QUESTO BLOG SOSTIENE IL
COMITATO PER IL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI COSTITUZIONALI AI MILITARI
Perchè una Democrazia non può dirsi compiuta se non è stata capace di estendere tutte le sue regole e garanzie, fino in fondo a tutti i cittadini, anche quelli in divisa.

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venerdì 28 novembre 2008

Italia, il paese delle tre scimmiette

Non so quanti ricordano quell’immagine ricorrente delle tre scimmiette sedute su un albero, una con le mani sugli occhi, una con le mani sulle orecchie ed una con le mani sulla bocca, ad indicare l’atteggiamento omertoso del non vedo, non sento, non parlo.
In Italia, sostituiamo le mani con sofisticati strumenti di alta tecnologia. A dircelo è la Confcommercio, che nello studio presentato dal suo Presidente Sangalli, ci dice che nonostante la crisi economica in atto, il prossimo Natale assisteremo ad un’ incremento delle spese per prodotti tecnologici come TV ed IPod, a fronte di una contestuale ed equivalente contrazione delle spese per libri e riviste. Dunque cuffiette e schermi oscureranno tutto il nostro panorama sensoriale proiettandoci in un mondo sempre più lontano dalla quotidianità reale che ci circonda.
Un po’ come gli obesi umani del film Disney, “Wall-E” che, perennemente immersi nel loro schermo, perdono la cognizione del tempo e dello spazio, nonché del loro stesso essere.
Così, noi cessiamo di vedere il mutare del mondo che ci circonda e di riflettere su quanto questo influenzi la nostra vita. Solo così possiamo spiegare la sostanziale apatia di fronte a vicende apparentemente lontane tra loro ma che sottintendono un unico filo logico di correlazione che trova spiegazione nella progressiva e costante compressione dei diritti più elementari dei cittadini.
Solo così possiamo leggere (in pochi…) la descrizione che il tribunale fa dei fatti accaduti nella caserma di polizia a Bolzaneto “le persone ristrette in Bolzaneto (in alcuni casi visibilmente ferite in conseguenza degli scontri di piazza) fossero costrette a subire trattamenti vessatori inumani e degradanti sia all’interno delle celle (ove le persone senza plausibile ragione e senza necessità legata alla detenzione erano obbligate a mantenere per lungo tempo posizioni umilianti inumane e disagevoli), sia nel corridoio durante gli spostamenti e l’accompagnamento ai bagni (durante i quali le persone offese venivano derise ingiuriate colpite e minacciate senza alcuna ragione da personale che stazionava nel corridoio disposto in modo da formare due ali ai lati dello stesso) (…) le persone ristrette presso la caserma di Bolzaneto subissero umiliazioni, offese e insulti in riferimento alle loro opinioni politiche (quali “zecche comuniste” “ bastardi comunisti” comunisti di merda” “ora chiama Bertinotti “ “ te lo do io Che Guevara e Manu Chao”, “Che Guevara figlio di puttana”, “bombaroli, “popolo di Seattle fate schifo”ed altre di analogo tenore), alla loro sfera e libertà sessuale, e alle loro credenze religiose e condizione sociale, (quali ebrei di merda, frocio di merda ed altre di analogo tenore), e fossero costretti ad ascoltare espressioni e motivi di ispirazione fascista contrariamente alla loro fede politica (quali ascolto obbligato del cellulare con suoneria costituita dal motivo “faccetta nera bella abissina”, ascolto della filastrocca “un due tre viva Pinochet quattro cinque sei a morte gli ebrei”, pronuncia da parte delle persone offese contro la propria volontà di espressioni quali “viva il duce” “duce, duce” ed altre di analogo tenore), così sottoponendo le persone offese ad un trattamento offensivo della loro libertà morale, politica e religiosa (…) comportamenti consistenti in percosse, minacce, sputi, risate di scherno, urla canzonatorie, insulti di ogni genere anche in riferimento alle condizioni sociali e alla fede politica (…) alle persone ristrette presso la Caserma di Bolzaneto non fossero somministrati il cibo, le bevande e in generale i pasti necessari in rapporto alla durata del periodo di permanenza presso la struttura (…) fossero costrette, nelle CELLE di pertinenza della Polizia di Stato, senza plausibile ragione (e senza necessità legata alla detenzione) a rimanere per numerose ore in piedi, con il volto rivolto verso il muro della cella, con le braccia alzate oppure dietro la schiena, o seduti a terra ma con la faccia rivolta verso il muro, con le gambe divaricate, o in altre posizioni non giustificate, costituenti ulteriore privazione della libertà personale, senza poter mutare tale posizione;
- fossero costrette a subire, anche nelle celle, ripetutamente, percosse calci pugni insulti e minacce, anche nel caso in cui non riuscivano più per la fatica a mantenere la suddetta posizione nonché per farli desistere da ogni benché minimo tentativo - del tutto vano - di cercare posizioni meno disagevoli;
- fossero tenuti nel corso dell’accompagnamento ai bagni o agli uffici, con la testa abbassata all’altezza delle ginocchia e le mani sulla testa e venissero derisi, ingiuriati e colpiti alloro passaggio da altro personale appartenente a Forze dell’ordine che stazionava ingiustificatamente nel corridoio della caserma, dislocato in modo da formare quasi due “ali” di pubblici ufficiali ai lati del corridoio” In particolar modo alle donne venivano riservate “particolari” attenzioni “troia” “puttana”; ivi veniva altresì costretta con violenza a mettere la testa dentro la turca e a subire da altri agenti della Polizia Penitenziaria pronunce di frasi ingiuriose con riferimenti sessuali del tipo “che bel culo” “ti piace il manganello”(…)“Non uscirete vivi da qui, bastardi, comunisti di merda” nonché rivolti alle donne “entro stasera vi scoperemo tutte” (…)“percossa (strattoni) nel corridoio durante l’accompagnamento all’ufficio del fotosegnalamento; subiva in cella l’esalazione dello spray asfissiante- urticante; subiva, in cella e ai passaggi nel corridoio, ripetutamente insulti e minacce a sfondo sessuale del tipo “troie, dovete fare pompini a tutti (…)
