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martedì 18 novembre 2008

Il comune senso del pudore perduto

Esiste un giudice a Berlino, o forse sarebbe meglio dire che esiste tutto un mondo fuori dall’Italia.
Dimostrazione di ciò è la perplessità intorno alla nomina di Hilary Clinton, come Segretario di stato USA. Pare, infatti, che il nodo sia legato ad un presunto conflitto di interesse con la fondazione dell marito Bill, il quale per reperire finanziamenti sia stato tutt’altro che schizzinoso, accettandoli anche da soggetti ed organizzazioni palesemente in antitesi con le politiche promosse dalla moglie. “ Hillary, nel corso della sua campagna elettorale, ha criticato la Cina per la questione del Tibet e chiesto al presidente George W. Bush di disertare la cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi di Pechino. Ma la fondazione di Bill Clinton ha accettato finanziamenti da una società informatica cinese attivamente impegnata nella caccia a coloro che hanno manifestato contro Pechino”.
Possiamo ben comprendere che di fronte alla realtà e le commistioni tra politica, economia industria e quant’altro, tipica italiana, queste prudenze appaiono spropositate.
Senza star qui a riassumere il rosario di vicende locali che sono patrimonio della nostra quotidianità, và detto che, il generale senso di pudore della politica nostrana è assolutamente inesistente. Mentre gli Stati Uniti analizzano con il microscopio ogni possibile fonte di dubbio su quello che sarà il futuro staff di Barak Obama, noi continuiamo ad assistere a teatrini messi in piedi dai nostri politici, che tutto sono meno che rappresentanti del popolo che li ha votati.
Sia perché la loro designazione nelle liste avviene secondo criteri, esclusivamente verticistici del partito, grazie alla nuova legge elettorale, sia perché, nelle scelte politiche che i parlamentari perseguono sembrano percorrere vie assolutamente estranee a qualunque concetto di mandato politico-elettorale, sentendosi totalmente titolati all’autoreferenzialismo.
Ultimo esempio di questa concezione è il neo presidente della commissione di Vigilanza RAI, Senatore Villari, eletto grazie al voto della maggioranza, ma non dell’opposizione, in totale disprezzo della prassi che prevede che la designazione avvenga su indicazione di quest’ultima.
Il buon politico, neanche a dirlo, ex-democristiano – evidentemente mai ex abbastanza – sfoggiando un impeto di trasformismo decide di auto-proclamarsi “soluzione del problema” rigettando al mittente la richiesta di dimissioni immediate, provenienti da tutta la sua coalizione. Alcuni insinuano che tale inspiegabile, quanto folgorante illuminazione sia antecedente la sua elezione a presidente, al punto di spingerlo ad autovotarsi. Sostenuto anche da collega del PD, La Torre - colto recentemente nel inedito ruolo di insperato suggeritore del “avversario politico” del PdL, Bocchino nel corso di un dibattito televisivo, pur di confutare le polemiche e le accuse di tradimento del Senatore Donadi dell’ IDV.
Questa commistione e torbidità politica non sono nuove alla platea ormai assuefatta degli italiani. Tra le più recenti, le polemiche per la presunta compravendita di senatori da parte di Berlusconi nel corso della scorsa legislatura, che, seppur archiviata, perché non suscettibile di alcun rilievo penale, appare moralmente discutibile oppure il precedente voltafaccia del Senatore Di Gregorio che, eletto nella lista di Di Pietro, viene eletto presidente della Commissione Difesa del Senato, grazie ai voti dell’ opposizione, mentre i suoi colleghi di coalizione votavano la partigiana Lidia Menapace. Anche in questo caso, non solo non si assistette alle dimissioni del protagonista, ma addirittura si pervenne al suo transito nelle file del centrodestra.
Cosa dovrebbero insegnare certe esperienze? Che l’attuale sistema elettorale, da alcuni definito idoneo ad una migliore forma di “controllo” dei politici eletti, da parte delle rispettive segreterie di partito, perde di significato, se non si procede ad una adeguata selezione dei candidati da inserire, specificatamente per quel che riguarda il loro passato di “ballerini” da una corrente politica ad un’altra, nonché alla coerenza personale alle linee programmatiche della loro coalizione.
Ma, ancor più importante, che, le battaglie lanciate per l’efficienza del pubblico impiego, dell’ università e della sanità oppure l’allarme sicurezza contro immigrati e Rom, o anche le questioni inerenti il settore bancario, dei mutui e degli investimenti, e, ultimo ma non ultimo, il problema del mondo del lavoro e di quello imprenditoriale. Non potranno pervenire mai a soluzione definitiva se non si tornerà a mettere in primo piano la questione morale della politica.
Quello che un’anno fa era il tema di ogni discussione politica e non, “La Casta”, oggi è totalmente sparito da ogni dibattito, col senno di poi possiamo dire per scopi meramente opportunistici ed elettorali. La vera priorità nazionale e chiave di volta per la risoluzione di buona parte dei problemi del paese è che chi ha le redini del comando possa essere moralmente adeguato al suo ruolo. Per questo è necessario rispolverare tale questione dall’oscuro meandro in cui è stata fatta precipitare. Perché un paese privo del senso del giusto, dell’equo e di trasparenza è destinato a precipitare e, non già, a rialzarsi.
Perché anche l’Italia torni ad essere un po’ più mondo.
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