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COMITATO PER IL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI COSTITUZIONALI AI MILITARI
Perchè una Democrazia non può dirsi compiuta se non è stata capace di estendere tutte le sue regole e garanzie, fino in fondo a tutti i cittadini, anche quelli in divisa.

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mercoledì 24 settembre 2008

De Magistris trasferito

Dal 17 settembre scorso il Dr. Luigi De Magistris, è trasferito al tribunale del riesame di Napoli.
Nonostante tutti gli elementi concreti ci dicono che nulla nel suo operato fosse meritevole di alcuna riprovazione o censura,
anzi che era vero il clima ostile che egli aveva vissuto a Catanzaro, per aver osato sfidare il clima di collusione tra politica e magistratura.
Nessun giornale o nessuna televisione ha dato risalto al fatto che la determinazione del Ministro della Giustizia, Avv. Alfano, il 9 settembre scorso, abbia decretato il trasferimento d'urgenza da Catanzaro a Napoli, sebbene lo stesso C.S.M. pur censurando De Magistris non ne abbia ravvisato la medesima necessità, l'esponente del Governo ha voluto imprimere un'inspiegabile accelerazione dando, di fatto, esecuzione alla minaccia proferita nel corso di una conversazione telefonica da Giuseppe Chiaravalloti, già procuratore capo, poi presidente forzista della regione Calabria e oggi vicepresidente dell’Autorità Garante della Privacy con Giovanna Raffaelli, sua segretaria particolare e moglie di uno degli imprenditori indagati, nel novembre 2005, allorchè decretò:"Lo dobbiamo ammazzare…no gli facciamo le cause civili per il risarcimento danni e ne affidiamo la gestione alla Camorra napoletana... (...) Ma questa gliela facciamo, gliela facciamo pagare brutta... vedrai "
Ma nessuno ha ritenuto necessario dar conto di ciò agli italiani.

lunedì 22 settembre 2008

La colonna infame dell’informazione

Qualche giorno fa, Ilvo Diamanti in un suo articolo, rifletteva sulla correlazione tra, il crescente consenso che viene accreditato al Governo Berlusconi e la delusione per tutto lo stato delle cose che riguarda la loro vita. In qualche modo egli si meravigliava, infatti scriveva: “E' un po' sorprendente che la delusione, tanto diffusa nella società, non produca sfiducia nel governo e, in primo luogo, nel premier. Eppure in passato aveva sempre funzionato l'equazione: più delusione meno consenso a chi governa”. Prosegue la sua analisi evidenziando come di fatto il detto “Piove! Governo ladro” si sia invertito a beneficio dell’attuale esecutivo e della maggioranza che lo sostiene.

Dissertando lungamente circa il modo in cui questo ribaltamento si sia concretizzato, conclude con un laconico invito alla speranza: “Per fare opposizione occorrerebbe, al contrario, spingere la delusione più in là. Generare speranza, non nuove illusione. Ma la speranza è un attributo del futuro. E il futuro, per ora, è solo una speranza. Pardon: un'illusione, che in pochi si ostinano a coltivare”.

In realtà, quanto sostenuto, avrebbe ragion d’essere in una condizione normale, priva di elementi destabilizzanti, ciò darebbe ragionevolmente adito a credere che una forza politica e sociale che proponesse speranza potrebbe riscuotere successo tra la gente. Però, come i problemi scientifici necessitano di discernere tra la loro applicabilità in condizioni ideali e le variabili della realtà pratica, così l’excursus di Diamanti si mantiene in un alveo di teoricità che non tiene conto fino in fondo di un grave elemento perturbante della sua “equazione”, ossia “Delusione uguale Consenso”. Diceva Lavoisier, nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, così come una reazione chimica ha bisogno di essere bilanciata, anche l’assunto proposto dall’articolo di Repubblica, necessita di definire quali elementi nuovi fanno si che si inverta il rapporto facendo portando la delusione popolare ad incrementare il consenso per il Governo.

Proprio per questo e, forse perché parte in causa nell’articolo, l’autore omette di evidenziare che l’elemento perturbante, oltrechè causa primaria di questa anomalia, è lo stesso sistema sistema a cui lui appartiene, ossia quello mediatico, reo di prestarsi quale cassa di risonanza agli slogan governativi e di non svolgere quella minuziosa azione di verifica di quanto troppo spesso annunciato “urbi et orbi”.