Rossi, bastardi, provate a chiamare Che Guevare che vi viene a salvare”; subiva in cella l’esalazione di gas urticanti; subiva percosse nel corridoio ad opera delle due ali di agenti;
(…) veniva costretto, con violenza e minaccia a gridare “Viva la Polizia, Viva il Duce”; veniva ingiuriato nel corridoio da agenti che si vantavano di essere nazisti e dicevano di provare piacere a picchiare un “omosessuale, comunista, merdoso” come era lui e gli rivolgevano epiteti del tipo “frocio ed ebreo”
Questo “rosario” indegno per un paese civile potrebbe andare avanti per pagine e pagine, 451, tante sono le pagine della motivazione della sentenza emessa dal Tribunale di Genova.
Quelli che non sono ancora eclissati dal loro megaschermo piatto da centinaia di pollici non potranno esimersi dal biasimare questi esponenti delle Forze dell’Ordine. Senza per questo voler entrare nel merito di una condanna, non ancora definitiva, è fuor di dubbio che tali signori non possono essere additati quali fulgido esempio per i propri colleghi ma, anzi, quali responsabili di un gravissimo danno alla reputazione del loro Corpo ed a tutto il personale che veste una divisa in genere.
Eppure, c’è un eppure.
Lungi dall’essere avviato nei loro confronti un procedimento disciplinare interno scopriamo che, da un’ articolo tratto da “La Stampa”, siffatte azioni non potranno mai essere altrettanto gravi quanto il pregiudizio arrecato da un Maresciallo delle Forze Armate per “ aver scritto e pubblicato testi e articoli (…) colpevole di aver diffuso, senza permesso, la cultura della legalità e di aver voluto esercitare i diritti che la "Costituzione" concede a tutti i cittadini dello Stato”. Per tanto condannato ad una sanzione quale la Rimozione (privazione perpetua del grado e lo fa discendere alla condizione di semplice soldato o di militare di ultima classe), normalmente applicata quale pena accessoria ai militari condannati in via definitiva alla reclusione per durata superiore a tre anni.
Questo perché, nell’alveo della sua vita privata ed extraprofessionale, ha svolto attività politica, per aver scritto articoli, aver espresso pubblicamente le proprie idee e convinzioni, aver promosso petizioni nel rispetto delle norme vigenti e, soprattutto, della costituzione, per aver cercato di tutelare i suoi interessi legittimi esclusivamente secondo quanto previsto e garantito dalle leggi in vigore nel nostro paese.
Seppure mai sanzionato per siffatte azioni, risalenti anche ad anni addietro, oggi diventa, improvvisamente l’essere più abbietto che vesta una divisa.
Che tu sia un “manganellatore fascista”, o più semplicemente qualcuno che froda o ruba, non sarai mai pericoloso quanto un cittadino che cerca di far valere i suoi diritti, magari denunciando le inefficienze di un sistema.
La lezione del punirne uno per educarne cento sembra stia prendendo piede, ecco quindi la massima solidarietà “cameratesca” a quelli che rimangono compatti e muti sulle vergogne del G8, osando addirittura chiedere la ricusazione del tribunale perché prevenuto. Riservando il massimo disprezzo a chi mina il castello che si erge sulle fondamenta omertà.
Il Maresciallo, costretto all’anonimato, per autotutelarsi, vale il Macchinista De Angelis, licenziato dalla Ferrovie per aver screditato l’azienda per la quale lavorava, denunciando la pericolosità degli Eurostar, come se fosse più grave il danno di immagine che egli arrecava piuttosto che la ciclicità con cui avvenivano, all’epoca, gli incidenti ferroviari.
Il potere sembra sempre più refrattario alle critiche ed a quanti manifestano idee difformi da quelle prefabbricate e diffuse tramite la TV. Arrogante come non mai caccia, punisce minaccia senza pudore, così, come un despota che voglia manifestare la sua assoluta onnipotenza, eroga sanzioni e concede perdoni prezzolati, come quella proposta allo stesso De Angelis, per il quale in cambio dell’ abiura delle sue dichiarazioni si offre il reintegro (orgogliosamente e poco galileianamente rifiutato).
Potere spalleggiato dalla politica che mutua a sua volta tale arroganza, al punto di negare per ben tre volte, con motivi pretestuosi, uno sciopero di solidarietà al coraggioso macchiata, e minaccia i dipendenti pubblici che dissentono dalla posizioni e dalle scelte attuate dal Governo. Come ci insegna l’ Onorevole Carlucci, che ingiunge perentoriamente "Tutti i firmatari dell'appello contro la saggia decisione del Ministro Bondi di istituire un manager che valorizzi adeguatamente il patrimonio museale italiano, i quali in questo momento ricoprano incarichi pubblici, dovrebbero immediatamente dimettersi”.
Dunque il messaggio sembra chiarissimo non c’è spazio per voi “ricercatori di giustizia ed equità” in quest’italia, siete dei diversi. Nella caserma di Bolzaneto avrebbero usato meglio i termini: “Froci, Puttane, Ebrei e Comunisti”, mancavano solo gli extracomunitari ed il quadro di tutto ciò che è ad oggi antitetico al pensiero corrente ed omologato sarebbe stato completo.
Non conta se dietro avete associazioni di categoria o sindacali che vi sostengono, oppure se, come il povero Maresciallo , siete privati anche di queste, dato che tanto non vi sarà nessuna pietà per voi che rivendichiate diritti o offriate solidarietà, sarete spazzati via e non vi saranno testimoni di sorta perché cinquanta milioni di scimmiette italiane sono intente a guardare la televisione.
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martedì 25 novembre 2008

