il personale verrebbe, automaticamente, collocato in pensione (al contrario di quanto accade oggi), la sua permanenza in servizio avverrebbe solo a domanda, qualora l’Amministrazione competente lo ritenga opportuno. In tal modo si inverte il concetto che da incentivazione al pensionamento si passi ad un disincentivo a rimanere. Inoltre si parla di un taglio delle pensioni derivanti da cause di servizio e di una decurtazione dello stipendio oltre il decimo giorno di malattia. A tal proposito, in riferimento alla peculiarità degli operatori dei comparti in questione, fa un certo effetto immaginare il poliziotto ferito in uno scontro a fuoco o il militare ferito durante un’operazione in area di guerra. Che, oltre al danno a causa del suo lavoro, subisce la beffa di vedere tagliato sia il suo stipendio attuale, sia il, seppur minimo, ristoro pensionistico, previsto a fine carriera. Quest’ultima idea è figlia di un'aberrante concetto di giustizialismo spicciolo (che evidentemente è deprecabile quando si riferisce ai politici ma indispensabile quando si riferisce chi lavora). I fustigatori del pubblico impiegato partono dal presupposto che tutti i dipendenti che si ammalano, per più di dieci giorni all’anno, producano una certificazione oggettivamente falsa. Invertendo, così, l’onere della prova. Che invece necessita che sia il datore di lavoro ad esercitare quella giusta ed opportuna azione di controllo sull’operato dei medici ( a quanto pare) visto che, secondo alcuni, sarebbero loro ad emettere certificazioni attestanti false patologie. Anche se, se così fosse, non ci si spiega come mai l’ordine dei medici, a tutt’oggi, non abbia sentito la necessità di richiamare l’attenzione su una questione di tale gravità, per il numero di dottori implicati in questo complotto ai danni dello Stato e del contribuente.
Evidentemente per il Governo l’assimilazione di Soldati e Poliziotti al resto del pubblico impiego, in tal senso, è totale. Al punto che la promessa fatta in campagna elettorale del riconoscimento della specificità degli operatori del comparto, necessita ora di una richiesta chiara da parte di Co.Ce.R. e Sindacati “riconoscimento reale per legge della “specificità” del Comparto Sicurezza e Difesa”. Implicando, col termine “reale”, che, le proposte come quelle predette andassero, invece, proprio nella direzione di un mero riconoscimento di facciata.
Confermato anche dal fatto che i rappresentanti del personale, tra le altre cose, hanno dovuto richiedere “il mantenimento della concertazione integrativa” e “lo stanziamento di risorse adeguate per il rinnovo del contratto 2008/2009”. Come se azioni, che in altri tempi rientravano in un alveo di automatismo, oggi possano essere in dubbio. Anche se l’inflazione programmata, comunicata dal Tesoro, all’1,7 % , sulla cui base vengono calcolate le risorse da stanziare per i rinnovi dei contratti, essendo più bassa di quella degli anni precedenti, in controtendenza con quella reale che invece è decisamente aumentata rispetto al passato. Non lascia presagire una visione ottimistica per tutto il pubblico impiego, personale in divisa compreso.
Anche le dichiarazioni del Ministro La Russa vanno in questa direzione “ mi sento disarmato, non si possono abbandonare i tutori della legge”. Lasciano intendere che non solo non ci sarà spazio per il famoso recupero del potere salariale, ma addirittura il rischio di perdere le posizioni acquisite in tanti anni.

www.fainotizia.it

mercoledì 25 giugno 2008

Scuola “bell’Epoque”

Il Governo presenta, a fari spenti, la bozza del decreto in materia di "Disposizioni in materia di organizzazione scolastica". Annuncia ai sindacati del settore che, dall'anno scolastico 2009/2010, occorrerà aumentare il rapporto alunni/docenti di un punto. Attualmente siamo attorno a 9,1 alunni per ogni insegnante. L'obiettivo è quello di arrivare entro l'anno 2011/2012 a 10,1. Ossia più alunni in classe e meno insegnanti. Con un conseguente taglio di cattedre stimato dai sindacati attorno alle 62 mila unità, cui occorre aggiungere le 33 mila cattedre previste dalla Finanziaria 2008 del governo Prodi incrementate di altre 6 mila unità per una "interpretazione" dell'attuale governo sulla manovra 2008. In tutto 101 mila cattedre in meno. Cui si aggiunge che, entro l'anno scolastico 2011/2012, è prevista una riduzione pari al 17 per cento della dotazione organica di bidelli, personale di segreteria e tecnici di laboratorio. Sempre i sindacati valutano in 47 mila i posti che spariranno a causa della "revisione dei criteri e dei parametri per la definizione delle dotazioni organiche del personale Ata". Con la conseguenza che le scuole pubbliche avranno meno bidelli per vigilare gli alunni, meno addetti elle segreterie e meno tecnici presenti nei laboratori. Il risultato di questa politica sarà, una penalizzazione di tutte le attività scolastiche e formative degli alunni, con meno ore di lezione e attività didattiche.
Chissà chi spiegherà ai 300.000 precari della scuola che per loro non c’è prospettiva per la stabilizzazione, oppure ai genitori che facevano affidamento sul tempo pieno scolastico, che non ci saranno più insegnanti disponibili a garantire questa attività. Oppure agli alunni degli istituti tecnici che faranno sei ore in meno di lezione a settimana, che il loro programma di apprendimento sarà ridotto in percentuale corrispondente.
Forse il Governo era troppo occupato a bloccare i processi fino al 2002 oppure che maggioranza ed opposizione erano troppo occupate a dialogare per trovare un’ accordo sulla norma per la non perseguibilità delle alte cariche dello stato o a rigettare con voto bipartisan la richiesta di custodia cautelare nei confronti del Senatore Di Girolamo indagato per aver fornito dati falsi sulla sua residenza in Belgio per potersi candidare nelle liste riservate agli italiani all'estero. Ed i media sono troppo occupati a dare consigli per una normalissima calura estiva.
Si continua a sottovalutare l’importanza del sistema scolastico statale, per poi lamentarsi della fuga dei cervelli. Dietro una pretestuosa ricerca di efficientismo pubblico, ed ottimizzazione delle risorse, i figli dei più poveri, ma anche del ceto medio (scomparso dall’attenzione dei più ora che sono passate le elezioni), ossia la maggioranza degli italiani, rischiano di veder penalizzato il loro diritto ad un’istruzione. La cui conseguenza sarà un futuro nel mondo del lavoro con handicap.
Di fronte alla determinazione ed alla concorrenza di generazioni di giovani provenienti da altre nazioni i ragazzi italiani vengono abbandonati all’autoapprendimento, perché il sistema scolastico farà sempre meno fronte alle loro esigenze istruzionali. E non basterà neanche la determinazione dei più bravi, perché anche questi verranno penalizzati grazie alla revoca dei titoli di merito scolastici per l’accesso alle facoltà con numero chiuso. Oltre all’anemizzazione contestuale della consistenza delle varie borse di studio.
In un certo senso, Berlusconi diceva la verità, quando affermava che il Pdl è una monarchia e lui è il Re. Il paese in cui si sta precipitando è quello ottocentesco, in cui il censo, tornerà ad essere una discriminante per l’accesso all’apprendimento.
Avanti Savoia!