Infatti, negli ultimi anni, abbiamo potuto assistere ad una dinamica per cui i temi portanti della comunicazione di massa venissero indicati per lo più dai comunicati stampa ed annunci, rilasciati di volta in volta dalla coalizione del centrodestra. Grazie al grande controllo esercitato da essa su larga parte di stampa e TV. In tal modo il messaggio diramato, di volta in volta, assumeva la funzione di indirizzare l’opinione pubblica su posizioni più favorevoli, indicando sempre in altri le responsabilità per le negatività che si frapponevano al mantenimento delle promesse elettorali del suo leader. Oppure svolgevano la funzione di imporre altre priorità al paese, più marginali, al fine di evitare di affrontare nodi cruciali di difficile risoluzione, che esporrebbero l’Esecutivo al rischio reale di vedere, in tal caso, diminuito il consenso.

Come una rinnovata “colonna infame” di Manzoniana memoria, oggi i media si prestano a svolgere il ruolo della "donnicciola” del popolo, Caterina Rosa, che allora svolse la funzione di testimone chiave per condannare a morte due presunti “untori” rei di diffondere la peste nella Milano del 1630, pur di non esporre l’amministrazione dell’epoca alle rimostranze di un popolo che cercava delle responsabilità oggettive alla peste che si abbattè sui milanesi.

Oggi si cercano capri espiatori nella magistratura, nei Rom, nei sindacati e in chiunque altro sia semplicemente di opinione diversa da quella della maggioranza. Lanciando continuamente nuovi allarmi e successivamente proclamandone la risoluzione, in un susseguirsi di annunci il cui effetto è assicurato dalla pronta disponibilità dell’informazione pubblica, che qualora tenti di svolgere un ruolo di approfondimento e verifica subisce le “intimidazioni” di un sistema sempre pronto a sedare i diversamente pensanti, come Carlo Rota (condannato per stampa clandestina, casualmente dopo la sua attività di denuncia alla mafia), Emiliano Fittipaldi, Gianluca Di Feo e al collaboratore Claudio Pappaianni (i quali subivano due ispezioni della Finanza a seguito di due reportages sulla gestione dei rifiuti in Campania e sullo sbarco a nord del clan dei Casalesi e delle commistioni della malavita con imprenditori del nord e con politici campani).

Tutti rei di aver voluto svolgere quella funzione che è propria di qualunque buon reporter il quale deve: “rispettare, coltivare e difendere il diritto all'informazione di tutti i cittadini; per questo ricerca e diffonde ogni notizia o informazione che egli ritenga di pubblico interesse, nel rispetto della verità dei fatti e con la maggiore accuratezza possibile.

Il giornalista ricerca e diffonde le notizie di pubblico interesse nonostante gli ostacoli che possono essere frapposti al suo lavoro. E' un suo dovere compiere ogni sforzo per assicurare una dimensione pubblica alle notizie di interesse generale e per garantire al cittadino la conoscenza e il controllo degli atti pubblic” (tratto dal codice deontologico dei giornalisti).

Forse, nel 2008, saranno questi i nomi dei nuovi untori apposti sulla targa ai piedi di questa nuova colonna. Non certo quelli dei loro colleghi pronti a girare lo sguardo altrove dove da “altri” indicato ed ordinato.

martedì 9 settembre 2008

La poetica di Stranamore

Alle volte le notizie suscitano curiosità più che per il loro contenuto, per quello che non dicono.

Ieri (8 settembre 2008) La Repubblica sul suo portale ce ne ha dato un lampante esempio, la notizia si presentava con una serie di dieci foto (una è quella di fianco) ed una sola didascalia come quella che segue: Suggestivo test militare in Corea del Sud. Un Phantom F-4E è stato portato dentro un hangar a Seosan,a 150 chilometri da Seul, ed è stato congelato per testare la resistenza delle strumentazioni e delle armi alle temperature estreme. In poco tempo un manto di ghiaccio ha avvolto l'aereo.”.