Il cerchio della vita …e del lavoro

Meno di un’ anno fa, esattamente il 13 Aprile scorso, proprio sull’onda del ripetersi di incidenti mortali nei posti di lavoro, il governo Prodi varava un decreto per arginare questo drammatico fenomeno, più degno di un conflitto bellico che di un invitabile effetto collaterale connesso con la produzione di ricchezza del sistema Italia.
In realtà di quel provvedimento oggi resta ben poco se non la constatazione dei fatti. Ossia che il numero delle morti bianche rimane sostanzialmente invariato, secondo un rapporto dell’INAIL.
Ormai lo stillicidio quotidiano ci dice che possiamo parlare, con buona approssimazione statistica, di una media di più di tre morti al giorno ( circa 1170).
Questo numero ovviamente non può essere ragionevolmente ricondotto ad altrettante “fatalità” bensì al un complesso sistema sociale che si autoalimenta in un circolo vizioso perpetuo. Il cui prodotto è un sistema produttivo ossessivo e, sostanzialmente, indifferente alle indispensabili esigenze di sicurezza dei lavoratori.
Segnali inequivocabili tessono una trama che ci mostra diverse sfaccettature dello stesso problema,
Dall’ingerenza politica nel mercato del lavoro inducendo la percezione che solo con meccanismi, a volte riconducibili a voto di scambio sia possibile ottenere un impiego.
Partendo dalla vicenda del candidato alla presidenza della Regione Abruzzo, Chiodi, il quale invitava a “presentarsi prima del voto a lasciare i propri dati per una selezione professionale da svolgersi a gennaio e che si concludeva con l'invito a votare l'esponente del Pdl alle elezioni di dicembre”, presumibilmente penalmente non rilevante, concede ampio spazio a dubbi sulla sua moralità.
Proseguendo da un’autorità di garanzia come il Consiglio Nazionale di Parità, il quale vede una sua consigliera rimossa dal Ministro del Lavoro e quello delle Pari Opportunità perchè rea di aver espresso dubbi su alcuni provvedimenti varati dal Governo come la detassazione degli straordinari e la reintroduzione delle dimissioni in bianco (abolite da Prodi col decreto predetto), venendo sostituita con la consulente personale del Ministro del Lavoro stesso, allora siamo di fronte ad un chiaro segnale che anche al livello politico più alto non si accettano di buon grado critiche ed obiezioni di sorta, a prescindere dalla loro fondatezza quale preciso indirizzo della volontà del Governo di sovrintendere alle politiche del lavoro senza contraddittorio alcuno. Anche a costo di sacrificare la sicurezza sul lavoro all’altare della produttività.
Passando attraverso la militarizzazione di alcune attività altrimenti improponibili altrove, per cui “A Persano, all'interno dell'area militare che ospita tre caserme e duemila soldati, ogni giorno arrivano oltre trecento balle delle 1.400 prodotte quotidianamente negli impianti che triturano la metà dei rifiuti campani. Più o meno un decimo della monnezza della regione viene accumulata nella base dell'esercito.” e a Chiaiano “Militari con le maschere antigas e operai che a mani nude rimuovono l'amianto senza nessuna protezione né per se, né per la popolazione, contravvenendo alla normativa vigente” situazioni confermate anche dalla stessa procura. Assegnando incarichi lavorativi estremamente dannosi per la salute a quella categoria di dipendenti pubblici, quali sono i militari, storicamente priva di tutela sindacale, per tanto priva di ogni capacità di autotutela sulla sicurezza delle attività lavorative.
Concludendo con la vicenda del macchinista delle Ferrovie licenziato per aver osato denunciare pubblicamente le inefficienze della sua azienda per quel che riguarda i treni su cui viaggia buona parte della popolazione italiana. Tant’è che in segno di solidarietà al collega che, oltretutto, risulta essere anche un rappresentante per la sicurezza dei lavoratori del suo comparto, è stato indetto anche uno sciopero.
Il tutto nell’assordante silenzio delle associazioni di categoria degli imprenditori, le quali ben volentieri si trincerano dietro scudo dell’inazione politica che essi stessi foraggiano, più o meno occultamente.
Insomma dalla politicizzazione delle assunzioni, alla dissuasione alla critica per le politiche sul lavoro, all’occultamento e secretazione delle attività lavorative più “scomode”, alla rappresaglia contro i pochi che osano ribellarsi al sistema, che impone la scelta tra il rischio di morire fisicamente e quello di morire economicamente a causa della perdita del posto di lavoro.
In questo cerchio della vita del mondo del lavoro, sappiamo che le prede alla base della piramide alimentare sono i lavoratori precari e al vertice i predatori sono gli imprenditori.
Omertà, non vedere, non sentire e, soprattutto, non parlare, ma solo votare, lavorare e spendere sono le caratteristiche ideali del lavoratore modello richiesti oggi in Italia.
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martedì 18 novembre 2008

