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COMITATO PER IL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI COSTITUZIONALI AI MILITARI
Perchè una Democrazia non può dirsi compiuta se non è stata capace di estendere tutte le sue regole e garanzie, fino in fondo a tutti i cittadini, anche quelli in divisa.

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martedì 24 febbraio 2009

Madrase italiane

L’ormai esule, Mentana è stato ospite alla Trasmissione l’Infedele di Gad Lerner su La7. Come spesso accade alle amanti tradite, l’ex conduttore di Matrix si è voluto togliere qualche sassolino dalla scarpa circa il suo licenziamento in tronco da Mediaset: “forse alcuni ospiti piacevano meno di altri… Di Pietro può essere stata la penultima goccia che ha fatto traboccare il vaso… è evidente che quando la tua parte politica governa, meno informazione c'è e meglio è, meno fastidi ci sono meglio è, meno voci ci sono e meglio è. Se poi si abbina questo alla progressiva fidelizzazione di Mediaset all'avventura politica di Berlusconi, allora non c'è dubbio che l'informazione deve essere tranquilla e che l'approfondimento è meglio farlo scivolare oltre la mezzanotte”. Probabilmente ha detto questo ben conscio che un parte, più o meno significativa, di coloro che avrebbero ascoltato avrebbero derubricato il tutto allo sfogo di colui a cui è stato tolto il “giochino”. I rimanenti, con altrettanta malignità, sottolineeranno che quello che dice era ampiamente sotto gli occhi di tutti, arruolandolo d’ufficio nella schiera degli “scopritori dell’acqua calda”.

A parte il fatto che una testimonianza simile in un tribunale avrebbe una valenza decisiva. Elevando chi la rende al rango di testimone chiave. Basti pensare alle testimonianze nei processi di mafia, rese dai “luogotenenti” dei Boss. Questo solo per dire che certe ammissioni non andrebbero mai e poi mai sminuite. Che starebbe alla controparte tutelarsi nelle sedi preposte chiedendone la correzione, pena l’implicita ammissione che esse rispondono alla realtà dei fatti.

Andando oltre tutto questo, è importante soffermarsi sul concetto dell’informazione il quale è strettamente connesso con quello della cultura. Partendo da quello che dice Mentana, emerge un disegno teso a cancellare il concetto di approfondimento informativo, a meno che esso non sia strettamente funzionale alle necessità propagandistiche dell’editore e di quanti da esso sono sostenuti. Insomma, in questo caso, più che di approfondimento si parla di “grancassa” informativa agli slogan di una parte politica.

In un quadro tale, teso a limitare la possibilità dei cittadini a formarsi un punto di vista differente da quello gradito nei “palazzi” del potere, anche la scuola e la formazione culturale sembrano destinate a soggiacere a certi presupposti. Non a caso, forse, il richiamo del Presidente Napolitano a rivedere il concetto dei tagli indiscriminati all’Università. Sebbene il problema delle riduzioni di bilancio riguardi tutto il settore scolastico.

Illuminante è l’approccio alle formazione degli alunni più giovani che si evince da alcuni aspetti dei programmi istruzionali della scuola d’infanzia e primaria. Analizzandoli si scopre che i metodi pedagogici (lungi dall’essere messi in discussione in questa sede) prevedono che l’apprendimento di alcune materie complesse e, più specificatamente, nozionistiche come la storia e la geografia vengano introdotte solo al terzo anno delle primarie. Giustamente anche perché è pacifico che gli alunni debbano prima possedere adeguati strumenti linguistici per poter poi accedere compiutamente a concetti più articolati.

Poi si scopre che, a causa dei tagli del Governo, anche altre materie saranno “procrastinate” in successivi anni scolastici, vedasi l’Informatica e l’Inglese. Una volta cavalli di battaglia della scuola dalle tre I , insieme all’ Impresa, propagandate da Berlusconi in una campagna elettorale di non molto tempo fa.

Infatti lo stesso Ministero dell’Istruzione, rispondendo ad un quesito postogli sul suo sito risponde come segue :D. Ho letto che per le classi dalla seconda in poi non cambierà nulla, a scuola invece mi dicono che mio figlio il prossimo anno non avrà le stesse maestre e soprattutto non ci sarà più la possibilità di fare il laboratorio di informatica (è una classe numerosa) a causa dell'abolizione delle compresenze. Chi ha ragione?
R. Le classi successive alla prima nel prossimo anno scolastico avranno confermato l’orario di funzionamento di quest’anno (27 o 30 ore settimanali più eventualmente la mensa).
La riduzione delle ore di compresenza comporterà qualche riassetto organizzativo, ma in linea di massima le insegnanti della classe potranno essere confermate.
La scuola, nella sua autonomia didattica e organizzativa, potrà organizzare le attività e gli insegnamenti facendo in modo di assicurare la massima funzionalità dei servizi. Ci auguriamo che anche il laboratorio di informatica possa trovare spazio tra le attività, anche se vorrà convenire che esso non costituisce, soprattutto nella scuola primaria, un insegnamento prioritario.

Conferma di ciò se ne ha anche da un’articolo apparso su La Repubblica: Dal prossimo mese di settembre la scuola primaria passerà dall'organizzazione modulare, con tre insegnanti su due classi, al "maestro unico di riferimento". Il passaggio cancellerà le ore di compresenza e tutte le attività legate ad esse: corsi di recupero e di approfondimento, laboratori di Informatica, supplenze, ecc. Con i moduli, infatti, le 54 ore di lezione settimanali di due classi funzionanti a 27 ore vengono coperte da 3 insegnanti che assicurano 18 ore a testa di lezione. La restante parte dell'orario settimanale del docente (4 ore) vengono utilizzate per ampliare l'offerta formativa o tappare i buchi dei colleghi assenti. Ma fra qualche mese tutto questo verrà "tagliato".

Si aggiunga che anche l’insegnamento della seconda lingua straniera non è destinato a miglior sorte, tanto da spingere alcune associazioni a proporre una “moratoria contro la 'pena di morte' inflitta dal Ministro Gelmini alla seconda lingua comunitaria come francese, spagnolo e tedesco”.

Dunque, riassumendo, ben si può comprendere come lo studio della storia, della geografia, dell’informatica e delle lingue non siano ritenute prioritarie nella formazione degli alunni più giovani.

Senza dubbio, si potrà desumere che quello che rimane del programma scolastico nei primi anni di scuola sarà di incommensurabile importanza ai fini dell’ imprinting culturale del bambino.

Per aiutarci ad identificare cosa questa maggioranza ritiene “architrave” della cultura e fondamenta della conoscenza ci viene incontro il comune di Milano che, recentemente, ha siglato un accordo sulla didattica delle scuole del capoluogo lombardo: Il Comune ha siglato un accordo con la diocesi per garantire l'insegnamento di religione in tutte le 175 scuole dell'infanzia, a tutti i 23mila iscritti. Finora questa opzione era distribuita a macchia di leopardo: in alcune scuole sì, in altre no. Le maestre erano 20 e dovevano coprire tanti istituti in quartieri diversi. Adesso le cose cambiano. Sono state assunte a tempo indeterminato 46 educatrici ad hoc: maestre segnalate e garantite dalla curia. Nessun concorso pubblico, come invece avviene per le altre educatrici, ma stipendio comunale, come il resto del corpo docente nelle materne. La cosa piace alla diocesi, che su questo aspetto pastorale e sulla conquista dei giovani punta molte delle sue energie. Piace parzialmente, invece, ai sindacati, soprattutto per la procedura seguita dal Comune.