martedì 24 giugno 2008

E se anche Famiglia Cristiana diventa Comunista?

Notizia di ieri è che Famigli Cristiana, il settimanale delle Edizioni Paoline, tramite un suo editoriale esprime pesanti critiche sull’attività del Governo e della maggioranza.
Certamente ad un’opinione pubblica, abituata dall’incessante tambureggiare mediatico, a considerare il centrodestra come unico ed ufficiale custode politico dei valori cristiani e della famiglia, tutto ciò suonerà non poco stonato. Ancor più se si apprende che l’articolo riprende, facendo propri, buon parte delle accuse mosse dall’opposizione più agguerrita. Andando oltre le osservazioni espresse anche dallo stesso PD.
«Il Cavaliere ha un'ossessione: i magistrati. E una passione: gli avvocati. Naturalmente i primi sono contro di lui, gli altri li fa eleggere in Parlamento come l'ex segretario personale ora ministro della Giustizia. Il pacchetto sicurezza è inquinato dal "complesso dell'imputato" (definizione di Bossi), e brucia il capitale di fiducia degli italiani (che l'hanno votato a larga maggioranza), assieme all'immagine di grande statista. Ma allontana anche il Colle più alto della politica»
Neanche Travaglio e Grillo avrebbero osato sperare tanto.
Diverse agenzie e commenti tendono a fermarsi all’esame di queste righe, col rischio di far apparire queste osservazioni strumentali e, forse per qualcuno, gratuite. Non ultimi alcuni esponenti della maggioranza che subito precisano.
Gianfranco Rotondi, ministro per l'Attuazione del programma, «Famiglia Cristiana è ingenerosa verso il ministro Alfano. La parola "segretario personale" usata nei confronti del Guardasigilli come dispregiativo è prosa arrogante e priva di misericordia cristiana». Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera e deputato del Pdl vicino a Cl, «un attacco del genere me lo sarei aspettato da Liberazione o dal Manifesto. Contenuti palesemente pretestuosi e critiche pregiudiziali e infondate rivolte ad Alfano. Una presa di posizione che lascia esterrefatti e che dimostra che ancora non abbiamo imparato a giudicare l'azione dei ministri sulla base dei fatti e dei risultati che si raggiungono per il bene o meno del Paese. È sbagliato non considerare, come sembra fare Famiglia Cristiana, i richiami autorevoli venuti dal presidente della Repubblica Napolitano e dal Santo Padre, tesi a ristabilire un clima costruttivo e a mettere da parte una concezione "di parte" della politica intesa come scontro».
Il nocciolo della questione è che il settimanale di ispirazione religiosa entra nel merito dell’azione del Consiglio dei Ministri analizzando il piano economico triennale, che, in quanto tale, è riferito, quindi ad un arco temporale che abbraccia buona parte della legislatura e nel quale non si riescono neanche ad intravedere buona parte degli impegni presi nel corso della campagna elettorale. Presagendo che nel rimanente tempo a disposizione, difficilmente certe promesse potranno trovare attuazione. Infatti l’articolo prosegue: «Il gioco è vecchio. E stufa. Anzi si tratta di un espediente che logora il Paese, perché la gente è satura di scontri e complotti, di trucchi e sotterfugi. Il cambio di passo più volte promesso dal Cavaliere non c'è nella manovra di Tremonti, che pure mette in fila provvedimenti per 35 miliardi. Ci sono molta demagogia e un pizzico di beneficenza, ma le famiglie, ancora una volta, si sentono prese in giro. Che fine ha fatto il “quoziente familiare”? E il piano a sostegno delle famiglie? E il “bonus bevé” o il piano per la maternità? Spariti, come i finanziamenti per i non autosufficienti e il sostegno per l'infanzia. Mentre è comparsa la “carta per gli anziani” è demagogia pura.
Il problema dunque non sono le toghe e i giudici, ma un governo che progetta impegni per 35 miliardi di euro in 3 anni (oltre metà della legislatura), ma dimentica le famiglie. Che saranno penalizzate, in termini di servizi, anche dal taglio di 24 miliardi in 3 anni agli Enti locali. Per la manovra dunque, è bocciatura: per le famiglie, ancora una volta, solo provvedimenti assistenziali: la carità di Stato».
Confermando quanto scritto, sempre da Famiglia Cristiana, in piena campagna elettorale (9 marzo 2008), sempre in riferimento al programma del centrodestra « Il "primato del fare" è riuscito a prevalere su quello del "pensare", soprattutto in riferimento ai valori e ai temi etici sensibili. ».
Insomma quanto scritto sembra sottintendere un “facimm’ a muina” messo in piedi da Berlusconi per omettere le sue incapacità a governare la crisi e la sua determinazione ad evitare il confronto con i suoi giudici naturali (lo stesso Gedini conferma che dietro il blocco dei processi si celi la ricerca di evitare una condanna). La differenza editoriale, stavolta, la fa la fonte. Insospettabile. Anche se alcuni non esitano a ventilarne un improbabile gemellanza con editoria di estrema sinistra. Forse perché le cattive abitudini sono dure a morire, soprattutto se ci si è abituati da ormai troppi anni a gridare “al lupo, comunista”, pur di evitare il confronto sui temi concreti ed oggettivi.
Berlusconi, è disposto a gettare il paese nell’anarchia. Muoia Sansone con tutti i Filistei, pur di evitare una condanna certa. Perché questo si può ragionevolmante pensare, in quanto provata da un reo confesso come l’avvocato Mills, che si autoaccusa, in una lettera, di testimonianza reticente. Perché il procedimento viene avviato, non per la pervicacia di un giudice (l’ennesimo di una lunga serie di comunisti, a quanto pare) ma viene notificata al giudice Nicoletta Gandus, dalla magistratura della Gran Bretagna. Insomma gridare ancora al complotto bolscevico anche oltremanica appare fuori luogo.
Il desiderio di assoluzione del Cavaliere è omnicomprensivo, supera le vette del laicato e approda anche a quelle della chiesa cattolica. Allorché chiede la dispensa per poter fare la comunione anche da divorziato. Il diniego del Papa “Coloro che non possono ricevere la comunione a motivo della loro situazione, troveranno comunque nel desiderio di comunione e nella partecipazione all’Eucaristia una forza e una efficacia salvatrice”, concede divina comprensione ed accoglienza. Sebbene non risponda all’esigenza primaria e televisiva delle inquadrature che si concedono al comunicante che si approssima all’altare e si negano al penitente che rimane tra i fedeli.
Certo a qualcuno verrà in mente il dialogo tra Saccà e la Bergamini, all’indomani dei funerali di Giovanni Paolo II, quando esprimevano rammarico per la scarsa visibilità televisiva riservata a Berlusconi. Probabilmente il conferimento dell’ostia consacrata avrebbe concesso maggior spazio mediatico. Come avvenne ai funerali di Bettino Craxi, quando Don Verzè gli permise di fare la comunione.
Ecco allora che, di fronte a una concezione superficiale, di apparenza e di opportunismo, sul cui solco si muove l’inquilino di Arcore ed il suo seguito, non ci si può aspettare pieno appoggio dell’unico organo mediatico, non di sinistra, esente dalla sua influenza. La stampa di ispirazione religiosa.
Ma chissà, più che il colle del Quirinale, magari la sua ambizione potrebbe immaginare la folla plaudente con gli striscioni “Santo subito”. Allora, si! Neanche i Paolini e Famiglia Cristiana, nulla potrebbero.