Il giornale relega il tutto ad una semplice “suggestione” più degna di una cartolina di auguri natalizi che di una cronaca di un test di alta tecnologia militare.

Cero appare alquanto curioso che la prestigiosa testata non abbia voluto approfondire il fatto sia in considerazione dell’oggetto del test, ossia un caccia militare, sia per la dislocazione geografica ove esso si è svolto, la Corea del Sud.

Partiamo dalla prima osservazione - che, già di per se, doveva destare quantomeno la curiosità, che si pensa sia imprescindibilmente connaturata con ogni giornalista degno di questo nome, a meno di non voler immaginare gli attuali protagonisti del quarto e quinto potere alla stregua di semi-annoiati impiegati passa-carte – a quanti sarà capitato volando con un normale aereo di linea, una volta raggiunta la quota di crociera (di solito intorno agli 8-10.000 metri) di sentire la voce del comandante che illustrando la situazione climatica esterna riferisce di una temperatura inferiore ai -30° centigradi. Infatti, grado più, grado meno, le temperature a quelle quote è tale e scende vistosamente salendo di quota. Per conforto di coloro che vivono il volo è bene sapere che i moderni velivoli sono strutturalmente preparati per condizioni simili. In genere il loro limite si aggira intorno ai -50° C temperatura che si può registrare negli strati superiori dell’atmosfera nei quali un jet non è in grado di volare perché a quella quota non è presente sufficiente ossigeno per far funzionare un normale motore a reazione. Dunque, tornando alla notizia l’aspetto curioso è capire dove dovrebbe volare il caccia fotografato e del quale si vuole appurare la capacità dei computer e dei sistemi d’arma di poter funzionare a condizioni di bassissima temperatura. L’industria aerospaziale ci suggerisce che l’elettronica funziona anche nello spazio – a temperature ben più basse dei meno cinquanta di cui si parlava – ma sappiamo che sono i motori che non funzionano a quelle quote, per cui la deduzione ci suggerisce che certe condizioni estreme dovrebbero concretizzarsi più in basso. Ora, la Corea subisce un clima tipicamente continentale, le cui temperature medie al suolo, in condizioni normali, mediamente non scendono sotto i -10 gradi.

Quindi, siamo in uno spettro d’impiego decisamente lontano dai limiti di funzionamento di un normale jet, figuriamoci un sofisticato caccia militare - quello nella foto, per la precisione, è un F4 Phantom datato come progetto, ma nelle altre foto del servizio è possibile vedere un più moderno F16 Falcon – allora che senso ha impiegare ingenti risorse per un test del genere?

Questi segnali dovrebbero indurre ad andare alla fonte della notizia per capire meglio di cosa stiamo parlando.

Facendo questo, si scopre che l’agenzia di stampa del Kuwait, KUNA, esprime meno romanticismo e colore ma, dà qualche dettaglio in più rispetto alla cronaca italiana. Difatti ci riferisce che: La Corea del Sud ha inaugurato un nuovo centro di sperimentazione per velivoli. Lunedì (N.d.R. 8 settembre 2008) dove il suo esercito sarà in grado di misurare le capacità operative di aerei e carriarmati in condizioni di clima estremo. (…) La struttura del costo di 91,2 miliardi di dollari è la seconda più grande del mondo dopo quella degli Stati Uniti. (…) essa è dotata di una camera climatica per test in differenti condizioni meteo ed una camera anarcoide dove gli equipaggiamenti saranno testati per stabilirne la resistenza a differenti emissioni elettromagnetiche. La struttura è stata realizzata in cooperazione con l’Agenzia di Difesa e Sviluppo e dalla azienda aeronautica Boenig, nel quadro di un programma collegato all’acquisto di 40 caccia F15K da parte di Seoul. La Boeing ha finanziato gli equipaggiamenti della camera climatica ed anaecoide, per un valore di 35 milioni di dollari. (…) Un altro spazio di test sarà aggiunto per il 2015 con nuove strutture, inclusi un centro per il test di impulsi elettromagnetici ed una sezione test dei radar per sviluppare le capacità stealth (N.d.R. sistema di occultamento ai radar)”.