Dunque la formazione religiosa è cattolica è ritenuta indispensabile e prioritaria su tutto, anche sulla lettura e scrittura, dato che essa sarà oggetto di lezione ben prima che i bambini incomincino a conoscere l’alfabeto. Non solo, nel programma didattico si può leggere la necessità di far confrontare all’alunno la differenza tra “verità religiosa” e “verità storica”. Peccato che il primo approccio degli studenti alla conoscenza del passato, fin dai tre anni, sarà con quanto riferito da testi come bibbia e vangelo. Quindi gli studenti si vedranno privati di ogni termine di confronto subendo una vera e propria “formattazione” culturale che li esporrà a credere che certi concetti religiosi abbiano inconfutabile validità storica e scientifica.

In questo quadro la questione che va posta riguarda il tipo di cultura che il centrodestra vuole dare al paese. Privandolo degli strumenti necessari a comprendere le dinamiche del presente, grazie ad un rigido controllo dei media, dopo averlo allevato nella concezione di una cultura religiosa da anteporre ad ogni altra conoscenza.

Questo appare un programma politico degno del “migliore” Iran. Il quale forma i suoi cittadini sulla base della sua “verità” di fede nelle Madrase. Il rischio è di trovarci a vivere, in futuro, quello che accadde alla Biblioteca di Alessandria quando il Califfo Omar ne decretò la distruzione sul presupposto che “In quei libri o ci sono cose già presenti nel Corano, o ci sono cose che del Corano non fanno parte: se sono presenti nel Corano sono inutili, se non sono presenti allora sono dannose e vanno distrutte”.

L’eretico Mentana forse era un’ostacolo al progetto del Califfo di Arcore che, forse, sta pensando bene si creare delle Madrase anche in Italia?

Post scriptum

Neanche a dirlo il comune di Roma decide di essere più ortodosso della "santa madre chiesa", stabilendo che tutte le mense scolastiche, i venerdì della quaresima, non potranno somministrare carne ai bambini. Dimostrandosi, in tal modo, cattolici da quattro soldi dato che non sono nenache a conoscenza della dispensa dall'astinenza dalle carni, oltre che per anziani e malati, anche per bambini e ragazzi fino ai 14 anni.

Se non si trattasse del Papa ci sarebbe da rispolverare il vecchio detto: "essere più Realisti del Re" (infatti essere più papalisti del Papa oltre a suonare male non avrebbe senso)

lunedì 23 febbraio 2009

Repetita juvant?

L’attuale scenario di disfacimento che pervade tutto ciò che non orbita intorno a Belusconi deve aver indotto Pierferdinando Casini a rompere gli indugi. Forse nel timore di rimanere fuori dal giro che conta della politica durante il seminario della Fondazione Liberal a Todi, ha lanciato l’idea di un partito nazionalista : “La terza Repubblica nasce all'insegna dell'unitá della nazione e il progetto del partito della nazione nasce all'insegna della soluzione dei problemi del Paese . Invocandolo come necessità di sganciarsi da un’opposizione a suo dire troppo intesa “fuori dalla demonizzazione dell'avversario” accusando coloro che non hanno mai risparmiato critiche al cavaliere di essere “ i più grandi alleati di Berlusconi sono Di Pietro e Travaglio, che consentono a Berlusconi di non rispondere ai cittadini che non arrivano a fine mese”.

Indicando il pericolo concreto di un “Il bipartitismo senza partiti, e lo testimonia in queste ore il Pd, è finito con l'errore di credere che la sommatoria di forze possa costituirne l'identità”. Alla fine il leader dell’UDC lancia l’amo proprio in platea dove è seduto uno degli esponenti, verosimilmente, più insoddisfatti e perdenti dell’esperienza del Partito Democratico, Rutelli. Anche egli presente nella cittadina Umbra quasi a confermare le pulsioni dei centristi della sinistra che, lungi dal fugare ogni sospetto di scissionismo, sembrano guardare con un occhi ambigui ad un Partito Nazionalista che, più che alternativo, al centrodestra sia contiguo. Infatti dal palco Casini propone “un progetto più alto e ambizioso, che metta insieme coloro che nel Pd hanno un senso di disagio e chi del Pdl vedono tutte le distorsioni, sono chiamati alla disciplina ed ora ed hanno paura”.

Certo in generale appare un bel modo per prendere le distanze da Di Pietro, il quale è tra quelli che ha più riprese ha denunciato la deriva autoritaria del Governo Belusconi senza troppi mezzi termini “Il controllo dell' informazione e l' omogeneizzazione della cultura ci sta portando dritto dritto verso una dittatura senza che noi ce ne accorgiamo”. In considerazione che l’esperienza italiana del Nazionalismo è legata a doppio filo con gli irredentisti prima e il fascismo poi. Esso mostrava caratteristiche come un nazionalismo aggressivo, colonialista ed imperialista,

antidemocratico, antiparlamentare, antisocialista e totalitario, mirando a coinvolgere strumentalmente anche il proletariato nella difesa di interessi che erano essenzialmente della classe borghese”. Fino ad essere completamente fagocitati dal partito guidato da Benito Mussolini, ma a quel portò in dote molte delle sue caratteristiche come “ l'imperialismo, il colonialismo, lo statalismo etico e politico oltre che economico e l'autoritarismo l'imperialismo, il colonialismo, lo statalismo etico e politico oltre che economico e l'autoritarismo.

Insomma le premesse su cui si fonda non sembrano essere delle più garantiste e democratiche. Anzi, l’operazione in atto nell’UDC, più che la ricerca di una diversa opposizione mira a fungere da passepartout per una nuova forza di coalizione con la PdL che permetta agli esuli del PD di non fare una salto unico dall’altra parte della barricata ma di dividerlo in due passaggi. Forse per destare meno nell’occhio. Vedi mai nessuno se ne accorga.

Eppure Casini non sembra accorgersi delle assonanze tra la sua operazione e quella desistenza messa in atto dai partiti moderati, intorno al 1920, i quali davano, così, il via libera all’avvento della dittatura fascista in Italia. Non sembra comprendere che il contesto storico attuale, esclude i concetti di espansionismo e colonialismo, lasciando in piedi solo concetti come antiparlamatarismo (vedasi lo scontro istituzionale sul caso Englaro), antisocialista (vedasi la soglia di sbarramento elettorale al 4% che lascia fuori proprio l’estrema sinistra), autoritarismo (vedasi la riforma della costituzione per dare maggiori poteri al premier), a cui si può aggiungere la strumentalizzazione del proletariato negli interessi della classe borghese (oggi parliamo rispettivamente di fasce più deboli e ceto medio ma la sostanza e la corsa alla detassazione che premia i secondi a svantaggio dei primi).

