Giorni di discussioni estenuanti, fiumi d’inchiostro versati, ore di programmazione televisiva, fino ad arrivare alla totale saturazione del panorama mediatico. Ecco che il “caso Englaro” diventa il monolito immenso che oscura il nostro orizzonte.
Dopo una assenza dal dibattito anche il Presidente del Consiglio decide di rompere gli indugi. Così nasce il decreto della discordia. Sebbene il Quirinale avesse “suggerito” prudenza invitando l’esecutivo a riflettere prima di tentare un bliz per ripristinare l’alimentazione della donna oggi più famosa d’Italia. Invece il Consiglio dei Ministri decide di andare allo scontro con il Presidente della Repubblica invocando un’urgenza cui un iter di legge ordinario non avrebbe potuto far fronte.
Napolitano mutuando la sua facoltà di rinviare un norma alle Camere, sulla base di rilievi circa la sua incostituzionalità, negava la firma per la promulgazione del decreto approvato dal Governo.
A questo punto lo scontro in atto spostava il centro dell’attenzione dalla questione etica ad quello istituzionale. Berlusconi tornava alla carica sul tema della riforma Costituzionale e della presunta impossibilità di perseguire gli obbiettivi del mandato elettorale perché ingessato da norme e regolamenti antiquati ed eccessivamente burocratici. In poche parole oltre a definire la Costituzione italiana eccessivamente influenzata dalla filosofia dell’Unione Sovietica, rilanciava il tema della libertà d’azione, dell’autoritarismo e della velocità del Governo necessaria a far fronte ad un mondo dinamico e mutevole.
Il paradosso è che, il disegno di legge conseguente il decreto rigettato dal Colle viene fulmineamente presentato e calendarizzato nel giro di poche ore. Prevedendone un’approvazione in via definitiva che potrà aver luogo nel giro di quarantotto ore. Dunque qui sta l’incongruenza di fondo nella lamentela del Cavaliere.
Il sistema politico è, a suo dire, eccessivamente burocratizzato e farraginoso, eppure, se si hanno i numeri in parlamento (quale è la situazione attuale nei rapporti di forza tra maggioranza e opposizione nelle Camere), come sta avvenendo ora e come è avvenuto in passato le camere sono in grado di approvare leggi con celerità straordinaria. Grazie a fiducie e blindature del voto, comunque gli strumenti esistono già oggi.
Dunque appare assolutamente strumentale la rivendicazione di maggior accentramenti di poteri al Presidente del Consiglio. Perché la dimostrazione dei fatti è che, se esiste adeguata convergenza politica su un tema, le regole attuali consentono un pronunciamento in tempi rapidi. Di contro l’incertezza e l’equilibrio producono un giusto rallentamento dell’iter di approvazione di una norma, in quanto questo è indice di indecisione e dubbio riguardo al quale è opportuna una maggiore riflessione e analisi. Insomma il nostro è un sistema i cui equilibri tendono a trovare spontaneamente una propria stabilità.
L’emotività e l’irruenza sono stati sempre indice di rischio e presagio di scelte infelici e spesso controproducenti. Svolte come quelle auspicate da Berlusconi, più che mirate ad ottenere un sistema che agisca con celerità, sembrano tese a far si che tutti facciano sempre e solo ciò che dice lui. Ma l’unica riforma della Costituzione che possa produrre un risultato simile sarebbe la sua abrogazione definitiva.
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