Il comune senso del pudore perduto

Esiste un giudice a Berlino, o forse sarebbe meglio dire che esiste tutto un mondo fuori dall’Italia.
Dimostrazione di ciò è la perplessità intorno alla nomina di Hilary Clinton, come Segretario di stato USA. Pare, infatti, che il nodo sia legato ad un presunto conflitto di interesse con la fondazione dell marito Bill, il quale per reperire finanziamenti sia stato tutt’altro che schizzinoso, accettandoli anche da soggetti ed organizzazioni palesemente in antitesi con le politiche promosse dalla moglie. “ Hillary, nel corso della sua campagna elettorale, ha criticato la Cina per la questione del Tibet e chiesto al presidente George W. Bush di disertare la cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi di Pechino. Ma la fondazione di Bill Clinton ha accettato finanziamenti da una società informatica cinese attivamente impegnata nella caccia a coloro che hanno manifestato contro Pechino”.
Possiamo ben comprendere che di fronte alla realtà e le commistioni tra politica, economia industria e quant’altro, tipica italiana, queste prudenze appaiono spropositate.
Senza star qui a riassumere il rosario di vicende locali che sono patrimonio della nostra quotidianità, và detto che, il generale senso di pudore della politica nostrana è assolutamente inesistente. Mentre gli Stati Uniti analizzano con il microscopio ogni possibile fonte di dubbio su quello che sarà il futuro staff di Barak Obama, noi continuiamo ad assistere a teatrini messi in piedi dai nostri politici, che tutto sono meno che rappresentanti del popolo che li ha votati.
Sia perché la loro designazione nelle liste avviene secondo criteri, esclusivamente verticistici del partito, grazie alla nuova legge elettorale, sia perché, nelle scelte politiche che i parlamentari perseguono sembrano percorrere vie assolutamente estranee a qualunque concetto di mandato politico-elettorale, sentendosi totalmente titolati all’autoreferenzialismo.
Ultimo esempio di questa concezione è il neo presidente della commissione di Vigilanza RAI, Senatore Villari, eletto grazie al voto della maggioranza, ma non dell’opposizione, in totale disprezzo della prassi che prevede che la designazione avvenga su indicazione di quest’ultima.
Il buon politico, neanche a dirlo, ex-democristiano – evidentemente mai ex abbastanza – sfoggiando un impeto di trasformismo decide di auto-proclamarsi “soluzione del problema” rigettando al mittente la richiesta di dimissioni immediate, provenienti da tutta la sua coalizione. Alcuni insinuano che tale inspiegabile, quanto folgorante illuminazione sia antecedente la sua elezione a presidente, al punto di spingerlo ad autovotarsi. Sostenuto anche da collega del PD, La Torre - colto recentemente nel inedito ruolo di insperato suggeritore del “avversario politico” del PdL, Bocchino nel corso di un dibattito televisivo, pur di confutare le polemiche e le accuse di tradimento del Senatore Donadi dell’ IDV.
Questa commistione e torbidità politica non sono nuove alla platea ormai assuefatta degli italiani. Tra le più recenti, le polemiche per la presunta compravendita di senatori da parte di Berlusconi nel corso della scorsa legislatura, che, seppur archiviata, perché non suscettibile di alcun rilievo penale, appare moralmente discutibile oppure il precedente voltafaccia del Senatore Di Gregorio che, eletto nella lista di Di Pietro, viene eletto presidente della Commissione Difesa del Senato, grazie ai voti dell’ opposizione, mentre i suoi colleghi di coalizione votavano la partigiana Lidia Menapace. Anche in questo caso, non solo non si assistette alle dimissioni del protagonista, ma addirittura si pervenne al suo transito nelle file del centrodestra.
Cosa dovrebbero insegnare certe esperienze? Che l’attuale sistema elettorale, da alcuni definito idoneo ad una migliore forma di “controllo” dei politici eletti, da parte delle rispettive segreterie di partito, perde di significato, se non si procede ad una adeguata selezione dei candidati da inserire, specificatamente per quel che riguarda il loro passato di “ballerini” da una corrente politica ad un’altra, nonché alla coerenza personale alle linee programmatiche della loro coalizione.
Ma, ancor più importante, che, le battaglie lanciate per l’efficienza del pubblico impiego, dell’ università e della sanità oppure l’allarme sicurezza contro immigrati e Rom, o anche le questioni inerenti il settore bancario, dei mutui e degli investimenti, e, ultimo ma non ultimo, il problema del mondo del lavoro e di quello imprenditoriale. Non potranno pervenire mai a soluzione definitiva se non si tornerà a mettere in primo piano la questione morale della politica.
Quello che un’anno fa era il tema di ogni discussione politica e non, “La Casta”, oggi è totalmente sparito da ogni dibattito, col senno di poi possiamo dire per scopi meramente opportunistici ed elettorali. La vera priorità nazionale e chiave di volta per la risoluzione di buona parte dei problemi del paese è che chi ha le redini del comando possa essere moralmente adeguato al suo ruolo. Per questo è necessario rispolverare tale questione dall’oscuro meandro in cui è stata fatta precipitare. Perché un paese privo del senso del giusto, dell’equo e di trasparenza è destinato a precipitare e, non già, a rialzarsi.
Perché anche l’Italia torni ad essere un po’ più mondo.
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lunedì 17 novembre 2008