Forse l’ex Presidente della Camera è troppo intento a salvaguardare le radici cristiane dell’Italia favorendo l’assunzione di quarantasei maestri di religione segnalati dalla Curia e l’insegnamento della religione cattolica dalle materne, in special modo agli extracomunitari (vedasi le ultime scelte del comune di Milano), da non poter studiare la storia. Del resto non si preoccupa neanche che lo facciano i bambini, per i quali, a differenza del corso di religione, fanno i primi approcci alla storia solo all’inizio del terzo anno della scuola primaria (ma forse anche dopo).

Visti gli indirizzi politici di alcuni, è coerente questa scelta di mettere in secondo piano la conoscenza del passato, così che nessuno si accorga degli orrori del presente. Basti la televisione per soddisfare tutte le esigenze di sapere la quale ci racconta che Belusconi si auto-proclama nuovo Obama, trascurando che in contemporanea il Time, attribuisce i medesimi crismi del neo Presidente americano al candidato sindaco di Firenze del PD, Matteo Renzi.

La storia è anche la nostra Costituzione, nata da esperienze drammatiche ma sufficientemente mediata dalla diversa estrazione sociale, culturale e religiosa degli uomini che la scrissero.

Non la si salva semplicemente smettendo di pronunciare il nome di chi la vuole manomettere. Proprio da uomo di dichiarata fede cattolica, Casini dovrebbe sapere che il demonio si esorcizza proprio pronunciando il suo nome e riconoscendolo per quello che è, non certo convincendo il posseduto che infondo convivere con uno “spiritello” dentro di se non è poi così male.

sabato 21 febbraio 2009

Paghi uno prendi due

Nonostante, sulle scrivanie delle redazioni giornalistiche di tutto il mondo, ci siano altri i temi come la gravissima crisi economica, la questione israelo-palestinese oppure, per rimanere alle faccende italiane, la condanna per corruzione di dell’avvocato Mills oppure l’incidente diplomatico tra Italia ed Argentina. Le prime pagine dei giornali italiani e i titoli di testa dei TG continuano a focalizzare l’attenzione sul tracollo del Partito Democratico.

Dopo la fine dell’esperienza di Veltroni alla sua guida, innegabilmente fallimentare, sembra che il tema unico sia l’identificazione del suo successore, quando non il rischio della scissione e dell’estinzione.

Si badi bene, non che questo non rivesta un carattere di gravità od urgenza. Infatti se una cosa si può dire riguardo alla gestione veltroniana è che l’inconsistenza politica e l’indecisione hanno permesso che venissero approvate, sostanzialmente senza dibattito, scelte politiche che disegnano lo scenario di un’Italia futura, ufficialmente bipolare, ma di fatto monca di una sostanziale opposizione od alternativa politico-parlamentare.

Il venir meno di uno storico equilibrio tra i poteri consegna il paese interamente nelle mani di un Berlusconi, egemone del centrodestra.

La questione della successione di Veltroni, così come è attualmente posta, ci mostra che neanche gli stessi simpatizzanti del suo partito hanno idee chiare e, tantomento, riescano ad identificare un soggetto idoneo a rivestire la carica di segretario nazionale. Considerando che il più papabile non raccoglie più del 20% dei consensi è un d’alemiano di ferro come Bersani , che, in quanto tale, ne riflette le debolezze politiche e di credibilità. Le quali potrebbero essere facilmente oggetto di attacchi da parte di un quadro mediatico sostanzialmente indirizzato e governato dal Cavaliere.

Insomma l’elettorato del centrosinistra è ampiamente frammentato e privo, ancor prima che di un leader, di valori univoci e sostanziali a cui aggrapparsi. Purtroppo, invece, proprio la sinistra che sembrava aver archiviato definitivamente la questione del culto della personalità, con Breznev , oltre quarant’anni fa, sembra volersi fossilizzare sul nome ancor più che sul progetto. Continuando a cadere nell’errore che l’ha portata alla sconfitta in tutti questi anni. Perché la personificazione di un’ideale ha ragion d’essere solo quando esiste un sistema alla base in grado di sostenerlo, vedasi radio e TV. Ma questo non è il caso del centrosinistra attuale. Anzi a ben vedere è l’esatto contrario, per cui pensare di riporre tutte le proprie speranze in sol uomo, consentedo agli antagonisti di centrodestra di scavare alla ricerca di una crepa da poter strumentalizzare e utilizzare per distruggere un simile avversario.

Invece si insiste in questa linea troppo incentrata a copiare gli atteggiamenti e le strategie degli avversari, i quali , in tal modo, hanno sempre la possibilità di scegliere l’arma e il terreno dello scontro, premeditandolo, preparandolo e pianificandolo con cura ed attenzione. Traendone, quindi il massimo vantaggio.

Dimostrazione della posizione di forza del centrodestra è una, neanche troppo malcelata, dimostrazione di trovarsi di in presenza di un momento storico che sancisce il vero e proprio inizio di un dominio politico incontrastato. Così come accadeva con la Democrazia Cristiana di De Gasperi, dove, quando i numeri parlamentari davano ampio margine di tranquillità, lo scontro si trasferiva dal contrasto all’opposizione alla lotta tra le correnti interne, per garantire le posizioni di potere a questo o quel dirigente.

Primo segnale in questa direzione, se si vuole, è un’articolo apparso sul Il Giornale, a firma di Stenio Solinas: “Ma il mister X ideale viene da destra Il laico, sociale e antifascista Fini”. Un duro attacco al Presidente della Camera che, per quanto l’autore si premuri di attribuirgli un carattere provocatorio ma nulla più, è una vera e propria requisitoria contro quello che una volta era dipinto come il “delfino di Belusconi”. Per il quale dopo il binario morto, che già fu di Bertinotti, presso il quale è stato parcheggiato dopo le elezioni, forse più per allontanarlo dal campo di battaglia vero e proprio che per altro. Ecco la “suggestiva” idea di “scaricarlo” al PD, quale indice di un nodo irrisolto che sembra essere destinato ad essere affrontato dal centrodestra.

Infatti, di fronte al disfacimento del PD, il cui antagonismo catalizzava e coalizzava l’azione del centrodestra, ora l’esubero di energie e la “voglia di menar le mani” potrebbe rivolgersi verso l’interno. Un po’ come stava accadendo per un breve periodo prima delle ultime elezioni, quando sembrava si volesse mettere in dubbio la leadership di Berlusconi con Fini, a svolgere il ruolo di più autorevole successore. Salvo rimanere bruciato e sorpreso dal famoso “discorso del predellino” con il quale il Cavaliere annunciò la nascita del PdL, palesemente senza essersi accordato col principale alleato. Certamente entrambi non se ne sono dimenticati e forse i recenti distinguo di Fini su temi come la democrazia , il razzismo, l’eutanasia, fino alla difesa del Presidente Napoletano e la risposta veicolata tramite un giornale ben noto per essere più che vicino al Presidente del Consiglio, col quale si invita, neanche troppo velatamente, l’ex segretario di AN (partito che oggi veramente non esiste più) a cambiare aria, sono la chiara risposta dei nodi che stanno venendo al pettine.