Dunque alcune cose certamente interessanti sono venute a galla. Ossia che non solo vengono testati i diversi sistemi d’arma alle basse temperature ma anche qualora investiti da emissioni elettromagnetiche. Si da il caso che queste condizioni siano fenomeni che si manifestano durante e dopo le esplosioni nucleari. Infatti, tra i tanti devastanti effetti di un’esplosione nucleari vi è, sia l’impulso elettromagnetico in grado di mettere fuori uso componenti elettronici per un vasto raggio, sia il così detto “inverno nucleare” causato dalle particelle di materia carbonizzata, dalle polveri radioattive e da qualsiasi altra sostanza in grado di alzarsi nell'aria, causate dall’esplosione, che andrebbero a costituire, grazie ai venti, uno scudo impermeabile ai raggi solari tale da far precipitare le temperature nell'atmosfera, inducendo una sorta di nuova glaciazione.

Insomma sembra che la partnership Corea del Sud – USA sembra stia studiando la possibilità di poter conservare il proprio potenziale bellico ben dopo un ipotetico olocausto nucleare. Trascurando le implicazioni morali di un mondo, prossimo alla regressione all’età della pietra, anche secondo il pensiero di Albert Einstein, i cui leader, invece di pensare a salvare i pochi disperati che sopravvivrebbero, si ostinano pervicacemente a combattersi tra loro.

Certo nell’ottica del prevenire è meglio che curare, logica vuole che, se si decidesse di impiegare ingenti risorse dei contribuenti, tralasciando altre priorità, l’imminenza di tali evenienze, per alcuni potrebbe essere poi non così remota. Certo la spada di Damocle dovuto al vicino simbiote della Corea del Nord, induce a non trascurare la logica della deterrenza. In tal senso anche i 40 modernissimi caccia F15K di ultima generazione, sviluppati appositamente per Seul, i cui primi due esemplari sono stati consegnati già nel 2005, offrono le più ampie garanzie di poter colpire il vicino ingombrante.

Così come per Israele, la scelta USA di sostenere, con poderose iniezioni di tecnologia e know-how militare, anche l’estremo sud-est asiatico, espone al rischio di destabilizzare are del globo il cui equilibrio è tanto precario quanto essenziale per impedire l’implosione e il precipitare di eventi verso scenari incontrollati. Esempi del passato ne sono le ingerenze nel medioriente, dove il conflitto Iran-Iraq fu pesantemente influenzato da USA e URSS, le quali al termine del conflitto lasciarono due governi autoritari e repressivi, ormai lautamente foraggiati e dotati di tecnologia bellica, poi utilizzata contro gli ex-alleati pigmaglioni.

In un contesto simile dà da pensare un recente articolo pubblicato sul New York Times, che descriveva un spy story con tanto di manuale per costruire bombe atomiche in giro nel mercato nero internazionale, riportando “che l’ingegnere Friedrich Tinner e i suoi figli Urs e Marco (N.d.R. custodi per anni di questo manuale) sono stati per anni in rapporti con i servizi americani, una sorta di spie svizzere assoldate dalla CIA per creare problemi all’interno delle rete clandestina del trafficante internazionale pakistano Khan, noto pioniere del contrabbando di armi atomiche in Libia, Iran e Corea del Nord.”.

In conclusione è concreto il rischio che qualcuno abbia svolto un ruolo decisivo da entrambe le parti della barricata, ed ancora oggi operi scelte tendenti più a destabilizzare scenari internazionali che sembrano correre sul filo del rasoio che a svolgere la funzione di mediatore.

Tutto ciò senza che il buon cronista romantico di Repubblica scorgesse null’altro che la sua poetica suggestività, degna del Dottor Stranamore.

lunedì 8 settembre 2008

Il Liberismo del quartierino

Fanni e Freddie sembrano due di quei nomignoli affettuosi che inspiegabilmente vengono affibbiati a quei grandi uragani che si accingono a seminare devastazione e morte nelle isole caraibiche o nel sud degli Stati Uniti. Purtroppo, anche se sembra strano dirlo, non è così. Infatti, stiamo parlando dei due più grossi istituti finanziari che controllano metà di tutti i mutui immobiliari negli Stati Uniti, Fanni Mae e Freddi Mac. I quali versano sull’orlo della bancarotta. Per via delle strategie fortemente speculative effettuate dai relativi dirigenti. Questi che assumono l’aspetto e la forza di veri e propri uragani finanziari, stanno abbattendosi su tutti i principali mercati mondiali.