lunedì 23 giugno 2008

Un uomo solo al comando.

L’incubo di ogni leader che si rispetti è quello di avanzare per poi rendersi conto di non avere nessuno alle proprie spalle.
Il rischio che per Veltroni tutto ciò si tramuti in realtà è concreto.
Dopo la rottura del dialogo con la maggioranza di Governo. Il segretario del PD chiama il suo popolo ad una grande manifestazione in ottobre. In mezzo a tutto l’attacco di Parisi e le contestazioni per la scarsa democraticità che ha contraddistinto l’Assemblea Nazionale 2008 e l’elezione/nomina della Direzione Nazionale del PD.
L’ex Ministro della Difesa, insieme ad altri delegati, evidenzia la scarsa affluenza di delegati (570 contro i 2770 eletti alle primarie). La qual cosa renderebbe nulla l’assemblea, perché priva del numero legale, necessario, ai fini di qualunque determinazione o votazione. La Finocchiaro, rispondeva che nessun quorum era previsto. Dimostrando che oltre a non saper leggere politicamente il proprio territorio elettorale, non conosce neanche la carta statutaria del partito che rappresenta (Art. 4 comma 2 dello Statuto del PD: “Il Regolamento è approvato dall’Assemblea nazionale con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei suoi componenti.”). Resasi e conto della gaffe, la deputata siciliana con il sostegno di Franceschini, forniva una spiegazione più lapidaria: “sono cavilli, in tutti i partiti si fa così…” (resoconto tratto dal Blog di Gad Lerner).
Ci si può interrogare a lungo sulle ragioni della sconfitta elettorale reiterata, del Partito il cui principale esponente è Veltroni. Per descriverlo come lui faceva con Berlusconi. Basta non voler veramente cercare delle risposte. Altrimenti sembra difficile non riconoscere in questo atteggiamento tutti i sintomi della malattia che affligge, in ugual misura, tutta la politica italiana, PD non escluso. L’arroganza.
Come poter, ragionevolmente, credere che, l’accusa di cronica e conclamata refrattarietà di Berlusconi agli istituti democratici, alle norme ed alle regole, possa essere onestamente mossa da altri soggetti che, non meno, dimostrano la medesima sordità nelle proprie regole interne?
L’elettorato, un tempo di centrosinistra, oggi pare orfano di quel dibattito onesto e franco. Della pratica quotidiana della democrazia. Il decisionismo ed il preconfezionamento degli organismi esecutivi della linea di partito, sembra diventato patrimonio di ciò che rimane del vecchio PCI. In tal senso l’accusa che gli viene mossa. di essere diventato la nuova Democrazia Cristiana, sembra essere confermata.
Così le correnti interne, sono dipinte, non come espressione di dibattito e democrazia, ma come minatorie dell’autorità costituita. Tra le fila veltroniane, la logica berlusconiana del “non disturbare il manovratore” e del “lasciatelo lavorare”, sembra aver fatto più presa del “yes we can” di Obama.
Ecco che il proclama per un happening autunnale appare fuori tempo e presagio di un esito fallimentare. Ciò che Veltroni vuole contestare è attuale e concreto. Lui stesso ha più volte accusato il centrodestra di trascurare i problemi impellenti e quotidiani degli italiani, ma non dimostra maggior accortezza pensando che l’azione di contrasto possa attendere quattro mesi. A meno di non voler ritenere che in questo lasso di tempo prezzi, lavoro, sicurezza e quant’altro vengano congelati allo status quo.
Il viale autunnale che i pochi presenti all’assemblea nazionale, auspicano di voler percorrere numerosi, rischia di essere quello del tramonto. Ben diverso dal quadro “Il Quarto Stato” dipinto da Pellizza alla fine del ‘800, iconocrafia usata ed abusata dalla sinistra. Espressione di un popolo orgoglioso in marcia per i propri diritti. Il rischio è quello che la prospettiva si inverta inquadrando uno sparuto gruppo politico dirigente, che spalle curve attraversa una città deserta e non più disposta a seguire chi, solo a parole, rivendica maggiori diritti e democrazia.
Altri stanno raccogliendo fette di consenso dell’elettorato disperso. La diaspora del popolo di sinistra è appena iniziata. Con essa i suoi valori sono a rischio di estinzione. Anticamera di un revisionismo storico incipiente. Restando facili prede del nuovo credo unico del liberismo selvaggio e del capitalismo.
Walter si girò e vide solo l’ombra di se stesso.

giovedì 19 giugno 2008

Tavaric! A noi!