La storia insegna che il potere per essere incontrastato richiede che le persone troppo ambiziose e, ancor più se carismatiche e astute, non possono soggiornare troppo a lungo nelle immediate vicinanze di esso. Perché minano l’autorità e l’autorevolezza del leader.

Nessun dubbio che tra coloro che orbitano intorno a Berlusconi non vi sia nessuno in grado di ereditarne il ruolo agli occhi dell’elettorato. Certo non lo possono essere, ne i Dell’Utri, i Gasparri i Cicchitto, i Calderoni. Checché ne dica Solinas, Fini è il solo a poter ambire a un ruolo simile nella PdL. Proprio per questo va allontanato. Sebbene per i motivi opposti a quelli che vuole far intendere il giornalista, non già perché dipinge un “Cavaliere semi-dio” in grado di vivere oltre i cent’anni, ma proprio per il suo esatto opposto. Infatti, seppure accuratamente sminuite o celate, l’inquilino di Palazzo Chigi negli ultimi anni ha mostrato segni di cedimento fisico che lo hanno portato a ricoveri ed interventi (spesso mascherati come di carattere estetico).

Egli sa bene di avere un tempo limitato davanti a se e, contestualmente, di non poter riporre fiducia illimitata in alcuno. Se cede il posto lo deve fare a qualcuno che ne “tuteli” gli interessi con la stessa energia e la stessa determinazione sua. Per questo un tale lavoro non può essere, mai e poi mai, affidato ad un’estraneo. Ecco quindi che si profila l’opportunità di “cogliere due piccioni con una fava”. Assistere e favorire il disfacimento di un’opposizione già ai minimi termini e far piazza pulita della “cantina di casa” eliminando armadi troppo ingombranti che chissà quali sorprese possono ancora contenere. Aprendo la strada a quella che è storicamente la vocazione e il patrimonio incontrastato italiano: la famiglia.

Croce e delizia della nostra cultura, i figli imparano il mestiere dei padri, soprattutto se questo è significativamente redditizio e prestigioso. Avvocati, Notai, Professori, Artisti, Giornalisti e, ultimi ma non ultimi, Politici. Quindi chi, meglio di uno di casa può garantire il principio darwiniano della continuazione della specie. Un erede, vero in quanto geneticamente tale, accuratamente tenuto nell’ombra, mai esposto, pronto a replicare al prossimo “giro di walzer” elettorale, la “discesa in campo” di “papi”. Perpetrando quella che oggi sembra assumere giorno dopo giorno i crismi di una vera e propria dinastia.

Ecco, dunque, cosa ci lascia in eredità la “politica della distensione” del centrosinistra, attuata, dal 1989 in poi, da dirigenti troppo attenti a cercare di costruire una DC a sinistra, leggermente diversa nei contenuti ma assolutamente identica nel metodo. Le dimissioni di Veltroni sono il passo più recente, forse non l’ultimo, perché le agonie, si sa, sono tali proprio perché lunghe. Mai brevi.

Renato Soru, uomo culturalmente più vicino alle dinamiche attuali, ha compreso bene che non si può continuare a competere sul medesimo piano mediatico di Belusconi, indicando l’unica strada alternativa. Ritornare al contatto diretto con la gente, riaprendo quei luoghi di incontro e fucina di idee, che sebbene da soli potrebbero non essere sufficienti a ritornare alla guida del paese, però, come quelle piante che, anche se immerse in un bosco incendiato sopravvivono, tali da consentire di tener vive le radici e assicurare che si possa attendere il momento utile perché essa torni a fiorire. Non subito ma sempre prima che mai.

giovedì 19 febbraio 2009

L’elettore ammaestrato

A seguito della pubblicazione delle dichiarazioni di Berlusconi, riportate dal quotidiano Clarin, in merito ad una frase ironica sui desaparecidos che, mediante i vuelos de la muerte a migliaia furono gettati in mare vivi, sotto l'effetto di droghe, da aerei militari. Il governo Argentino ha convocato l’ambasciatore italiano per avere spiegazioni circa il significato di certe affermazioni del premier italiano. Le smentite poi giungono puntualmente: “le parole del presidente del Consiglio sono state completamente stravolte e addirittura rovesciate, quando era chiarissimo che egli stava sottolineando la brutalità dei 'voli della morte' messi in opera dalla dittatura argentina di quel tempo”.

In effetti, durante la chiusura della campagna elettorale sarda (venerdì 13 febbraio 2008) nel palasport di Cagliari, il Presidente del Consiglio riferendosi a quanti lo accusavano di essere un dittatore, cercava di dimostrare che questi facevano ben altre cose. In tal senso citava l’esperienza sudamericana: “Fa come quel dittatore argentino che portava i suoi oppositori in aereo con un pallone, poi aprivano lo sportello, via il pallone (N.d.A. fa il gesto di lanciare la palla) dice, c’è una bella giornata fuori, andate fuori un po’ a giocare (N.d.A. risate dalla platea) che fa ridere ma è drammatico”.

Volendo ammettere l’intento del Cavaliere di voler fare un’analogia e concedendo che, per quanto infelice nei modi, non vi era una volontà di ironizzare sulle efferatezze del governo del Generale Videla. Lascia pensare un aspetto che si nota nella registrazione. Infatti, sebbene Cappellacci, a suo fianco, sia una maschera impassibile, indice che non vi era nulla da ridere in quello che veniva detto. Dalla platea si levano numerose risate.

Evidentemente l’abitudine di dare un taglio “cabarettistico” alle sue locuzioni politiche, qualunque sia la circostanza in cui si trova, ha ingenerato una reazione involontaria da parte dei suoi sostenitori. I quali, apparentemente, non sembrano prestare grande attenzione a quello che dice, ma si limitano semplicemente a coglierne le intonazioni e la mimica, reagendo di conseguenza. Secondo un meccanismo non dissimile di quello che si instaura tra alcuni animali ed i loro ammaestratori. Infatti, così facendo in certi spettacoli venivano presentati anche somari, cani, orsi e quant’altro, apparentemente, dotati di straordinaria intelligenza,che sembravano in grado anche di contare. Salvo scoprire, grazie ad attenta osservazione, che essi non erano assolutamente in grado di eseguire operazioni matematiche, per quanto semplici, bensì si limitavano ad interpretare ogni minima gestualità, volontaria od involontaria, del domatore. Intuendo in tal modo quale fosse la risposta giusta.

L’impressione che si trae da questi pochi secondi di comizio, è proprio di trovarsi in un circo dove la ristata è frutto di una reazione involontaria, come fosse il risultato di anni di ammaestramento. Certo non è un’immagine edificante soprattutto se si considera che trattasi di persone teoricamente dotate di volontà propria che poi esercitano il loro diritto di voto nell’urna elettorale.

Così rischia di farsi strada il dubbio che ci si trovi di fronte ad un colossale plagio di massa. Che ha forgiato “sudditi” anziché cittadini. Sempre attenti a voler accondiscendere il proprio leader, anche oltre le sue aspettative, anche oltre le sue intenzioni. Incorrendo nell’errore classico di certi “cortigiani”.

“Dimostrarsi più Realisti del Re”.