Ci deve essere qualcosa di vero nel fatto che tra Bush e Berlusconi esiste un feeling speciale o come direbbe Dante “una corrispondenza d’amorosi sensi…”, se, poco dopo le iniziative messe in atto dal Cavaliere con l’Alitalia, anche il presidente americano decide di salvare i due colossi che detengono un volume di prestiti è pari al 58% dell'intero debito pubblico americano.

In entrambe i casi due dei principali sostenitori del liberismo economico del panorama internazionale cadono in contraddizione nel peggiore dei modi. Infatti, constatiamo una costante disattenzione degli organi di controllo sull’operato dei manager, quando le aziende producono utili, spesso senza che ci siano spiegazioni razionali ad andamenti insolitamente positivi di certi titoli sui mercati. Consentendo che i vertici aziendali accumulino compensi straordinari. Per poi accertare falsificazioni di bilancio o gestioni quantomeno allegre delle loro società, seguite da gravi crisi e dall’improvviso, certo non inaspettato o imprevisto, presentarsi del rischio della bancarotta. Con il conseguente ricatto morale del fallimento,

Così i fautori del liberismo intervengono facendo sì che le perdite siano socializzate tra i contribuenti e le banche possano essere coperte nella loro esposizione debitoria, esponendo non già coloro che sono causa principale della crisi, bensì quanti nell’azienda operano o ne sono piccoli azionisti.

Così l’Alitalia viene smembrata in due una buona, regalata ad imprenditori abili solo a “rischiare” soldi giocare schedine di cui abbiano garanzia di vittoria, ed un’altra cattiva destinata al fallimento i cui costi ricadranno su tutto il resto della popolazione. Analogamente Bush svena le già disastrate casse del paese con il maggior debito pubblico mondiale, per salvare due aziende che agivano come rapaci in un mercato, come quello dei mutui, che invece garantiscono profitti certi perché armati di pazienza e prudenza. La stessa reazione entusiastica delle Borse dimostra la gratitudine delle grandi holding per le iniezioni di denaro pubblico, quindi prelevato dalle tasche dei cittadini che pagano le tasse, per coprire i danni causati da meschini malfattori che, grazie a questo continueranno a festeggiare nelle loro ville e nei loro yacht.

In generale questo liberismo sembra un elastico che si accorcia e si allunga a seconda delle esigenze ma con una sola costante, ossia che le conseguenze negative, per il terminale ultimo della filiera del mercato, devono essere considerate come strutturali ed imprescindibili, mentre qualora si manifesti il rischio che ad essere travolti siano i grossi gruppi finanzieri, le banche o i grandi investitori, allora la collettività deve intervenire in loro sostegno.

Questo capitalismo da quattro soldi è veramente degno dei suoi protagonisti, ben definiti “furbetti del quartierino”. Imprenditori che rischiano con il denaro altrui sempre sicuri di cadere in piedi, i quali infestano come una metastasi la finanza mondiale. Tutelati da un’impunità totale e da un potere derivato da una ricchezza proditoriamente acquisita, grazie alle connivenze con una politica da loro stessi comprata e controllata. Assetati di benessere smisurato del quale loro stessi perdono ogni ragionevole misura. Causa aldilà d’ogni ragionevolezza dell’aumento smisurato del divario tra la stragrande maggioranza del modo, spaventosamente povera, e loro stessi, spaventosamente ricchi e, per questo, cagione prima dell’aumento di conflittualità tra le diverse aree del pianeta.

sabato 6 settembre 2008

La diaspora dell’articolo 21

Verso le quattro del pomeriggio di ieri sera (5/9/2008), le agenzie battevano un comunicato: “il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha perso la causa per diffamazione intentata nel 2001 presso il Tribunale di Milano contro l'Economist, e dovrà pagare le spese processuali.”. Come, pochi ricorderanno il contenzioso ha origine da un’articolo pubblicato dal settimanale economico britannico, il 26 aprile 2001, dal titolo “An Italian story” (Una storia italiana) e da una copertina dello stesso in cui assieme ad una foto del Cavaliere accigliato era scritto “Why Berlusconi is unfit to lead Italy” (Perché Berlusconi è inadatto a guidare l’Italia).