Meglio di tante elucubrazioni sulle conseguenze del blocco dei processi, rendono il concetto le spiegazioni del vice presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Giuseppe Cascini. Il quale riferisce che lo studente che cede gratuitamente una dose di hashish a un coetaneo sarà processato prima dello straniero irregolare che violenta una studentessa alla fermata del tram; e la stessa sorte toccherà al giovane che ruba un cellulare a un coetaneo minacciandolo con un temperino rispetto al chirurgo che durante un'operazione per un grave errore provoca la morte di un bambino.

Invece assistiamo a estenuanti discussioni come quella che ha avuto luogo ieri mattina (18/06/08), alla trasmissione di approfondimento Omnibus, in onda si La7. Tra gli ospiti c’era l’Onorevole Gaetano Pecorella. Uno dei legali di fiducia di Silvio Berlusconi, eletti nelle liste del PdL.

Il Deputato in questione poneva una questione di fondo. Ossia che figura avrebbe fatto l’Italia venendo rappresentata a livello internazionale da un Presidente del Consiglio condannato. Aggiungendo che questi era stato eletto mentre il processo era già in corso e che, quindi, gli italiani hanno deciso di votarlo nonostante fossero ampiamente a conoscenza di queste vicissitudini.

Questa valutazione della situazione è gravemente viziata. Ossia che tutti gli italiani fossero effettivamente a conoscenza, non solo, delle azioni giudiziarie che riguardano il cittadino Berlusconi, ma anche di tutti gli aspetti dei procedimenti.

Invece salvo alcune eccezioni i media si sono limitati a riferire l’avvio dei procedimenti senza analizzare gli elementi che erano oggetto della contestazione, dando, al contempo, risalto alle accuse proferite dall’imputato, dai suoi avvocati e dai suoi sodali politici, riguardo la presunta natura politica dell’azione giudiziaria e dei magistrati stessi.

Su queste basi è difficile immaginare che l’opinione pubblica potesse avere elementi di giudizio adeguati a valutare con oggettività la situazione. Anzi, tendeva ad identificare l’attuale Presidente del Consiglio esclusivamente in una vittima perseguitata. Senza porre in essere una qualsivoglia analisi distaccata dei fatti.

Senza contare che una logica simile, tra l’altro incredibilmente esposta da un tecnico in materia giuridica, prelude ad un concetto plebiscitario della giustizia. Tanto vale a questo punto, abrogare i tribunali e la magistratura, per risparmiarne i costi, ed introdurre l’istituto delle sentenze a mezzo sondaggi.

Nessuno dei presenti ha obbiettato a queste dichiarazioni, che, alla luce dei provvedimenti in itinere sulle sanzioni a quanti intendano pubblicare notizie riferite ad indagini in corso, lasciano presagire chi in futuro gli elettori non solo non potranno scegliere chi votare, ma neanche sapere chi sono e cosa fanno.

Immagino cosa potrà accadere, una lista elettorale senza nomi ma una lista di Candidato n° 1, Candidato n° 2, ecc… Con i nomi occultati per il rispetto della privacy.

Aggiungiamo che ormai il Governo parla apertamente di piano economico triennale, che ricorda molto quelli quinquennali di staliniana memoria. L’inversione di tendenza in tema di liberismo economico e privatizzazioni. La tassazione dei profitti petroliferi e bancari. I soldati nelle strade. Le tessere per la spesa degli anziani e quant’altro.

Il contrappasso sembra che i cittadini che pensavano di votare un governo di destra potrebbero aver dato il là ad una riedizione in chiave italiana della vecchia e tanto vituperata U.R.S.S.

Nessuno poteva mai immaginare che la tanto declamata amicizia di Berlusconi con Putin stesse sortendo siffatte conseguenze.

lunedì 16 giugno 2008

Militari da marciapiede

Il Ministro La Russa, vuole, fortissimamente vuole, che anche i militari italiani siano impegnati nella lotta alla criminalità. Quale segnale concreto all’allarme sociale destato dal senso insicurezza di cittadini.

Questa è la premessa alla quale alcune osservazioni sembrano d’obbligo. Alcune di merito altre di carattere pratico.

Molti hanno sollevato più di una perplessità a causa di una militarizzazione della vita quotidiana dei cittadini. Sebbene dimenticano come questa già non avvenga tuttora. Considerato che sia i Carabinieri che Guardia di Finanza sono formalmente e rispettivamente, la quarta Forza Armata, nonché polizia militare, e una Forza di Polizia ad ordinamento Militare. I loro rappresentanti indossano quel simbolo distintivo dei militari sulla divisa che sono le stellette. Sono soggetti al Codice Penale Militare di Pace e Guerra, oltre al Regolamento di Disciplina Militare. Insomma non si può aver alcun dubbio sul loro status.

Ciò detto non pare che il paese percepisca questo con malcelato malessere. Anzi, da più parti viene lodata la professionalità di questi due Istituti dello Stato. D’altro canto non si comprende bene come la maggioranza del paese condivida “l’esportazione della democrazia” grazie alle Forze Armate, mandando i soldati in terre lontane, attribuendogli anche funzioni precipue del poliziotto e, successivamente, negare che questi siano in grado di operare altrettanto bene anche in patria?

I diritti altrui sono meno diritti dei nostri?

Dal punto di vista pratico faccio due conti e valuto i numeri forniti, 2500 militari, divisi per una decina di siti, diventano 250. Che, divisi per 4 (turni di 6 ore circa), fanno 62 persone in più operanti in nelle zone di intervento. Insomma città come Roma, Milano, Napoli o Palermo, potranno ricevere grande conforto da una sessantina di persone in più per strada. Forse il rapporto costi (indennità da attribuire ai militari per questa operazione) benefici (effettivo risultato dal punto di vista dell’abbattimento della criminalità) potrebbe avere un saldo negativo.