Faccia da elezioni

Dopo le elezioni sarde ed il tracollo del PD, si è assistito alla corsa sul carro del vincitore inneggiando al premier “gladiatore” sempre vincitore basta che ci “metta la faccia”. Tralasciando l’ironia che si è sprecata su questa immagine. Sarebbe giusto tornare sul ruolo che l’informazione (ed anche il suo contrario) ha svolto in questa vicenda.

In effetti l’associazione tra la vittoria e la sua faccia è più che fondata. Ben esemplificata da quanto rilevato dal centro di ascolto di radioradicale, che ha riportato: “a Silvio Berlusconi, in

occasione della campagna elettorale per le elezioni regionali della Sardegna, i Tg nazionali hanno dedicato 1h 29’’. A Renato Soru i Tg hanno dedicato in totale 1’56’’, mai in voce”.

Insomma un presenzialismo assiduo ed a tratti ossessivo, ben sostenuto dai principali media locali, come L’Unione Sarda e Videolina. Da notare che quest’ultima si è distinta per una particolare avversione per il governatore uscente al quale in quattro anni di mandato non ha mai trovato il modo di dare spazio per una intervista.

Prima delle elezioni, però, eravamo nel campo delle ipotesi, ossia, tutto era subordinato ad un punto interrogativo. Tutto questo spiegamento di forze tra stampa e televisioni fino a che punto è concretamente in grado di incidere sul voto degli elettori sardi? Ora che abbiamo i risultati potrebbe essere la giusta occasione per cercare di comprendere queste dinamiche.

Come capita in molte realtà i quotidiani e le emittenti locali riscuotono grandi successi di vendita proprio in virtù della loro capacità di raccontare ciò che accade nell’area geografica più prossima al lettore che lo acquista. Sotto questo profilo la Sardegna offre un punto di vista privilegiato perché il fenomeno è maggiormente acuito dall’insularità e dallo storico isolamento del territorio. Al quale si aggiunge un percorso che nei secoli ha sostanzialmente creato un divario campanilistico tra il nord ed il sud dell’isola, che si concretizza, oggi, in una particolare suddivisione delle sua editoria, soprattutto per quel che riguarda la carta stampata dovuto alla presenza di due “baricentri” mediatici come Cagliari e Sassari.

A causa di ciò, di fatto, nel capoluogo isolano domina, pressoché incontrastata, L’Unione Sarda ricca di cronaca locale delle province più meridionali, mentre, in quello sassarese La Nuova Sardegna è il quotidiano locale più letto. Il quale da maggiore spazio informativo alle vicende delle nord dell’isola. E’ importante precisare che i due quotidiani hanno sostanzialmente la medesima tiratura. Per cui la loro capacità di penetrare ed influenzare l’opinione pubblica è sostanzialmente equivalente.

Durante la campagna elettorale appena svolta L’Unione Sarda ha dato vita ad un vero e proprio endorsement, scegliendo platealmente di sostenere il candidato di centro destra Cappellacci, La Nuova Sardegna , ha mantenuto un atteggiamento più bipartisan. Perciò, chi sfogliava il primo, leggeva pagine e pagine intere di spazio dedicato a candidato della PdL, spesso in termini lusinghieri e costruttivi, relegando Soru in brevi articoli per lo più denigratori o, quantomeno, formente critici. Mentre, chi leggeva il secondo trovava una equa ripartizione degli spazi tra i due candidati, alternando pariteticamente, osservazioni critiche alla evidenziazione delle proposte programmatiche.

Tornando al quesito di cui si parlava in principio e risultati delle elezioni alla mano, constatiamo che a mentre nel sud ed in particolare a Cagliari la vittoria di Cappellacci è stata più netta. Di contro nel nord abbiamo avuto maggiore equilibrio, quando non una totale inversione di tendenza, come nel caso di Sassari dove Soru ha conquistato ben dieci punti in più nelle preferenze rispetto al suo avversario.

Sicuramente sull’esito del voto si possono fare le valutazioni politiche più disparate ma che insistono nella sfera dell’aleatorietà. Mentre dato oggettivo è che, dove gli elettori non hanno avuto alcuna possibilità di accedere ad una informazione equilibrata e, per quanto possibile imparziale, questi hanno dato la loro preferenza all’unico candidato sostenuto da Rai-Mediaset-Videolina-L’Unione Sarda, più altre testate a tiratura nazionale. Di contro dove l’informazione ha rotto il fronte pro Cappellacci, anche se limitatamente ad un quotidiano locale come La Nuova Sardegna , sebbene molto letto, il risultato del voto ha rispettato maggiormente le previsioni della vigilia che davano il candidato del PD come favorito.

Per questo è ragionevole asserire che, ancora una volta, Berlusconi non ha mancato di dimostrare come, proprio a causa del suo strapotere su stampa e tv, il conflitto di interessi è un problema concreto e reale. Nonché tale da renderlo incompatibile con la carica istituzionale che ricopre da anni.

E ce lo ricorda anche in maniera spudorata dicendo che il suo candidato ha vinto solo perché la sua, e non quella di altri, purtroppo, è la faccia onnipresente quando ci si approssima ad una qualunque contesa elettorale.

venerdì 13 febbraio 2009

Su tostoiu e sa lepri

(La tartaruga e la lepre)

La campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio della Regione Sardegna e dell’elezione del Governatore si avvia alla conclusione. Meno di dodici ore agli ultimi comizi dei due principali candidati. Il Presidente uscente Renato Soru e lo sfidante Ugo Cappellacci.

Normalmente ci si aspetta di assistere ai colpi migliori nell’ultima settimana. Magari qualche annuncio eclatante. Invece queste attese sono andate deluse. Sia perché Soru ha scelto una strategia mirata al “porta a porta”, con ben 120 comizi in tutta la Sardegna in meno di un mese. Puntando, quindi, sulla tenuta alla distanza come un podista di regolarità. Sia perché Cappellacci, grazie al grande dispiegamento mediatico a disposizione, è partito con annunci roboanti, ma successivamente il suo impatto e la sua azione sembrano essersi affievolite. Grandi proclami che via via sembrano essersi sgonfiati. Complici alcune “topiche” in cui è incorso il candidato del centrodestra. Dalla scoperta che il faraonico ed altisonante programma era frutto di un certosino copia incolla. Smascherato da una semplice blogger/giornalista che si è limitata a fare quello che molti altri giornalisti più famosi, acclamati e, certamente, più pagati di lei, non fanno. Non contento Cappellaci ha pensato che fosse sufficiente far sparire il testo dal sito e sostituirlo con uno meno “compromettente”. Dimostrando, in tal modo, quantomeno, una scarsa conoscenza del web che tra le sua caratteristiche ha una straordinaria memoria da elefante, che nulla dimentica ed in cui nulla è mai perduto per sempre. Più recentemente, lo sfidante del PdL, durante l’unico confronto tv tra i candidati, ha pensato di attaccare Soru, sul terreno della statistica occupazionale. Insidiosissima scelta che spesso ha giocato brutte sorprese ha chi si avventurava nei suoi meandri. Così attaccava la giunta uscente dichiarando: “Sono 190mila i senza lavoro isolani: ci stanno dentro gli iscritti alle liste ma anche chi non ha più interesse a cercare lavoro”. La qual cosa potrebbe avere un senso ed una logica se non fosse che quando Veltroni eccepiva sui numeri dell’occupazione nazionale, usando le medesime argomentazioni. Berlusconi rispondeva utilizzando lo stesso parametro di riferimento che ha usato Soru la scorse sera: “Piaccia o non piaccia, i disoccupati in Sardegna sono 75mila. Lo dice l'Istat” proseguendo “Per calcolarli, ricorda, ci sono delle regole che erano valide nel 2004 e sono le stesse ora, Non possiamo cambiarle e i dati ci dicono di 27mila occupati in più rispetto a cinque anni fa”. Insomma il figlio dell’ex-commercialista del Cavaliere pretende di usare metri di misura diversi rispetto a quelli usati dal suo leader di partito, nonché convitato di pietra in questa campagna elettorale sarda.