La Pantera Rossa

Dopo tanto parlare e disquisire ecco che, grazie all’indefesso lavoro del Ministro Brunetta, i “Fannulloni” vedono svelata la loro vera identità. L’abnegazione e la pervicacia dell’ Inspector Cluseau, del Ministero per la pubblica amministrazione e l'innovazione, ha permesso di dare un volto ai colpevoli del dissesto pubblico in cui versa l’Italia: “E' il Paese delle rendite, dei poteri forti e quello dei fannulloni, che spesso stanno a sinistra”, il solerte investigatore ha scovato la sua “Pantera Rossa”.
Insomma il volto oscuro dell’Italia viene ancora una volta a galla grazie al coraggio di questo pugno di uomini. Un sordido piano tessuto all’insaputa del mondo intero che mai e poi mai avrebbe potuto immaginare che nella terra la cui unica forma dittatoriale ha assunto le forme del fascismo, destra per antonomasia, seguita da quasi cinquant’anni di governo e lottizzazione Democristiano. Chi mai avrebbe potuto supporre che, nonostante ciò, purpuree trame permettevano a migliaia, forse milioni, di agenti, perfettamente addestrati nell’arte del non far nulla, di insinuarsi negli ingranaggi di quell’orologio svizzero pensato perfetto dai Cirino Pomicino, dai Forlani, dagli Andreotti, dai De Mita, e costruito migliore, al solo scopo di condurre il paese allo sfracello e dimostrare l’inadeguatezza dei loro avversari politici.
Addirittura la malvagia determinazione di questi eredi del bolscevismo più infido li ha spinti a essere straordinariamente preparati pur di sopravanzare nelle graduatorie tutti gli altri onesti cittadini. Infatti, proprio alla luce di ciò ora si comprende come la politica clientelare delle raccomandazioni e dei concorsi taroccati altro non era che l’azione di contrasto a questi pocodibuono.
Ulteriore indizio è il fatto che, essendo gli imboscati di sinistra, nelle aree geografiche politicamente controllate dai loro sodali, le pubbliche amministrazioni funzionino spesso meglio che in altre regioni. Ecco quindi che la “rossa Emilia” abbia servizi più efficienti della “cattolicissima Sicilia”. Quale ingiustizia e ingratitudine di tutti noi, dovette apparire ai difensori del servizio pubblico, quando accusavamo i politici che di volta in volta emergevano quali “pigmalioni” di quote significative di candidati, mentre invece era, la loro, solo una inevitabile,sacrosanta e meritoria azione di contrasto a questo stuolo di comunisti che pure di raggiungere i loro scopi ardivano presentarsi preparatissimi ai concorsi, pur di accaparrarsi tutti i posti a disposizione.
Non vi potrà mai essere giusta forma di adeguato riconoscimento per chi oggi ha deciso di intraprendere tale crociata, verso l’efficientismo e, perché no, un futuro migliore.
Non si dolgano quanti appartengono incidentalmente alla schiera dei nullafacenti, pur proclamandosi vicini al centrodestra, in sede processuale verrà riconosciuta la semi-infermità mentale, facilmente dimostrabile, in ragione del loro voto nel corso delle ultime elezioni.

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giovedì 6 novembre 2008

Il convitato di pietra con le stellette.