L’operazione sembra, in effetti, una facile operazione mediatica. Forse una disputa tra i titolari dei dicasteri Interno e Sicurezza, ossia tra Lega e A.N. per la conquista della paternità per una promessa elettorale di maggior sicurezza. O anche un modo per giustificare il concretizzarsi di quel progetto che partendo dall’esubero dei Marescialli nelle Forze Armate, giustifichi un loro transito nelle Forze di Polizia, così come già previsto da un comma dell’ultima Finanziaria approvata.

Se poi la cosa possa diventare un cavallo di troia che crei un precedente importante e consenta in futuro un più semplice impiego, in patria, dei militari, magari in occasioni di alcune manifestazioni di piazza, certo questo all’attuale esecutivo potrà non dispiacere.

Infondo l’operazione Vespri Siciliani attuata anni fa, appariva più ragionevole. Infatti non prevedeva ronde militari nei quartieri. Bensì la sorveglianza di siti e palazzi altrimenti di pertinenza di Polizia, Carabinieri e Finanza, allo scopo di poter utilizzare con maggior proficuo proprio coloro che già per istituto hanno il compito di tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica.

Quello che solleva maggiori perplessità, di fatto, è che il tutto sembra essere finalizzato alla lotta alla piccola delinquenza, non già alla grande criminalità.

sabato 14 giugno 2008

Gente di Dublino

Andrea Bonanni, su Repubblica, si lancia all’attacco del “piccolo popolo” d’Irlanda (nel senso che rappresenta solo lo 0,25% della popolazione del vecchio continente). Che come un Davide di fronte a Golia si frappone alla concretizzazione della Nazione europea.

Nell’articolo viene sollevata una questione di principio: Ma che democrazia è quella in cui la gente si pronuncia su temi che non conosce facendo scelte di cui non può prevedere gli effetti?”.

Ecco, il problema pare proprio questo. Il censo intellettuale sembra volersi far strada nei meandri delle principali democrazie. Teso ad escludere la massa della popolazione dalle decisioni politiche con la giustificazione che esso non è in grado di discernere il giusto dallo sbagliato a causa della misconoscenza delle ragioni che portano a queste scelte. Mi viene in mente quel luogo comune secondo cui, storicamente, anche alle donne veniva attribuita una eccessiva curiosità genetica e la tendenza a fare troppe domande. La spiegazione logica di tale comportamento è che esso è dovuto al fatto che, venendo estromesse da i processi decisionali e dalle principali discussioni, storicamente ad appannaggio dei soli uomini, per conoscere anche le più piccole decisioni prese da chi deteneva le redini del potere, esse dovevano chiederle esplicitamente e continuamente.

Il buon Bonanni non ci dà conto del fatto che, non solo, la popolazione ha diritto di essere informata sulle scelte strategiche del continente, ma che una Costituzione dovrebbe avere caratteristica di chiarezza e semplicità nei propri contenuti e nel proprio ordinamento. Mentre, se qualcosa si può dire del Trattato di Lisbona, è che esso è assolutamente criptico ed imperscrutabile. A tal punto da non essere stato ben compreso, non solo dalla gente comune, ma anche da giuristi ed addetti ai lavori. Un contratto privatistico che seguisse le medesime logiche sarebbe stato impugnato e considerato vessatorio.

Il tentativo subdolo di imporre ai cittadini europei un governo autoritario unico, sulle cui nomine essi non avrebbero avuto conto e controllo. Tantomeno sulle politiche attuate. Sono motivi più che sufficienti per non condividerlo e votargli contro in un referendum.

L’Unione europea prova a fare una Costituzione in pompa magna e viene bocciata dai referendum popolari. Per tutta risposta tenta di farne una seconda che non richieda referendum (il Trattato di Lisbona). Tutto sembra procedere per il meglio se non si considera che occorre l’unanimità dei parlamenti dei paesi membri. Infatti un disposto costituzionale irlandese, impone che qualunque modifica ad essa debba essere ratificato da un referendum popolare. Il no che ne consegue blocca il processo. A questo punto il problema non può essere che solo gli irlandesi impongano un veto a tutti gli altri, bensì che tale opportunità non sia stata offerta al restante 99.75% dei cittadini europei. Ma certamente tale preclusione non è stata affatto casuale dato che il rischio che il risultato del voto irlandese si replicasse a macchia d’olio era concreto.

La svolta che ci si aspetterebbe, sarebbe che, finalmente si smettesse di pensare ad un’Europa controllata da lobby e banche, passando ad una dei cittadini. Gli stessi che ogni giorno amano incontrarsi nelle sue capitali, parlandosi senza avere la medesima lingua, ma comprendendosi meglio delle carte bollate di Buxelles.

Go raibh maith agath Gael! (Grazie Irlanda!)

venerdì 13 giugno 2008

Economia di neandhertal

Non vorrei che sociologi ed antropologi se ne avessero a male, così come non vorrei prenderla troppo alla lontana. Ma fin da quando, bimbetto con i pantaloni corti, andavo a scuola, ricordo chiaramente che mi veniva spiegato che “l’uomo primitivo”, pur non appartenendo ad una specie fisicamente più forte di altre, era riuscita ad assurgere ad un ruolo dominante su tutte le altre, grazie alla sua adattabilità ed alla sua capacità di creare strutture sociali complesse, i cui membri, integrandosi, si fornivano mutuo sostegno ed aiuto. La maestra spiegava, così, che, se un solo uomo soccombeva di fronte la leone, molti riuscivano ad avere la meglio sul felino.

Su quello che da sempre è stato ritenuto l’ordine fondamentale delle cose, il nucleo portante della società umana, ci siamo sviluppati fino ai giorni nostri. Reinterpretando concetti elementari come la necessità di aiutare i più deboli, in considerazione che la discriminante debba essere, non la legge del più forte, ma la considerazione che ciascun individuo può fornire un suo valido contributo a tutta la società. A prescindere dalle suo aspetto, dalle sue capacità fisiche, dalle sue convinzioni etico/morali e dalla sua condizione sociale. Questi concetti sono stati storicamente ritenuti così importanti da essere inseriti come cardini fondanti dei principali ordinamenti democratici nazionali del mondo. Non escluso quello italiano.