Proseguendo nel dibattito, non contento, Cappellacci si avventurava sul tema dell’edilizia speculativa, forse tentando di ribaltare le parti ed attaccare su un tema nel quale, fin’ora, aveva giocato in difesa. Il casus belli sarebbero state alcune deroghe al piano urbanistico. Inaspettatamente era proprio l’ex-alleato socialista Balia a mollare il primo fendente a Soru, denunciando eccezioni per un milione e duecentomila metri cubi di cemento da colare nelle coste. Per tutta risposta Soru ricordava che gli interventi sono decisi tramite accordi di Regione, Province e Comuni, esclusivamente finalizzati al recupero e ristrutturazione. Chiedeva, inoltre, che venissero fatti nomi e circostanze concrete. Cappellacci pensando di incalzare l’avversario alle corde pensava bene di giocare un suo asso nella manica: un intervento pronto a La Maddalena, in territorio di Caprera, con un 25 per cento in più di volumetrie contro il parere del Comune”. Ma destando una certa sorpresa anche nella redazione, l’ex – amministratore di Tiscali, chiedeva, a quel punto, che venisse contattato il sindaco di La Maddalena per confermare o smentire tale asserzione. Il quale risulterà inopinatamente irraggiungibile tutta la sera. Ma l’illusione del punto incassato dagli oppositori ha il medesimo crisma della vittoria di Pirro, infatti poche ore dopo giungerà la lettera chiarificatrice dello stesso sindaco. Precisando che “trattasi di riqualificazione e riconversione di una struttura ricettiva che insiste sul sito di Cala Garibaldi da circa 52 anni”. Invitando Cappellacci “qualora intendesse parlare ancora del Comune di La Maddalena nei suoi interventi di carattere elettorale, di attenersi esclusivamente alla realtà delle cose, diffondendo solo notizie vere”.

Purtroppo, per il candidato del centrodestra, le cattive notizie non si fermano qui. Un colpo basso giunge anche dalla sua stessa coalizione che, nel corso dell’approvazione al Senato, del decreto mille proroghe dimentica di inserire alcunché sulla crisi economica del Sulcis Iglesiente.

Di maggiore aiuto non è neanche il ministro Matteoli, giunto sull’isola, come buona parte degli altri ministri, in questo mese elettorale, per dare il suo sostegno alla campagna di Cappellacci. Peccato che sembrano più gli effetti deleteri che i benefici di tali visite. Pare, infatti, che i 740 milioni stanziati dal Governo Prodi per la regione, sono stati drasticamente ridotti a 233 milioni dall’attuale esecutivo. Facendo venir meno le risorse destinate alla realizzazione della Olbia-Sassari.

Matteoli attribuisce la responsabilità alla Protezione civile, peccato che il sottosegretario Bertolaso, avesse dichiarato che “la differenza di cifre dipendeva esclusivamente dalla scelta operata dal Governo di demandare al Cipe, in una successiva riunione, l'approvazione delle delibere per le opere complementari al G8, in particolare per la Olbia-Sassari. Deliberazione che il Cipe non ha mai assunto.

Eccoci arrivare all’epilogo conclusivo, nulla di meglio di un bel finale con la suspance. Complice il sindaco di Cagliari, casualmente in quota la centrodestra, che, come sede del comizio di fine campagna elettorale, rifiuta a Soru, prima la concessione della Fiera, asserendo essa sia stata già prenotata da Cappellacci, poi anche il palasport, causa improrogabili allenamenti di chissàchì. Salvo poi, di fronte ad una richiesta di accesso agli atti, per verificare l’effettiva sussistenza di una richiesta antecedente a quella del PD, fare marcia indietro e concedere al centrosinistra il padiglione D della fiera e il palasport al centrodestra. Forse per mettere le mani avanti e poter già spianare la strada ai proclami di folle oceaniche di “azzurri”, preponderanti rispetto ai pochi “comunisti” che hanno a stento riempito la sala congressi della fiera.

Piccola perplessità potrebbe suscitare il fatto che il sindaco non ha trovato nulla di meglio che rischiare un pericoloso incrocio di sostenitori dei due candidati che, per accedere alle due manifestazioni, dovranno sfiorarsi e, fin’anche, utilizzare i medesimi parcheggi. Dato che le stesse avranno luogo in sostanziale contemporanea. Nessun dubbio circa la maturità dei partecipanti di entrambe gli schieramenti. Anche se qualora ciò dovesse verificarsi, si potrebbe scommettere sulla strumentalizzazione che ne deriverebbe da parte di media che in questa campagna. Nel corso della quale ben poca imparzialità anno saputo mantenere.

Poche ore e sapremo se Esopo ha ragione di essere anche in Sardegna.

martedì 10 febbraio 2009

“Sepolcri imbiancati”

Mio Padre, era un vecchietto di ottantotto anni. Conduceva una vita tranquilla ed aveva uno stato di salute discreto, compatibilmente con la sua età. Una sera di quattro mesi fa, a causa di una banale caduta si procura la frattura del femore. Il successivo ricovero evidenzia un quadro clinico che induce al più ampio ottimismo. Sia perché la lesione dell’osso è composta e di piccola entità. Sia perché la fibra del malato mostrava di poter ben sopportare l’intervento chirurgico e la successiva riabilitazione. In effetti il primo decorso post operatorio e le prime due settimana non hanno fatto altro che confermare questi presupposti.

Apparentemente inspiegabilmente, il quadro clinico comincia a prendere una piega differente il aspetto complessivo sembra trascurato e mostra evidenti segni di disidratazione uniti ad un significativo dimagrimento. Eppure i pasti vengono portati al letto di degenza e mentre io personalmente mi assicuro che abbia acqua a sufficienza. Nel giro di quarantotto ore la sua condizione si peggiora mostrando chiarissimi segni di debolezza e prostrazione. Cui si aggiungeva un visibile deficit nelle sue capacità di attenzione e comprensione di ciò che gli accadeva intorno.

Da questo momento tutti i parametri vitali continuavano a peggiorare, dando la sensazione che la causa del suo ricovero fosse, non già una frattura femorale, bensì un problema di carattere cardio vascolare che avesse compromesso anche le sue funzioni cognitive. Infatti cominciavano ad essere ben visibili difficoltà motorie degli altri arti non interessati dal trauma, nonché evidenti difficoltà di comunicazione.