Dunque la Prima sezione del Tribunale Civile di Milano, nella persona del Giudice unico, Angelo Ricciardi, rigettava l’istanza presentata dai legali di Silvio Berlusconi, condannando il loro assistito al pagamento delle spese processuali.

Insomma una sconfitta pesante che nella lettura della sentenza assume i toni della “debacle”.

Infatti la sentenza è un susseguirsi di richiami, parte del giudice, al fatto che le contestazioni non entrassero mai nel merito dei fatti scritti limitandosi a lamentare cose del tipo che, l’articolo è “un’artata ricostruzione del successo imprenditoriale del concludente (n.d.r. Berlusconi), suo malgrado trasformato ad uso e consumo del giornale (e per i suoi ignari lettori) in un pervicace delinquente, che agisce in un susseguirsi di comportamenti illeciti”. Ricevendo, per tutta risposta, che “la soggettiva ma esplicita valutazione della testata inglese (…) si fonda sulla personale interpretazione di circostanze che non sono state contestate dalla difesa attorea ( n.d.r. Berlusconi).

Lo stesso Presidente del Consiglio incorre in una palese contraddizione allorché accusa il giornale di dipingerlo come “personaggio sempre alle prese con gravi accuse penali”, forse dimenticando quello che lui stesso ha detto il 25 giugno scorso all’assemblea annuale della Confesercenti: "Sono costretto ogni sabato mattina - dice il premier - a preparare con i miei legali udienze in cui sono oggetto dell'attenzione dei pm o giudici politicizzati che sono la metastasi della democrazia". Aggiungendo poi che "dal '94 al 2006 sono stati 789 i pm e i magistrati interessati a sovvertire il voto degli italiani: ci sono riusciti nel '94, non ci riusciranno in questa presente situazione"

Conclude il Tribunale che: “Alla luce dell’articolata ricostruzione giornalistica delle complesse vicende dell’attore – nell’ambito della quale non è dato ravvisare alcuna dolosa o colposa alterazione dei fatti storici e/o processuali nei termini, sovente generici, allegati dalla difesa attorea (gli unici ai quali deve limitarsi l’accertamento del tribunale nel presente giudizio) – è pertanto evidente che le soggettive conclusioni alle quali giunge l’Economist nelle frasi di apertura e di chiusura dell’articolo “An Italian Story?” (n.d.r. “Una Storia Italiana?”) – relative al “…money from untraceable sources…” (n.d.r. “…soldi da fonti non rintracciabili…”), al fatto che “…Mr. Berslusconi has needed a lot of help from isalubrius quarters…” (n.d.r. “…il Sig. Berlusconi ha avuto bisogno di un sacco di aiuto da ambienti insalubri…”) e che “though he says he wants to replace the old corrupt system, his own businnes empire is largely a prodouct of it…” (n.d.r. “sebbene egli asserisca di voler sostituire il vecchio sistema corrotto, il suo impero economico è ampiamente un prodotto di esso…”) – sono coerenti sotto il profilo della consequenzialità logica e dell’applicazione dei criteri induttivi e deduttivi lettori in tale loro natura (…) rientrano a pieno titolo nell’esercizio del diritto di critica tutelato dall’ art. 21 Cost. (…) La stessa natura dell’articolo, che muove da una puntigliosa ricostruzione dei fatti e vicende relative ad un ampio arco temporale, e le modalità di personale argomentazione di giornalista, sempre sviluppate – secondo i canoni del tradizionale empirismo anglosassone – sulla base di un fitto e pertinente richiamo a cose, avvenimenti e persone, risultano in concreto incompatibili con la presenza di eccessi verbali o di censurabili incontinenze espressive.”