Ieri sera EXIT, il programma della 7, condotto da Ilaria D’Amico, aveva come tema “l’esercito italiano. Uomini che rischiano ogni giorno la vita, ma anche privilegiati e fannulloni. Dove si annidano gli sprechi? E dove si imboscano i soldati fannulloni? E come vivono gli eroi che vanno in missione rischiando la vita? L’esercito italiano nell’era del dopo-naja, come nessuno ve lo hai mai raccontato”.
Presenti in studio Ignazio La Russa, Ministro della Difesa, Rosa Calipari, capogruppo del PD alla Commissione Difesa della Camera, Matteo Salvini, vice-segretario nazionale della Lega Nord Andrea Nativi, giornalista de Il Giornale e direttore di RID, la Rivista Italiana Difesa e Franco Giordano, di Rifondazione Comunista.
Il tema ha suscitato non poche polemiche sia per il taglio giornalistico, che da La Russa è stato ritenuto denigrante dei militari, sia da quanti hanno assistito, ad una nuova sfuriata dello stesso ministro (dopo il caso con la De Gregorio), nei confronti della D’Amico e della redazione in quanto ritenuta rea di non aver saputo dare alla trasmissione un impostazione a lui più gradita.
In generale si parlava di soldi, sprecati, pagati o non dati. Il problema è che i convenuti sembravano un consesso di preti che parlavano di matrimonio, ossia tutti avevano un’infarinatura mediamente generica dei temi, ma con un approccio, per così dire, laico. Ossia privi di una approfondita conoscenza delle tematiche e della realtà dell’ambiente militare, sia sotto il profilo amministrativo che giuridico. Esemplare il momento in cui uno dei convenuti è stato inquadrato, a sua insaputa, mentre si rivolgeva ad un suo collaboratore presente in studio, chiedendo se fosse vera un’asserzione fatta da uno degli altri ospiti.
Senza voler entrare nel merito delle questioni dibattute, la domanda che nessuno si è fatto, ma che forse, a partire dalla redazione, sarebbe stato opportuno porsi. Ossia che, se si fosse parlato di temi come l’Alitalia, la Fiat, la Scuola o la Sanità, in studio avremmo avuto la presenza di almeno un rappresentante sindacale e/o di un esponente della categoria di lavoratori di cui si parlava.
Invece per i militari questo principio di rispetto e diritto all’autodifesa non è stato sancito, anzi si è preteso che ruolo di rappresentante di parte fosse svolto dal Ministro del dicastero interessato. Come pensare che, parlando di riforma scolastica, la Gelmini potesse assolvere il compito di rappresentare le ragioni anche dei dipendenti che contestano i suoi stessi provvedimenti. Un’ aberrazione meritevole di uno psichiatra e di anni di analisi.
Allora, forse, ancor prima di discutere se i militari lavorano o no, guadagnano o no, sono una risorsa o un peso per il paese, forse sarebbe utile stabilire se essi siano cittadini con i medesimi diritti, oltrechè doveri, di tutti gli altri cittadini, visto che non hanno neanche la possibilità di avere un organismo che svolga nei loro confronti un vero ruolo di parte sociale. Specificando che il Co.Ce.R. non è e non potrà mai essere tale finchè continuerà a sussistere come istituto interno alle gerarchie militari.
Il peccato è che nessuno dei presenti ha sentito, ieri, il bisogno di sottolineare l’assenza di questo convitato di pietra che era l’ipotetico rappresentante sindacale dei lavoratori con le stellette. Di sostenere che le denuncie, dure e concrete fatte dai reporter avrebbero avuto maggio vigore, forza, oltrechè essere maggiormente circostanziate, per non dire statisticamente significative, se nelle Forze Armate si aprisse la porta ad una maggiore democrazia interna, quale prodromo ad una maggiore trasparenza di ciò che avviene dietro il filo spinato di una caserma. A beneficio di tutti i cittadini che, giustamente, desiderano sapere come vengono spesi i soldi delle loro tasse.
Ma ieri, come tante altre volte in passato, ci si è persi a discutere del dito e non della luna che esso indica.
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mercoledì 5 novembre 2008

Quello che …i presidenti… non dicono.