Nonostante le mie sollecitazioni allo staff medico ed infermieristico che aveva il compito di assisterlo, la denutrizione e la disidratazione continuava, non solo a persistere ma anche ad aggravarsi. Era ormai evidente che i pasti erano inadeguati alla sue nuove condizioni di salute, tant’è che le pietanze somministrate venivano ritirate intonse così come erano state portate. A ciò si aggiungeva il fatto che lo stato di pressoché totale confusione mentale e sopraggiunte difficoltà motorie di mio Padre lo rendevano incapace di provvedere da solo alla sua alimentazione ed anche alla semplice idratazione. Insomma nessuno lo alimentava e gli dava da bere. Eccezion fatta per il sottoscritto che cercava, nelle poche ore di orario di visita, di integrare tutto ciò che gli era mancato durante la giornata. Ma, evidentemente, questo era assolutamente insufficiente non solo a consentirgli un recupero ma anche solo a permettere di mantenere stabile la sua condizione.

Intanto le sue condizioni continuavano a peggiorare a tal punto che erano evidenti lacerazioni dovute alla disidratazione sia sulle labbra che anche sulla lingua.

Dopo altre due settimane trascorse in questo modo, l’ ospedale presso cui era ricoverato si risolve a trasferirlo. Peccato che decida di inviarlo in queste condizioni in un centro di riabilitazione motoria.

Il quale, all’atto del ricovero, certificava la sua debilitazione altre ad evidenti piaghe da decubito nella zona dei talloni. Mio Padre arrivava in una posto che avrebbe dovuto rimetterlo in piedi incapace anche solo a nutrirsi, o a stare seduto in una sedia a rotelle. Rilevando la clinica che a causa del gonfiore della lingua era incapace di assumere una dieta solida, su mia sollecitazione ed iniziativa veniva prescritta una dieta liquida.

La debilitazione unita ad una dieta organoletticamente indigesta e di basso impatto calorico e nutrizionale impedivano che i tentativi di riabilitazione motoria producessero significativi miglioramenti. Tutte le sue funzioni vitali continuavano inesorabilmente a peggiorare, inclusa la denutrizione e la disidratazione. Dopo tre settimane di ricovero in questo centro di riabilitazione comparivano alcune segni di sofferenza respiratoria. Otto settimane dopo il primo ricovero la situazione era talmente grave da suggerire la somministrazione di ossigeno per far fronte alle crescenti difficoltà respiratorie oltreché di due trasfusioni di sangue. Anche l’incapacità di alimentarsi e di bere era diventata cronica a tal punto di indurla per endovena. Ovviamente in queste condizioni dello scopo primario per cui lui era lì, ossia la riabilitazione motoria neanche a parlarne, dato che ormai, perennemente allettato su materasso antidecubito, neanche a parlarne, vista l’evidente debolezza e incapacità anche solo di cambiare posizione nel letto.

Anche le sue capacità cognitive apparivano ormai compromesse. Ciò nonostante tutto, nessun dubbio sovveniva alla struttura circa la sua inadeguatezza a provvedere alle oggettive necessità di cura del paziente.

Il 14 Dicembre scorso, la crisi respiratoria era tale e tanta che due medici di turno (ossia quelli che non lo seguivano abitualmente) si risolvevano a dichiarare l’ “incompetenza professionale” della struttura a gestire un caso simile autorizzando il trasferimento del malato presso il medesimo ospedale in cui era stato ricoverato precedentemente. L’accettazione al pronto soccorso evidenziava immediatamente la situazione drammatica. Era ormai in fin di vita. Tutti i valori evidenziavano una denutrizione e disidratazione tale da aver compromesso tutte le altre funzioni.

Il ricovero e le cure prestate nelle ore successive nulla hanno potuto per impedire la morte sopraggiunta il mattino successivo. Senza sofferenze i suoi polmoni hanno semplicemente cessato di respirare ed il suo cuore di battere.

Questa lunga cronaca non si prefigge nessuno scopo recondito se non denunciare che in Italia esiste già l’eutanasia. Sebbene indesiderata e non richiesta. Viene ripetutamente praticata a danno di migliaia di persone ricoverate loro malgrado abbandonate da un sistema sanitario reso esanime da anni di tagli, perpetrati da quegli stessi che ieri sera si sono intrattenuti in un minuto di silenzio per commemorare la cessazione delle funzioni vitali di un guscio inerme di quella che, oggettivamente, non era una donna come molti la descrivevano strumentalmente, ma solo una ex ragazza che 17 anni orsono ha cessato semplicemente di essere tale a causa di un incidente d’auto. Per la quale molti si sono sperticati nel descriverne la presunta vitalità attuale e per la quale il nostro sistema sanitario spendeva cifre mostruose, pur di giustificandone le cure solerti. Negando il medesimo diritto ai tanti che quotidianamente vengono abbandonati nelle corsie di ospedali, lasciati morire di inedia senza che il Parlamento si scomodi in sedute notturne, provvedimenti di urgenza e commemorazioni postume, per garantire il loro sacrosanto diritto alla vita cui mai esplicitamente o implicitamente hanno rinunciato.

Invece si sceglie di dimenarsi nel dubbio se una persona che non c’è più da 17 anni desiderasse morire o No. In guerra i medici che operano nei campi di battaglia sanno benissimo che la prima operazione da fare è dividere i feriti gravi da quelli meno gravi perché i primi potrebbero morire comunque nonostante le cure, mentre i secondi potrebbero fare altrettanto solo perché privati delle cure mediche troppo assorbite a salvare i disperati in punto di morte. Per questo nei momenti di crisi è più opportuno concentrarsi su quanti con semplici operazioni hanno le maggiori chances di sopravvivere, procrastinando ad un secondo momento i casi più gravi.

Invece quelli che ieri ed oggi si stracciano le vesti gridando “l’hanno ammazzata” sono gli stessi che non una sola obiezione hanno mosso per approvare i tagli di bilancio della sanità che condannano ogni giorno, di fatto, a morte migliaia di nostri cari ben più coscienti dell’involucro inerme di quella che fu Eluana Englaro.

Dovremmo forse noi fare altrettanto ed urlare:

“LI HANNO AMMAZZATI?”

Il paradosso della lentezza veloce

Giorni di discussioni estenuanti, fiumi d’inchiostro versati, ore di programmazione televisiva, fino ad arrivare alla totale saturazione del panorama mediatico. Ecco che il “caso Englaro” diventa il monolito immenso che oscura il nostro orizzonte.

Dopo una assenza dal dibattito anche il Presidente del Consiglio decide di rompere gli indugi. Così nasce il decreto della discordia. Sebbene il Quirinale avesse “suggerito” prudenza invitando l’esecutivo a riflettere prima di tentare un bliz per ripristinare l’alimentazione della donna oggi più famosa d’Italia. Invece il Consiglio dei Ministri decide di andare allo scontro con il Presidente della Repubblica invocando un’urgenza cui un iter di legge ordinario non avrebbe potuto far fronte.

Napolitano mutuando la sua facoltà di rinviare un norma alle Camere, sulla base di rilievi circa la sua incostituzionalità, negava la firma per la promulgazione del decreto approvato dal Governo.