Diritti e mutualità sono elemento cardine della nostra Costituzione. In essa è ribadito che il più forte aiuta il più debole, così abbiamo superato il concetto delle gabelle, che non recavano beneficio a coloro che le pagavano, passando a quello delle tasse, il cui scopo ultimo dovrebbe essere consentire uno sviluppo armonioso di tutti i membri della società, ognuno secondo le proprie attitudini. Nel superiore interesse della sopravvivenza di tutto il tessuto sociale che nella costituzione si riconosce.

Da sempre lamentiamo le inefficienze dei servizi. Scuola, Sanità, Trasporti, Sicurezza ecc… Così come lamentiamo una contestuale impoverimento di larga parte della cittadinanza, a fronte della quale una sparuta minoranza ha visto, invece, incrementare, cospicuamente, le sue ricchezze.

Di fronte a questi due aspetti deleteri e macroscopici che soluzioni ci vengono prospettate?

Coloro che hanno governato fin’oggi, dall’alto della loro grande competenza, testimoni immobili (e forse anche complici) dell’ allargamento del divario tra ricchezza e povertà. Predicano, per mezzo dei loro megafoni mediatici, il verbo del recupero del potere salariale e la detassazione.

Ora, così come dicevo all’inizio, non sono sociologo ne antropologo, allo stesso modo sottolineo che non sono neanche economista, ma conosco “il rasoio di Occam” che recita: "A parità di fattori la spiegazione più semplice tende ad essere quella esatta", ossia non vi è motivo alcuno per complicare ciò che è semplice”. La deduzione che potrebbe fare l’uomo della strada dovrebbe essere, ragionevolmente, quella di verificare il sistema fiscale al fine di accertare che tutti paghino ciò che è dovuto. Trasferire correttamente e senza sperperi il ricavato delle tasse nei servizi (Scuola, Sanità, Trasporti, Sicurezza ecc…). In tal modo si ridurrebbero i costi che i cittadini sostengono a proprie spese per integrare la mancanza dei servizi offertigli dallo Stato. Consentendo alla quota di reddito non versata alla collettività di essere utilizzata in maggior misura per tutte le altre spese.

Ad esempio una famiglia, oggi, paga le tasse per mandare i propri figli a una scuola pubblica, ma poi paga i libri, l’autobus per raggiungere la scuola, le ripetizioni,le attività sportive dei figli, i corsi di danza e/o musica, ecc…

In tal modo si crea una disparità sociale tra chi si può permettere a proprie spese una scuola privata e tutte le attività integrative che preferisce e quanti invece no. Se il sistema scolastico pubblico integrasse tutto ciò, larga fetta delle retribuzioni sarebbe utilmente spendibile per incrementare il ciclo produttivo del nostro sistema e non per supplire la carenza dei servizi sociali. Stessa dinamica si potrebbe considerare, nell’ambito del Sistema Sanitario Nazionale che, se implementato e migliorato, risparmierebbe a larga parte della popolazione il ricorso a strutture private a pagamento, le quali incidono negativamente soprattutto nei bilanci delle fasce più deboli della popolazione.

Invece le soluzioni che ci vengono proposte vanno nella direzione esattamente contraria, ossia diminuire la tassazione, dei cui effetti beneficiano in misura maggiore i ceti ricchi, mentre il recupero per gli altri sarebbe di entità così limitata da renderne superflua l’attuazione e non consentire di utilizzare utilmente le maggiori risorse per compensare il costo della vita, vedasi il recente taglio dell’ I.C.I. che ha premiato chi possedeva una casa non già chi non aveva un reddito sufficiente o stabile da poterne acquistarne una. Di conseguenza i maggiori oneri derivanti dal minor gettito fiscale vengono recuperati tramite dei tagli ai bilanci dei servizi sociali essenziali come Scuola, Sanità, Trasporti, e Sicurezza. Insomma per rimanere sempre all’esempio dell’I.C.I., il recupero economico lo ha avuto solo chi aveva un’abitazione di proprietà, ma l’onere lo pagherà in maggior misura chi ha meno possibilità di sostenere i costi di scuole private, sanità privata, trasporti privati e via dicendo.

Nel bailamme delle notizie su intercettazioni, rifiuti, calcio e quant’altro, sta passando assolutamente in secondo piano tutto ciò che attiene al prossimo documento di programmazione economico finanziario del Governo. Le sue avvisaglie parlano di una riduzione del bilancio della sanità di tre miliardi di Euro nel prossimo triennio più, nuovamente, il blocco del turn over e lo stop alla sanatoria dei precari. Ulteriori tagli potrebbero interessare anche la scuola, con la scrematura del personale docente e non docente. A tutto ciò si aggiunge che, il mancato introito regionale a causa del taglio dell’ I.C.I., produce 370 milioni in meno per il trasporto pubblico locale. Inoltre, la tanto decantata la Robin Hood tax sugli extra-profitti dei petrolieri, potrebbe avere una valenza soprattutto "morale", mentre la stretta fiscale su banche e assicurazioni rischia di risolversi in un generale aumento delle tariffe. (fonte IL SOLE24ORE)

Insomma per tornare alle pelli ed alle caverne, il capotribù ci sta dicendo che presto non si caccerà più in gruppo, bensì ognuno dovrà procacciarsi la selvaggina da se e pazienza se i più piccoli e deboli periranno nella notte vittime dei leoni. I più forti sopravvivranno e rinvigoriranno la specie.


mercoledì 11 giugno 2008

C’è PRIVACY e privacy, DIRITTI e diritti.

In questi giorni sembra che l’urgenza primaria che tutti sentono, sia quella del timore di essere continuamente spiati ed intercettati. Ecco quindi che il dibattito politico e l’azione di Governo si concentra su una proposta che tenda a salvaguardare i diritti legati alla privacy di tutti i buoni cittadini. Tanta attenzione è senz’ombra di dubbio encomiabile. Come non si può condividere la difesa della riservatezza dei dati sensibili di ciascuno. Qualche perplessità potrebbe sorgere se si pensa che la conseguenza di un giro di vite, in materia di intercettazioni, potrebbe essere di ostacolo all’azione investigativa della magistratura. Ma i diritti sono diritti, e, come dice il detto, il marito che si castra per far torto alla moglie, non è proprio un esempio di furbizia. Per cui la salvaguardia dei diritti della persona viene prima di ogni cosa. Anche se il prezzo potrebbe essere un rallentamento dell’azione investigativa.