Insomma L’Economist riferiva fatti inconfutabilmente veri, mentre Berlusconi aldilà di spolverare il suo armamentario di accuse contro la magistratura politicizzata non produce alcuna documentazione atta a smentire i documenti e i fatti riportati nell’articolo. D’altro canto non lo fece neanche all’epoca della pubblicazione di un’editoriale del 30 Luglio 2003, sempre dell’Economist intitolato “Dear Mr. Berlusconi… Our challenge to Italy’s prime ministre” (n.d.r. “Caro Sig. Berlusconi… La nostra sfida al primo ministro italiano), nel quale il settimanale inglese proponeva una serie di domande al Cavaliere, offrendo, di fatto, già allora la possibilità di confutare, dati alla mano, l’infondatezza delle accuse.

Evidentemente l’inquilino di Arcore, non ama che gli vengano fatte delle domande, sia che a farle siano i giudici nella aule di tribunale, che lui evita accuratamente, se non per far dichiarazioni spontanee, dopo essersi assicurato che i giudici acconsentissero a che nessun quesito potesse essergli posto. Sia quando dovrebbero essere i giornalisti. A tal scopo la sua mente vulcanica ha varato una nuova tipologia di conferenze stampa quella senza domande.

Nessuna eccezione neanche all’epoca desumibile dal preannuncio di querele per bocca dell’allora portavoce Bondi.

Inoltre, se l’assunto di partenza da cui parte la contestazione è che, i fatti raccontati inducono alla convinzione che Berlusconi è “pervicace delinquente, che agisce in un susseguirsi di comportamenti illeciti”, il pronunciamento di rigetto da parte del Tribunale Civile, apre la strada al sillogismo per cui sei i primi sono veri è conseguenza logica che anche la seconda affermazione lo sia, trovando, questa deduzione, fondamento nel detto latino: “excusatio non petita accusatio manifesta”

Il Giudice difende la sacralità di quanto sancito dall’art. 21 della Costituzione italiana : “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.”. A ben vedere l’articolo costituzionale citato deve essersi preso un periodo sabbatico oltremanica, si può notare che, pur non essendo soggetti alla predetta norma, i giornalisti britannici ne recepiscono a pieno lo spirito svolgendo quella funzione precipua dell’informazione, ossia la critica del potere, qualunque ed ovunque esso sia. Mentre la stampa ed i media italiani, salvo poche eccezioni ignorarono gli editoriali dell’Economist sia nel 2001 che nel 2003, recentemente hanno dato ampio risalto al lusinghiero editoriale della rivista americana Newsweek, primo fra tutti, il settimanale, accidentalmente di proprietà di Berlusconi, Panorama, seguito anche da tutti i telegiornali nazionali nel corso di tutte le edizioni.

Ieri ed oggi, questi stessi media dovevano essere verosimilmente distratti o in “tutt’altre faccende affaccendati” se e vero che la notizia non è stata riportata se non da poche agenzie e pochi quotidiani che l’hanno relegata a “brevina” di metà pagina. La stessa La Repubblica e L’Unità, che in occasione degli editoriali di cinque e sette anni fa diedero ampio spazio alla vicenda, oggi si sono astenute da qualunque approfondimento, anzi, il quotidiano diretto da Concita De Gregorio, da spazio alla sola dichiarazione di uno degli avvocati del Cavaliere, Fabio Lepri: “La sentenza è ingiusta e ne sarà chiesta subito la riforma in appello”, “Il tribunale di Milano, ha sbagliato nel ritenere lecito uno scritto che, in realtà, era da valutare come offensivo nei confronti dell'onorevole Berlusconi, anche perchè costellato di asserzioni infondate. Non a caso le parole del periodico "The Economist", diffuse poco prima delle elezioni del 2001, sono state smentite più volte dal giudizio degli italiani”. Reiterando la convinzione di buona parte del Centrodestra nella logica plebiscitaria per cui le sentenze non debbano essere più appannaggio dei giudici che analizzano i fatti, ma del pubblico “tele-elettore” che, all’oscuro di tutto, può, senz’altro emettere una sentenza più giusta ed equa. Ovviamente il giornalista che raccoglieva la deposizione, ben si è guardato dall’analizzare la sentenza e dall’eccepire alcunché.

A ben vedere, l’impressione generale è quella di un indirizzo, per non dire ordine di scuderia, teso minimizzare l’accaduto, anche negli ambienti vicini al PD. Evidentemente l’innominabile “principale esponente dello schieramento avverso” è ancora tale. Sotto tutti i punti di vista e, dietro l’apparente durezza delle dichiarazioni dei leader dell’opposizione, covi la cenere del “non potremmo sopravvivere ad una nuova stagione di mani pulite”.