Dunque, fiumi di inchiostro, non foss’altro perchè suona meglio di miliardi di bit, si stanno versando per commentare la vittoria di Barak Obama e la conseguente elezione del primo uomo di colore come inquilino della Casa Bianca.
Milioni di pagine si stanno riempiendo per descrivere questo momento e ciò che ha detto di fronte ai centomila di Chicago (al cambio italiano attuale valgono i tremilioni di Berlusconi e Veltroni).
Ma, forse, vista la straordinarietà dell’evento, è importante parlare anche ciò che non ha detto.
Nel passaggio del suo discorso in cui, riavvolgendo il filo della storia americana, ne ha riassunto i suoi passaggi salienti dell’ultimo secolo, partendo dal “new deal” di Rooswelt proseguendo per la lotta al Nazismo passando per lo sbarco sulla luna per finire al crollo del muro di Berlino.
Tutti elementi che hanno un posto di primo piano nella nostra memoria tranne che per un “piccolo” vuoto, che tale non è in quanto è stato in grado di riempire il nostro orizzonte impedendoci di scorgere qualunque cosa oltre di esso, negli ultimi sette anni.
Infatti, il neo Presidente degli Stati Uniti, ha omesso di citare ciò che ha reso il mondo attuale quale esso è. Possiamo credere che esso reputi gli eventi dell’ 11 settembre 2001, meno rilevanti dello sbarco sulla luna?
O forse questa omissione è un’apertura verso la sospensione del giudizio, su un’evento drammatico su cui si è basata tutta la politica del suo predecessore ma che ancora troppi interrogativi senza una giusta risposta solleva tutt’oggi.?
Non ci sono elementi sostanziali per rispondere a queste domande, per ora, sebbene si potrebbe intravedere una volontà di andare verso un mondo meno dominato dalla paura per la presunta minaccia di un male, tanto assoluto quanto imprendibile e mutevole, al punto da spingere molti a dubitare della sua esistenza, ameno nei termini e nelle forme in cui ci è stato descritto fino ad oggi.
Diceva Orwell che le guerre sevono a consumare il surplus di risorse prodotte dalla società, che, altrimenti distribuite, ridurrebbero il gap tra ricchi e poveri, inducendo questi ultimi a rivendicare ruoli di maggior responsabilità nel governo del mondo, facendo vacillare gli equilibri che hanno consentito a chi a governato fin ora di continuare a farlo in futuro.
Obama sarà, dunque, un “Grande fratello” più ammaliatore ed ingannevole di quanto non sia riuscito ad essere fin’ora, George W. Bush, oppure ne sarà un acerrimo nemico, esponendo, di conseguenza, se stesso come possibile obbiettivo di eclatanti minacce?
Infondo, Bush congratulandosi con Obama lo ha invitato a godersi questo momento e, visto chi formulava un simile auspicio, il tutto assume un che di inquietante, sia per lui, che per gli U.S.A., che per il modo intero.
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martedì 4 novembre 2008

Pillole

Il PdL scopre grandi similitudini tra Obama e Berlusconi.

Affidato l’incarico per un’analisi oggettiva, ad un prestigioso laboratorio scientifico emerge che:

OBAMA è alto,

BERLUSCONI non è alto,

OBAMA è nero,

BERLUSCONI non è nero,

OBAMA è bello,

BERLUSCONI non è bello,

OBAMA è magro,

BERLUSCONI non è magro,

OBAMA è Democratico,

BERLUSCONI non è (CENSURA)



La stampa scopre la meritocrazia anche in Vaticano, attribuendo il merito di questo al Ministro Brunetta.

Peccato che trattasi di provvedimenti approvati dal 2007 e che solo fortuitamente, come spesso accade per gli accordi contrattuali, entreranno in vigore dal gennaio 2009.

Si confonde la causa con l’effetto. Più che il merito del mini-ministro, l’efficientismo e la produttività nella santa sede è più probabile siano figlie della teutonica impostazione del Papa.

Attenzione che i legali di Piazza S.Pietro non intentino causa allo Stato italiano per richiedere i diritti d’autore sulla riorganizzazione del nostro sistema pubblico.


Veltroni auspica una riforma scolastica condivisa, ma solo dopo la cancellazione dei tagli.
Gasparri risponde: “non e' possibile dialogare con chi mente”.

Non si può che essere concordi con quanto sostiene il capogruppo del PdL alla Camera.


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lunedì 3 novembre 2008

Le speranze del passato e la certezza del presente.