A questo punto lo scontro in atto spostava il centro dell’attenzione dalla questione etica ad quello istituzionale. Berlusconi tornava alla carica sul tema della riforma Costituzionale e della presunta impossibilità di perseguire gli obbiettivi del mandato elettorale perché ingessato da norme e regolamenti antiquati ed eccessivamente burocratici. In poche parole oltre a definire la Costituzione italiana eccessivamente influenzata dalla filosofia dell’Unione Sovietica, rilanciava il tema della libertà d’azione, dell’autoritarismo e della velocità del Governo necessaria a far fronte ad un mondo dinamico e mutevole.

Il paradosso è che, il disegno di legge conseguente il decreto rigettato dal Colle viene fulmineamente presentato e calendarizzato nel giro di poche ore. Prevedendone un’approvazione in via definitiva che potrà aver luogo nel giro di quarantotto ore. Dunque qui sta l’incongruenza di fondo nella lamentela del Cavaliere.

Il sistema politico è, a suo dire, eccessivamente burocratizzato e farraginoso, eppure, se si hanno i numeri in parlamento (quale è la situazione attuale nei rapporti di forza tra maggioranza e opposizione nelle Camere), come sta avvenendo ora e come è avvenuto in passato le camere sono in grado di approvare leggi con celerità straordinaria. Grazie a fiducie e blindature del voto, comunque gli strumenti esistono già oggi.

Dunque appare assolutamente strumentale la rivendicazione di maggior accentramenti di poteri al Presidente del Consiglio. Perché la dimostrazione dei fatti è che, se esiste adeguata convergenza politica su un tema, le regole attuali consentono un pronunciamento in tempi rapidi. Di contro l’incertezza e l’equilibrio producono un giusto rallentamento dell’iter di approvazione di una norma, in quanto questo è indice di indecisione e dubbio riguardo al quale è opportuna una maggiore riflessione e analisi. Insomma il nostro è un sistema i cui equilibri tendono a trovare spontaneamente una propria stabilità.

L’emotività e l’irruenza sono stati sempre indice di rischio e presagio di scelte infelici e spesso controproducenti. Svolte come quelle auspicate da Berlusconi, più che mirate ad ottenere un sistema che agisca con celerità, sembrano tese a far si che tutti facciano sempre e solo ciò che dice lui. Ma l’unica riforma della Costituzione che possa produrre un risultato simile sarebbe la sua abrogazione definitiva.

giovedì 5 febbraio 2009

L’invasione degli ultra-Silvio!

Sono sempre di più coloro che scorgono significative analogie tra la campagna elettorale per l’elezione del Presidente della Regione Abruzzo e quella per la Regione Sardegna.

Un candidato del PD ed uno del PdL, che dovrebbero lottare per il governatorato ma con un terzo incomodo come il Presidente del Consiglio, a svolgere le funzioni di balia del candidato di centrodestra. Tanto da far gridare allo scandalo e a prefigurare, più che un incarico come Presidente della Regione ad un ruolo di Vicerè.

Mesi dopo le elezioni gli abruzzesi scoprono che, delle mirabolanti promesse fatte da Berlusconi, grazie ad un dispiegamento di forze mediatico degno delle presidenziali americane, non vi è più traccia. Una per tutte la promessa fatta da Berlusconi di far approvare dal Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica fondi per le infrastrutture regionali abbruzzesi. Ebbene il Cipe riunitosi successivamente ha stanziato 7,3 miliardi di euro per le infrastrutture, non sedici. Assegnando fondi per la Calabria, per le aree montane, per la tratta autostradale tirrenica Rosignano - Civitavecchia, per il sistema Mose di Venezia. per l’Expo di Milano. Ma nulla per l’Abruzzo!.

Anche nelle elezioni isolane sembra ripetersi il medesimo copione, anzi gli accenti sembrano decisamente più aspri, sia per l’“attenzione” personale del premier che in Sardegna ha interessi economici, turistici e di rappresentanza non indifferenti, sia perché l’interlocutore di centrosinistra è un certo Renato Soru, ossia un imprenditore (guardacaso come lui), sardo doc (guardacaso non come lui), sceso in politica ed oggi da molti indicato come figura di garanzia in grande ascesa nel PD. Insomma, ora che il Cavaliere pensa di aver sistemato i suoi competitors Democratici attuali, sembra che cerchi di colpire le nuove leve per minare il futuro dell’opposizione.

Ecco, così, il ripetersi della candidatura simbiotica per interposta persona del più famoso abitante di Arcore. È Ugo Cappellacci, ex Assessore del comune di Cagliari, nonché figlio dell’ex-commercialista sardo di Berlusconi, assurto per grazia divina (sua), in quanto sconosciuto assoluto nel panorama politico sardo (se non per alcune vicende giudiziarie ai tempi quando era assessore regionale della giunta Masala), quale candidato del centrodestra.

Il guaio è che la confusione di ruoli è tale e tanta che anche il programma del candidato della PdL ne risente. Infatti, scorrendolo, si ha come l’impressione che sia quello di un candidato alla Presidenza del Consiglio. Infatti nelle sue 62 due pagine sono continui i proclami all’adozione di misure che sembrano rientrare più logicamente nelle disponibilità di un governo nazionale che di uno regionale. Una sequela di promesse di riforme legislative proprie del Parlamento nazionale. A meno che non si voglia pensare che l’azione autonomista promossa dal presidente uscente, Soru, sia stata tale e tanta da aver consentito ai sardi di avere piena e totale autonomia dal così detto continente.

Essendo la realtà ben diversa, o dobbiamo credere che la sostituzione di persona ha preso così piede da far sì che Berlusconi garantisca la collaborazione del governo solo ad un’isola governata da un suo delfino, oppure che certe promesse siano roboanti annunci destinati a sgonfiarsi poche ore dopo il voto. In entrambe i casi siamo in presenza di atteggiamenti moralmente discutibili. Nel primo caso perché un governo dovrebbe far fronte alle legittime esigenze e richieste di una parte importante del paese a prescindere da coloro che presiedono nelle amministrazioni locali. Nel secondo caso perché per quanto assuefatti a decenni di “promesse elettorali” e “contratti con italiani” non mantenuti, mentire sapendo di mentire è sempre cosa riprovevole, oltreché banale, quanto ovvio, indice di inaffidabilità.

D’altro canto, però, cosa ci si può aspettare da un centrodestra che, opportunisticamente, a pochi giorni dal voto (2005), decide di modificare la legge elettorale impedendo ai cittadini di scegliere i propri candidati, facendo si che questi vengano imposti da ristrette cerchie di potere? La strategia di governare anche localmente per interposta persona è assolutamente coerente con questa filosofia. Per questo è stato scelto, altrove, non certo in Sardegna, il candidato del PdL. Per questo è Cappellacci l’esempio ideale, al punto di calarsi così bene nel ruolo di alter ego del suo leader da essere indistinguibile da esso, in quanto entità dotata di volontà propria. Quasi fosse uno di quei replicanti protagonisti di un cult movie come “l’invasione degli ultracorpi”, creati da alieni per sostituire la razza umana. Che sia questo l’oscuro piano del Cavaliere, clonare se stesso in innumerevoli copie fino a sostituire completamente tutti gli italiani?