Loro non certo l’Italia che ne avrebbe solo giovamento.

giovedì 4 settembre 2008

Travaglio, Pirandello e la Messa laica

Ieri (3 settembre 2008) al Teatro Vittoria di Roma, Peter Gomez, Marco Lillo e Marco Travaglio hanno presentato il loro ultimo libro: Bavaglio. Hanno partecipato alla serata anche Pino Corrias, Paolo Flores D’Arcais e Sabina Guzzanti.

Tema portante della serata il contenuto dello stesso libro sui temi di scottante attualità, in materia di Lodo Schifani, libertà di stampa, intercettazioni telefoniche e tutto un corollario di temi che sono spesso sconosciuti al grande pubblico televisivo ma certamente più noti agli habituè di certi blog e dei forum del web.

Il pubblico intervenuto, come si suol dire in questi casi, numeroso, non era certamente neofita delle tematiche illustrate, la cui partecipazione, in qualche modo attiva, dimostrava inequivocabilmente la conoscenza di buona parte delle cronache descritte dai protagonisti sul palco.

Di fatto il ripetersi di questi eventi, sostanzialmente in controtendenza con l’inedia, denunciata pochi giorni fa, circa la presunta disattenzione di buona parte degli italiani alla vita politica del paese, assume le caratteristiche di una messa laica con le relative preghiere, espresse sotto forma di dileggio dell’attuale sistema politico-economico-mediatico. Ivi inclusi sacerdoti e profeti moderni rango al quale sono stati, di fatto, elevati buona parte dei giornalisti predetti. Il rito assume una valenza espiatoria, come se si concretizzasse una catarsi liberatoria sufficiente ad alleggerire le coscienze, perché l’uditore medio ritiene di aver contribuito, in tal modo, già con la sua sola partecipazione, al raggiungimento di quello che è apparentemente il fine ultimo. La difesa dei diritti fondamentali delle persone e la lotta popolare contro i “poteri forti”.

Certamente la motivazione del pubblico non è di poco conto se è vero, come è vero, che pur di assistere accetta ore di fila nel caldissimo foieur del teatro testaccino, per poi assistere al dibattito nella immerso in un clima più simile ad una sauna che ad uno spazio dedito all’intrattenimento (se così stanno le cose, non ci si lamenti se la cultura teatrale del nostro paese non riscuote il medesimo successo che all’estero…). Ciò nonostante la folla che gremiva, fin’anche, i corridoi e sostava in piedi per quel paio d’ore necessarie ai sei protagonisti di raccontare quello che gli altri (le televisioni) non dicono. Pirandelliani più di quanto si pensi, stavolta non cercavano un autore, ma, di fatto, una platea che, rompendo gli indugi, cessasse di essere tale e si trasformasse in un coacervo di democrazia attiva e partecipazione. Che cessasse di sgranare rosari e girare ruote di preghiere scritte da altri. Diventando, finalmente, parte attiva del processo politico italiano.

Questo è sembrato essere il senso ultimo della serata, con i suoi appelli conclusivi ad aderire alle iniziative proposte da Travaglio prima e dalla Guzzanti poi. Verosimilmente consci del fatto di essere, sempre più, investiti di un ruolo sacerdotale mal riposto, che rischia di ritorcersi su loro stessi. In quanto peccatori dello stesso peccato di coloro che sono oggetto delle loro critiche, ossia l’autoreferenzialità e il “culto della personalità”.

Ecco quindi l’invito ai loro lettori, o forse meglio seguaci, a frasi protagonisti in prima persona dell’azione critica e di denuncia dell’attuale deriva autoritaristica intrapresa dell’attuale leadership italiana.

Per citare le citazioni di Flores D’Arcais: “Pena il rischio di svegliarsi in un futuro ,come Marx osservava, mai uguale al suo passato, ma non necessariamente migliore. Parlando una neolingua, di stampo Orwelliano, le cui parole significano esattamente il contrario di quello che esprimono intrinsecamente”.