Diceva Totò: “ si stava meglio quando si stava peggio…”, esprimendo questo, sintetizzava quel comune sentire popolare che ciclicamente esprime la nostalgia per i bei tempi andati. Ancor oggi, in Italia, assistiamo al dibattito nostalgico, che tende ad una rilettura della storia italiana dell’ultimo secolo. Il Principe De Curtis, direbbe: “Ah! Quando c’era Lui!...” Una volta, quanti esprimevano certi sentimenti, venivano dipinti come “nostalgici”.
In realtà, a ben vedere, questo sentimento non è proprio ed esclusivo del nostro paese, bensì è ampiamente diffuso anche presso altre aree e popolazioni. Non inusuale è riscontare analoghi rimpianti per Hitler in Germania, per Franco in Spagna, per Stalin in Russia. Credo che in India qualcuno rimpianga la Regina Vittoria. Non bastasse è probabile trovare alcuni disposti a sostenere che anche le dittature argentine e cilene avevano i loro lati positivi.
Insomma, questo per dire che la memoria tende una sottile tranello che ci porta a confondere la drammaticità di alcuni avvenimenti storici con la spensieratezza della gioventù, grazie alla quale si poteva affrontare con leggerezza qualunque difficoltà. Sicuri di aver, davanti, tempo più che sufficiente per far fiorire i nostri sogni e concretizzare le nostre speranze.
Una volta invecchiati, venuta meno la nostra capacità di immaginare un futuro diverso, ci rimane solo il confronto tra una passato artefatto dalla nostra memoria ed un presente deludente e claustrofobico, che ci soffoca e ci induce a cercar conforto nei ricordi, che, come una droga, a maggior ragione stimoliamo solo nella loro parte migliore.
Probabilmente è la storia stessa dell’umanità e delle persone che ambiscono ad assumere un ruolo ed una condizione migliore, e che, non riuscendovi, si confronta con i suoi fallimenti. Tutti alla ricerca del proprio ruolo in una democrazia sociale, economica e solidale veramente compiuta, in grado di darci serenità e certezze per il futuro nostro e dei nostri figli, ma poi traditi dalle più disparate forme di applicazione del potere ad ogni latitudine.
Un potere onnivoro che cerca nella auto-consacrazione dei propri esponenti il diritto alla supremazia su tutti gli altri. Giustificandolo in ogni epoca grazie a pretestuose investiture divine o terrene. Alimentato, nel passato, da filosofie religiose che, invocando il “Dio lo vuole” o per “Grazia divina”, concedevano imprimatur e supremazia di pochi su molti. In tal senso il Calvinismo ne è un lampante esempio allorché stabilisce che”Dio ha predestinato dall'eternità chi sarebbe stato oggetto della grazia salvifica indipendentemente da qualsiasi loro merito, per solo Suo insindacabile e giusto beneplacito”. Insomma i ricchi sono tali perché Dio arride a loro, mentre i poveri devono il loro stato miserevole al fatto di essere fuori dalla grazia di Dio.
Questo modo di intendere gli equilibri sociali, ben radicato proprio nella Svizzera delle Banche, ove Giovanni Calvino incontrò il maggior favore, in realtà era preesistente e diffuso in molti altri paesi, in quanto funzionale al mantenimento degli equilibri sociali atti a far si che i ricchi rimanessero tali e i poveri pure.
L’avvento dell’Illuminismo e delle sue teorie circa il primato razionale dell’intelletto, misero in crisi, quando non sovvertirono totalmente, l’ordine preesistente, facendo venir meno quelle argomentazioni che sancivano le differenze tra le classi sociali, introducendo concetti come l’uguaglianza, la libertà, la fraternità ed aprendo la strada alla rivendicazione di accesso al potere di fette sempre più ampie di popolazione, fino ad allora escluse per censo, rispolverando concetti vecchi di duemila anni come la Democrazia.
Oggi, dopo poco più di duecento anni questi concetti sembrano essersi radicati, ma solo in apparenza. In quanto le applicazioni reali della democrazia hanno, il più delle volte, ceduto il passo a forme di potere oligarchico. Sotto le spoglie dei più variegati ideali, principi e filosofie, il potere ha sempre cercato di tutelare se stesso. Sopravvivendo alla crisi, che ha visto il declino delle monarchie per diritto divino, ha assunto gli aspetti più pragmatici di quello che fino a non molto tempo fa era definito Capitalismo, tramutandosi oggi in Globalizzazione e Liberismo economico. Grazie al quale il maggior o minor successo o ricchezza terreno è da addebitare non più alla benevolenza dei numi, bensì alle capacità ed alle doti di ciascuno. Inducendo in tutti la convinzione che “chiunque può diventare Presidente”.
Il problema è che tale assunto è del tutto illusorio e privo di reale concretezza. In quanto questa è una partita che si gioca con un mazzo di carte truccate, dove jolly ed assi finiscono sempre in mano ai medesimi giocatori. Il nostro è un sistema a camere stagne dove solo raramente avvengono delle “contaminazioni” e dei “travasi” tra i diversi ranghi sociali. Per cui la maggior parte delle volte il livello sociale in cui si muore è il medesimo di quello in cui si nasce, quando non peggiore.
Gli apparenti e periodici progressi di benessere,cui la società è soggetta nel corso del tempo, vanno intesi più come miglioramenti di tutto il sistema nel suo complesso, risultanti da tutta la scala sociale che, nel suo complesso, tende a salire mantenendo, però, inalterata la sua struttura interna e le distanze tra di diversi scalini che la costituiscono.
Oggi il nuovo “verbo” questo ci promette, non meno vago e indimostrabile del paradiso, della vita eterna o della valle in cui scorra latte e miele. Anzi a differenza delle religioni non ci chiede di attendere il “post mortem” ma ci induce la convinzione che esso possa concretizzarsi, qui, subito, ora.
Da ciò deriva la frustrazione per il presente che acuisce, se possibile, il rammarico e la nostalgia per un passato che, per quanto brutto, concedeva la speranza, fittizia a insaputa di ciascuno, di un futuro di successo che non si concretizzerà mai. Inducendo in noi una depressione che ci spinge a trovare una via d’uscita in alternative autodistruttive e deleterie per noi e per chi ci è vicino.
In questo gioco al confronto tra passato e presente in realtà vince solo chi non essendo stato, mai veramente, spodestato allora, oggi cerca di riabilitare la propria immagine, demolendo le tesi che lo vedrebbero sconfitto, promettendo l’impromettibile, e liquidando tutto il resto come populistico che, si badi bene, nasceva come “tendenza a idealizzare il mondo popolare come detentore di valori positivi” ma che poi la politica - proprio lei - ha contribuito in maniera determinante a indurre in tale termine una valenza negativa e dispregiativa, associandolo sempre all’aggettivo demagogico.
Insomma chi detiene il potere ne rigetta la sua ridistribuzione e per far ciò bolla tutto ciò che emerge dalla sua base, il popolo, sprezzantemente.