Andrea Bonanni, su Repubblica, si lancia all’attacco del “piccolo popolo” d’Irlanda (nel senso che rappresenta solo lo 0,25% della popolazione del vecchio continente). Che come un Davide di fronte a Golia si frappone alla concretizzazione della Nazione europea.
Nell’articolo viene sollevata una questione di principio: “Ma che democrazia è quella in cui la gente si pronuncia su temi che non conosce facendo scelte di cui non può prevedere gli effetti?”.
Ecco, il problema pare proprio questo. Il censo intellettuale sembra volersi far strada nei meandri delle principali democrazie. Teso ad escludere la massa della popolazione dalle decisioni politiche con la giustificazione che esso non è in grado di discernere il giusto dallo sbagliato a causa della misconoscenza delle ragioni che portano a queste scelte. Mi viene in mente quel luogo comune secondo cui, storicamente, anche alle donne veniva attribuita una eccessiva curiosità genetica e la tendenza a fare troppe domande. La spiegazione logica di tale comportamento è che esso è dovuto al fatto che, venendo estromesse da i processi decisionali e dalle principali discussioni, storicamente ad appannaggio dei soli uomini, per conoscere anche le più piccole decisioni prese da chi deteneva le redini del potere, esse dovevano chiederle esplicitamente e continuamente.
Il buon Bonanni non ci dà conto del fatto che, non solo, la popolazione ha diritto di essere informata sulle scelte strategiche del continente, ma che una Costituzione dovrebbe avere caratteristica di chiarezza e semplicità nei propri contenuti e nel proprio ordinamento. Mentre, se qualcosa si può dire del Trattato di Lisbona, è che esso è assolutamente criptico ed imperscrutabile. A tal punto da non essere stato ben compreso, non solo dalla gente comune, ma anche da giuristi ed addetti ai lavori. Un contratto privatistico che seguisse le medesime logiche sarebbe stato impugnato e considerato vessatorio.
Il tentativo subdolo di imporre ai cittadini europei un governo autoritario unico, sulle cui nomine essi non avrebbero avuto conto e controllo. Tantomeno sulle politiche attuate. Sono motivi più che sufficienti per non condividerlo e votargli contro in un referendum.
L’Unione europea prova a fare una Costituzione in pompa magna e viene bocciata dai referendum popolari. Per tutta risposta tenta di farne una seconda che non richieda referendum (il Trattato di Lisbona). Tutto sembra procedere per il meglio se non si considera che occorre l’unanimità dei parlamenti dei paesi membri. Infatti un disposto costituzionale irlandese, impone che qualunque modifica ad essa debba essere ratificato da un referendum popolare. Il no che ne consegue blocca il processo. A questo punto il problema non può essere che solo gli irlandesi impongano un veto a tutti gli altri, bensì che tale opportunità non sia stata offerta al restante 99.75% dei cittadini europei. Ma certamente tale preclusione non è stata affatto casuale dato che il rischio che il risultato del voto irlandese si replicasse a macchia d’olio era concreto.
La svolta che ci si aspetterebbe, sarebbe che, finalmente si smettesse di pensare ad un’Europa controllata da lobby e banche, passando ad una dei cittadini. Gli stessi che ogni giorno amano incontrarsi nelle sue capitali, parlandosi senza avere la medesima lingua, ma comprendendosi meglio delle carte bollate di Buxelles.
Go raibh maith agath Gael! (Grazie Irlanda!)
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