Verso le quattro del pomeriggio di ieri sera (5/9/2008), le agenzie battevano un comunicato: “il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha perso la causa per diffamazione intentata nel 2001 presso il Tribunale di Milano contro l'Economist, e dovrà pagare le spese processuali.”. Come, pochi ricorderanno il contenzioso ha origine da un’articolo pubblicato dal settimanale economico britannico, il 26 aprile 2001, dal titolo “An Italian story” (Una storia italiana) e da una copertina dello stesso in cui assieme ad una foto del Cavaliere accigliato era scritto “Why Berlusconi is unfit to lead Italy” (Perché Berlusconi è inadatto a guidare l’Italia).
Dunque
Insomma una sconfitta pesante che nella lettura della sentenza assume i toni della “debacle”.
Infatti la sentenza è un susseguirsi di richiami, parte del giudice, al fatto che le contestazioni non entrassero mai nel merito dei fatti scritti limitandosi a lamentare cose del tipo che, l’articolo è “un’artata ricostruzione del successo imprenditoriale del concludente (n.d.r. Berlusconi), suo malgrado trasformato ad uso e consumo del giornale (e per i suoi ignari lettori) in un pervicace delinquente, che agisce in un susseguirsi di comportamenti illeciti”. Ricevendo, per tutta risposta, che “la soggettiva ma esplicita valutazione della testata inglese (…) si fonda sulla personale interpretazione di circostanze che non sono state contestate dalla difesa attorea ( n.d.r. Berlusconi)”.
Lo stesso Presidente del Consiglio incorre in una palese contraddizione allorché accusa il giornale di dipingerlo come “personaggio sempre alle prese con gravi accuse penali”, forse dimenticando quello che lui stesso ha detto il 25 giugno scorso all’assemblea annuale della Confesercenti: "Sono costretto ogni sabato mattina - dice il premier - a preparare con i miei legali udienze in cui sono oggetto dell'attenzione dei pm o giudici politicizzati che sono la metastasi della democrazia". Aggiungendo poi che "dal '94 al 2006 sono stati 789 i pm e i magistrati interessati a sovvertire il voto degli italiani: ci sono riusciti nel '94, non ci riusciranno in questa presente situazione"
Conclude il Tribunale che: “Alla luce dell’articolata ricostruzione giornalistica delle complesse vicende dell’attore – nell’ambito della quale non è dato ravvisare alcuna dolosa o colposa alterazione dei fatti storici e/o processuali nei termini, sovente generici, allegati dalla difesa attorea (gli unici ai quali deve limitarsi l’accertamento del tribunale nel presente giudizio) – è pertanto evidente che le soggettive conclusioni alle quali giunge l’Economist nelle frasi di apertura e di chiusura dell’articolo “An Italian Story?” (n.d.r. “Una Storia Italiana?”) – relative al “…money from untraceable sources…” (n.d.r. “…soldi da fonti non rintracciabili…”), al fatto che “…Mr. Berslusconi has needed a lot of help from isalubrius quarters…” (n.d.r. “…il Sig. Berlusconi ha avuto bisogno di un sacco di aiuto da ambienti insalubri…”) e che “though he says he wants to replace the old corrupt system, his own businnes empire is largely a prodouct of it…” (n.d.r. “sebbene egli asserisca di voler sostituire il vecchio sistema corrotto, il suo impero economico è ampiamente un prodotto di esso…”) – sono coerenti sotto il profilo della consequenzialità logica e dell’applicazione dei criteri induttivi e deduttivi lettori in tale loro natura (…) rientrano a pieno titolo nell’esercizio del diritto di critica tutelato dall’ art. 21 Cost. (…) La stessa natura dell’articolo, che muove da una puntigliosa ricostruzione dei fatti e vicende relative ad un ampio arco temporale, e le modalità di personale argomentazione di giornalista, sempre sviluppate – secondo i canoni del tradizionale empirismo anglosassone – sulla base di un fitto e pertinente richiamo a cose, avvenimenti e persone, risultano in concreto incompatibili con la presenza di eccessi verbali o di censurabili incontinenze espressive.”