Salvo quando si scopre che altrettanta accortezza non è ascrivibile al Governo Berlusconi, allorché il 13 Aprile 2006, per mano dell’allora Ministro della Difesa, Martino varò il D.M. n° 126 in materia di identificazione dei dati sensibili e giudiziari trattati e delle relative operazioni effettuate dal Ministero della difesa, in attuazione degli articoli 20 e 21 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. Con il quale stabiliva come raccogliere tutta una serie di dati sensibili del personale appartenente al Ministero della Difesa, militari e civili.

Infatti da una serie di schede allegate al decreto si scopre come l’Amministrazione in questione necessiti di conoscere alcune specifiche inclinazioni e propensioni dei propri dipendenti quali le convinzioni religiose, filosofiche, politiche, sindacali, o di non meglio precisato, altro genere, infine conoscere la vita sessuale degli stessi. Particolare interesse desta, inotre, osservare che tali informazioni sono propedeutiche ai fini di perseguire azioni disciplinari.

In un panorama di estrema compressione dei diritti costituzionali dei militari, questa appare una vera e propria schedatura dalle finalità oggettivamente incomprensibili. Tanto più se si scopre che la, così detta, norme di principio sulla disciplina militare, n° 382 del 1978, all’articolo 17 vieta esplicitamente l’uso di schede informative ai fini di discriminazione politica dei militari.

Infatti , allorché si decida di instaurare una procedura di carattere disciplinare nei confronti di un dipendente della Difesa, qual è la necessità di conoscere il suo orientamento politico, sindacale o, addirittura la sua vita sessuale? Una scelta anziché un’altra sono da considerare attenuanti o aggravati?

Aggiungiamo che a tutt’oggi nessuna richiesta volta ad acquisire queste informazioni è stata rivolta agli interessati, ingenerando il sospetto che queste siano già in possesso dell’ Amministrazione, acquisite da fonti non meglio precisate e tanto meno autorizzate.

Qui la costituzione viene cancellata, non compressa. I diritti dell’individuo scompaiono. Senza che il garante della Privacy muova un solo dito. Aggravata dalla ormai cronica assenza di un organismo che assolva la funzione di parte sociale a tutela di quanti vestono una divisa, la quale ha impedito una forma di denuncia pubblica di questa grave ingerenza nella vita privata di oltre 300.000 cittadini italiani.

Non credo vi possano essere dubbi sulla lotta per la difesa di tutti i diritti fondamentali della persona e sul sostegno che qualunque cittadino italiano è disposto ad offrire al perseguimento di detto fine. Per questo la coerenza nell’azione politica e di governo sono una condizione imprescindibile e non contrattabile.

Invece, l’impressione che si ha, è quella di essere, ancora una volta, di fronte ad un sistema che dice che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, ma alcuni sono più uguali di altri. Nel bene o nel male. Ancora una volta cittadini di serie A e cittadini di serie B.

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martedì 3 giugno 2008

La morte dalla porta di servizio

Nel corso dell’ultimo anno avevamo avuto la presunzione di avere due certezze. Una era che, con la risoluzione dell’O.N.U. in materia di moratoria della Pena di Morte – fortemente sostenuta dall’Italia e dall’Europa nel suo complesso -, fosse chiaro che i popoli del vecchio continente erano contrari all’applicazione della pena capitale. Un’altra era che la Costituzione Europea di 400 pagine fosse, invece, defunta.

Scopriamo che non solo queste due cose potrebbero risultare false ma anche strettamente connesse tra loro. Infatti i due “no” alla nuova carta costituzionale da parte dei cittadini Olanda e Francia, avevano indotto l’Unione Europea a interrompere il processo di ratifica onde evitare altre sonore bocciature. Il cambio di strategia che ne è conseguito ha indotto ad adoperare un differente metodo, così detto di basso profilo. Meno annunci trionfalistici e più pragmatismo. Secondo uno schema di chi è determinato a perseguire un risultato concreto, più che ricercare il sensazionalismo dell’effetto annuncio.

Così abbiamo assistito alla redazione del trattato di Lisbona, che in qualche modo surroga il fallimento della Costituzione europea. La prima cosa che salta all’occhio è che essa non necessita di una ratifica referendaria da parte dei cittadini dell’ U.E., limitandosi a richiederne l’approvazione solamente dei rispettivi parlamenti dei paesi membri. La seconda è la sua assoluta cripticità, infatti il testo del trattato, è un insieme di riferimenti e sostituzioni di termini contenuti in altre norme (es.: alla riga x dell’ art. Y sostituire la parola A con la parola B). Centinaia di pagine tutte così, la cui decifrazione è ben più che ostica. Il problema è che il trattato non affronta aspetti tecnici di relativo interesse ed importanza, quanto piuttosto aspetti estremamente importanti dal punto di vista sostanziale e dei diritti dei cittadini a cui dovrà essere applicato e che avrebbero necessitato di una forma esplicita e chiara alla portata di tutti. Già ci sarebbe da sollevare più di una perplessità sullo scippo referendario fatto agli europei, palese conseguenza del timore che, un’ Europa più matrigna che madre, non piaccia a nessuno, ma ancor più grave osservare che, surrettiziamente, a Lisbona si sia voluto dare corpo ad un disegno teso a restringere molti aspetti legati ai diritti dei singoli, sulla scorta di quanto fatto dagli Stati Uniti gli anni scorsi con il “Patrioct Act”. Solo in questo senso possiamo concepire il macroscopico dietro-front sulla moratoria alla pena di morte di cui si parlava all’inizio, allo scoprire che sepolta in ginepraio di rinvii e richiami di note vi è la reintroduzione della pena di morte e la sua applicazione in casi assolutamente aleatori come rivolte e sommosse, lasciando alle autorità lo stabilire se una semplice manifestazione possa essere ricondotta nell’alveo di questa casistica. Nella lezione, La legittimazione della pena di morte e dell’omicidio, del prof. Karl Albrecht Schachtschneider (che riporto per intero) è spiegata la logica che porta alla conclusione predetta:

La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE) permette espressamente nelle “spiegazioni” ai Diritti Fondamentali e nelle sue “definizioni negative” – assorbite nel Trattato di Lisbona – contrariamente all’abolizione della pena di morte vigente in Germania, Austria e altri paesi in conformità con il principio [costituzionale] della dignità dell’uomo, la reintroduzione della pena di morte in caso di guerra o in caso di diretto pericolo di guerra, ma permette anche l’omicidio per reprimere una sommossa o un’insurrezione. Decisivo per questo non è l’Art. 2 Paragrafo 2 della Carta, che proibisce la condanna a morte e l’esecuzione capitale, bensì la spiegazione di quest’articolo, integrata nel Trattato [di Lisbona], che risale alla Convenzione sui Diritti Umani del 1950. Secondo l’Art. 6 Par. 1 e Sottopar. 3 del Trattato sull’Unione Europea (TUE) nella versione di Lisbona, vengono definiti i diritti, le libertà e i principi fondamentali della Carta in conformità con le disposizioni generali del Titolo VII della Carta, che regola l’esposizione e l’applicazione degli stessi, tenendo in debito conto le “spiegazioni” allegate alla Carta, in cui vengono indicate le fonti di queste disposizioni. La rilevanza giuridica delle “spiegazioni” sgorga anche dal Paragrafo 5 S. 2 del Preambolo della Carta, secondo il quale l’interpretazione di questa avviene “tenendo in debito conto le spiegazioni elaborate sotto l’autorità del praesidium della Convenzione europea”. Il Paragrafo 5 S. 2 del Preambolo e il Paragrafo 7 dell’Art. 52 sono stati reinseriti nella Carta il 12 dicembre 2007. Erano già presenti nel naufragato Trattato Costituzionale del 29 ottobre 2004. Questo allargamento del testo smentisce il temporaneo successo della politica contro la pena di morte e l’esecuzione capitale. Le “spiegazioni” riguardano anche e proprio l’Art. 2 Par. 2 della Carta (M. Borowsky, in J. Meyer, Kommentar zur Charta der Grundrechte der Europäischen Union, 2003, Art 2, Rdn. 18).

Le deleghe all’Unione nel campo della politica estera e di sicurezza comune sono sufficienti affinché, nell’interesse dell’efficienza delle missioni secondo l’Art. 28 (42) Par. 1 S. 2 (Il numero in parentesi si riferisce alla “Rinumerazione del trattato sull’Unione Europea”. Per orientarsi meglio, cfr. la tabella di corrispondenza della Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea a http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2007:306:0202:0229:IT:PDF.) e Art. 28b (43) Par. 1 TUE, o anche nell’interesse della difesa, sia reintrodotta la pena di morte; ad esempio la delega al Consiglio tramite l’Art. 28b (43) Par. 2 S. 1 TUE sulle decisioni riguardanti le missioni, che permette “di stabilire le condizioni generali di attuazione valide” per le missioni stesse. A ciò non partecipano né il Parlamento Europeo né tanto meno i parlamenti nazionali. Una decisione del genere andrebbe valutata in combinazione con l’Art. 2 Par. 2 della CDFUE, con le sue spiegazioni. Inoltre gli stati membri si impegnano con l’Art. 28 (42) Par. 3 Sottopar. 2 S. 1 TUE, “a migliorare progressivamente le proprie capacità militari”. Le guerre del passato e del presente dimostrano che la pena di morte, ad esempio nel caso di soldati che si rifiutano di eseguire gli ordini, tende a incrementare notevolmente le capacità militari di un esercito. L’efficienza di misure militari può essere incrementata, tra l’altro, per mezzo dell’esecuzione di terroristi e sabotatori o anche presunti tali. La prassi dell’Unione di estendere estremamente i testi sui doveri degli stati membri non autorizza ad escludere anche una tale interpretazione, quando la situazione lo comanda o lo consiglia. Per inciso, il dovere di riarmo di questa prescrizione non è compatibile con il principio pacifista, vincolante, delle costituzioni tedesca (preambolo della Grundgesetz, Art. 1 Par. 2, Art. 26 Par. 1) e austriaca.

Nella Dichiarazione riguardante le Spiegazioni della Carta dei Diritti Fondamentali, che secondo l’Art. 49b (51) TUE (”Allegato”) sono parte costituente dei Trattati, dunque sono parimenti vincolanti, sta scritto:

3. Le disposizioni dell’articolo 2 della Carta corrispondono a quella degli articoli summenzionati della CEDU e del protocollo addizionale e, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 3 della Carta, hanno significato e portata identici. Pertanto le definizioni “negative” che figurano nella CEDU devono essere considerate come presenti anche nella Carta:

a) articolo 2, paragrafo 2 della CEDU:

“La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario:

a) Per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale;

b) Per eseguire un arresto regolare o per impedire l’evasione di una persona regolarmente detenuta;

c) Per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un’insurrezione”;

b) articolo 2 del protocollo n. 6 della CEDU:

“Uno stato può prevedere nella propria legislazione la pena di morte per atti commessi in tempo di guerra o in caso di pericolo imminente di guerra; tale pena sarà applicata solo nei casi previsti da tale legislazione e conformemente alle sue disposizioni …” (Cfr. il testo sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, in data 14.12.2007, su http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2007:303:0017:0035:IT:PDF).

Sommosse o insurrezioni possono essere viste anche in certe dimostrazioni. Secondo il Trattato di Lisbona, l’uso mortale di armi da fuoco in tali situazioni non rappresenta una violazione del diritto alla vita. In guerra si trovano attualmente sia la Germania che l’Austria. Le guerre dell’Unione Europea aumenteranno. Per questo, l’Unione si riarma – anche con il Trattato di Lisbona.

(tratta dal sito http://www.reset-italia.net/2008/05/08/re-il-trattato-di-lisbona/)

In Italia la Lega ha sollevato il problema legato al venir meno di ampie quote di sovranità nazionale, omettendo di analizzare la questione pena di morte. In realtà nessun approfondimento mediatico, come al solito, ha permesso agli italiani di comprendere la portata di tutto ciò. Per cui è prevedibile che la ratifica sarà questione di tempo, magari dietro qualche contropartita agli uomini di Bossi.

Quanto ai diritti di tutti gli altri cittadini, “… che mangino le brioches…”

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