Insomma L’Economist riferiva fatti inconfutabilmente veri, mentre Berlusconi aldilà di spolverare il suo armamentario di accuse contro la magistratura politicizzata non produce alcuna documentazione atta a smentire i documenti e i fatti riportati nell’articolo. D’altro canto non lo fece neanche all’epoca della pubblicazione di un’editoriale del 30 Luglio 2003, sempre dell’Economist intitolato “Dear Mr. Berlusconi… Our challenge to Italy’s prime ministre” (n.d.r. “Caro Sig. Berlusconi… La nostra sfida al primo ministro italiano), nel quale il settimanale inglese proponeva una serie di domande al Cavaliere, offrendo, di fatto, già allora la possibilità di confutare, dati alla mano, l’infondatezza delle accuse.
Evidentemente l’inquilino di Arcore, non ama che gli vengano fatte delle domande, sia che a farle siano i giudici nella aule di tribunale, che lui evita accuratamente, se non per far dichiarazioni spontanee, dopo essersi assicurato che i giudici acconsentissero a che nessun quesito potesse essergli posto. Sia quando dovrebbero essere i giornalisti. A tal scopo la sua mente vulcanica ha varato una nuova tipologia di conferenze stampa quella senza domande.
Nessuna eccezione neanche all’epoca desumibile dal preannuncio di querele per bocca dell’allora portavoce Bondi.
Inoltre, se l’assunto di partenza da cui parte la contestazione è che, i fatti raccontati inducono alla convinzione che Berlusconi è “pervicace delinquente, che agisce in un susseguirsi di comportamenti illeciti”, il pronunciamento di rigetto da parte del Tribunale Civile, apre la strada al sillogismo per cui sei i primi sono veri è conseguenza logica che anche la seconda affermazione lo sia, trovando, questa deduzione, fondamento nel detto latino: “excusatio non petita accusatio manifesta”
Il Giudice difende la sacralità di quanto sancito dall’art. 21 della Costituzione italiana : “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.”. A ben vedere l’articolo costituzionale citato deve essersi preso un periodo sabbatico oltremanica, si può notare che, pur non essendo soggetti alla predetta norma, i giornalisti britannici ne recepiscono a pieno lo spirito svolgendo quella funzione precipua dell’informazione, ossia la critica del potere, qualunque ed ovunque esso sia. Mentre la stampa ed i media italiani, salvo poche eccezioni ignorarono gli editoriali dell’Economist sia nel 2001 che nel 2003, recentemente hanno dato ampio risalto al lusinghiero editoriale della rivista americana Newsweek, primo fra tutti, il settimanale, accidentalmente di proprietà di Berlusconi, Panorama, seguito anche da tutti i telegiornali nazionali nel corso di tutte le edizioni.
Ieri ed oggi, questi stessi media dovevano essere verosimilmente distratti o in “tutt’altre faccende affaccendati” se e vero che la notizia non è stata riportata se non da poche agenzie e pochi quotidiani che l’hanno relegata a “brevina” di metà pagina. La stessa La Repubblica e L’Unità, che in occasione degli editoriali di cinque e sette anni fa diedero ampio spazio alla vicenda, oggi si sono astenute da qualunque approfondimento, anzi, il quotidiano diretto da Concita De Gregorio, da spazio alla sola dichiarazione di uno degli avvocati del Cavaliere, Fabio Lepri: “La sentenza è ingiusta e ne sarà chiesta subito la riforma in appello”, “Il tribunale di Milano, ha sbagliato nel ritenere lecito uno scritto che, in realtà, era da valutare come offensivo nei confronti dell'onorevole Berlusconi, anche perchè costellato di asserzioni infondate. Non a caso le parole del periodico "The Economist", diffuse poco prima delle elezioni del 2001, sono state smentite più volte dal giudizio degli italiani”. Reiterando la convinzione di buona parte del Centrodestra nella logica plebiscitaria per cui le sentenze non debbano essere più appannaggio dei giudici che analizzano i fatti, ma del pubblico “tele-elettore” che, all’oscuro di tutto, può, senz’altro emettere una sentenza più giusta ed equa. Ovviamente il giornalista che raccoglieva la deposizione, ben si è guardato dall’analizzare la sentenza e dall’eccepire alcunché.
A ben vedere, l’impressione generale è quella di un indirizzo, per non dire ordine di scuderia, teso minimizzare l’accaduto, anche negli ambienti vicini al PD. Evidentemente l’innominabile “principale esponente dello schieramento avverso” è ancora tale. Sotto tutti i punti di vista e, dietro l’apparente durezza delle dichiarazioni dei leader dell’opposizione, covi la cenere del “non potremmo sopravvivere ad una nuova stagione di mani pulite”.
Loro non certo l’Italia che ne avrebbe solo giovamento.
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